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Concerto (Il) - Concert (Le)


Regia:Mihaileanu Radu

Cast e credits:
Soggetto: Héctor Cabello Reyes, Thierry Degradi; sceneggiatura: Radu Mihaileanu; fotografia: Laurent Dailland; musiche: Armand Amar; montaggio: Ludovic Troch; scenografia: Stanislas Reydellet, Christian Niculescu; arredamento: Gina Stancu; costumi: Viorica Petrovici; interpreti: Aleksei Guskov (Andreï Filipov), Dmitri Nazarov (Sacha Grossman), Mélanie Laurent (Anne-Marie Jacquet), François Berléand (Olivier Morne Duplessis), Miou-Miou (Guylène de la Rivière), Valeri Barinov (Ivan Gavrilov), Anna Kamenkova Pavlova (Irina Filipovna), Lionel Abelanski (Jean-Paul Carrère), Alexander Komissarov (Victor Vikitch); produzione: Alain Attal-Radu Mihaileanu per Les Productions Du Trésor-Oï Oï Oï Productions-Castel Films-Panache Productions-France 3 Cinéma-Mars Films-Europacorp-Rtbf, Bim; distribuzione: Bim; origine: Francia-Romania-Belgio-Italia, 2009; durata: 120’.

Trama:All'epoca dell'Unione Sovietica, sotto il governo di Brezhnev, il direttore dell'orchestra del Bolchoï, Andrei Filipov, era all'apice del successo. Tuttavia, il suo rifiuto di allontanare alcuni musicisti di origine ebraica, tra cui il suo caro amico Sacha Grossman, gli costò l'allontanamento e la disgrazia. Il cinquantenne Andrei, dopo la caduta del blocco sovietico, continua a lavorare per il prestigioso teatro ma in qualità di custode, vessato e ingiuriato dal direttore cha ha per lui una profonda antipatia. L'occasione del riscatto per Andrei giunge sotto forma di un fax, che l'uomo trova per caso, in cui l'orchestra è invitata a Parigi per tenere un concerto al Théâtre du Châtelet. Andrei non ci pensa due volte: convoca tutti i suoi vecchi compagni musicisti - ridotti ormai a compiere i mestieri più disparati per sopravvivere - e decide di presentarsi a Parigi al posto della vera Orchestra del Bolchoï per rivivere finalmente i fasti del passato.

Critica (1):Il film parte subito su una nota ironica con la manifestazione degli ex comunisti che in realtà sono delle comparse…
Quando sono andato in Russia con Alain-Michel Blanc, siamo rimasti colpiti da questa manifestazione che si svolge tutte le domeniche mattina a Mosca e che cristallizza il paradosso della nuova società russa: da un lato, gli ex comunisti pervasi di nostalgia, i venditori di medaglie che smerciano la loro mercanzia a manifestanti e turisti e, dall'altro, i nuovi capitalisti duri e puri. In mezzo, c'è una grande quantità di persone, di cui alcune sono un po' smarrite. Ho trovato questo contrasto tragico e comico al tempo stesso.

Attraverso la metafora del concerto, il film parla dei rapporti fondamentali tra il singolo e la collettività.
Durante il missaggio ho capito che questa metafora è insita anche nella scelta stessa del concerto che occupa la parte finale del film, il Concerto per violino e orchestra di Čajkovskij. Secondo me, alla base dell'attuale crisi, c'è proprio il rapporto tra il singolo e la collettività. Oggi constatiamo che abbiamo raggiunto il massimo grado di individualismo e che gli esseri umani si sentono in una situazione precaria rispetto al mondo: vorrebbero mantenere i diritti fondamentali dell'individuo, tornando tuttavia a una società più solidale. E mi sono reso conto che quel concerto di Čajkovskij non potrebbe essere armonioso se il violino e l'orchestra non fossero complementari. Se il violino non suona bene, l'orchestra va per conto suo e viceversa, i due elementi sono indissociabili. La crisi dimostra con forza l'importanza di questo binomio: il legame tra individuo e collettività deve essere molto solido e, per trovare l'armonia e il benessere, bisogna cercare di suonare il più possibile all'unisono.

Quest'armonia si forgia anche attraverso gli scambi tra russi, gitani e francesi che hanno tutti una visione del mondo molto diversa…
È quello che oggi si chiama "dialogo interculturale" : in ogni società, compresa quella francese, grazie alle ondate migratorie, è molto presente la mescolanza delle culture, che arrichisce tutti, malgrado le difficoltà che comporta. È il nostro mondo di oggi e lo sarà ancora di più domani. Ed è quello che descrive il film, quando un gruppo di semi-barboni russi, gitani ed ebrei, originari di Mosca, approda a Parigi: è l'incontro tra una cultura slavo-orientale e una cultura occidentale, ricca e cartesiana. All'inizio lo shock è esplosivo: i "barbari" dell'est, di cui io faccio parte, arrivano nel paese dei "civilizzati", che temono che i loro diritti acquisiti siano minacciati e che le regole che hanno definito non vengano rispettate. Ma alla fine, malgrado le tensioni, da questo incontro scaturiranno bellezza e luce. E il concerto esprime l'armonia che nasce da questo scontro tra culture.

Appunto, come si può definire «l'armonia suprema» di cui spesso parla Andreï nel film?
È il sogno che vogliono realizzare i miei personaggi russi che sono stati messi al bando dalla società. In qualche momento della nostra vita, siamo tutti stati messi alla prova e "al tappeto", come si dice nel pugilato. È molto difficile rialzarsi ed è proprio questo che i miei personaggi tentano di fare. Cercano innanzitutto di ritrovare l'autostima e poi di rimettersi in piedi e di tornare a essere degli esseri umani con una dignità. Per ritrovare un'armonia suprema, anche solo per un secondo, per il tempo di un concerto, e per dimostrare a se stessi che hanno ancora la forza di sognare e di stare in piedi. È una piccola vittoria sulla morte, che ci spia da dietro le quinte. Sono interrogativi che possono riferirsi anche a chi non ha mai sofferto in modo tragico: sono capace di sognare, di desiderare di raggiungere "l'armonia suprema"? Sono in grado di cambiare?

Come si può descrivere l'umorismo del film?
L'umorismo che preferisco è quello in reazione alla sofferenza e alle difficoltà. Per me, l'ironia è un'arma gioiosa e intelligente, una ginnastica della mente, contro la barbarie e la morte, un modo per spezzare la tragedia che ne è la sorella gemella. Di fatto, nel film, l'umorismo deriva da una ferita che si è aperta trent'anni prima, nell'Unione Sovietica di Brežnev. A quell'epoca, i personaggi sono stati umiliati e messi al tappeto. La loro volontà di rialzarsi e di riconquistare la dignità si esplicita anche attraverso l'umorismo. Al di là della loro tragedia, i protagonisti di Le Concert trovano la forza di portare fino in fondo i loro sogni, grazie all'ironia. A mio parere, è la più bella espressione dell'energia vitale. (…)

Il film descrive il tipo di intellettuali e artisti che c'erano sotto Brežnev.
Anche se una leggera brezza di libertà si era messa a soffiare circa dieci anni prima della Perestrojka, il potere cercava ancora di imbavagliare gli intellettuali, dal momento che ogni regime totalitario ha paura che le opinioni degli intellettuali si propaghino tra le masse e che queste ultime si ribellino. Brežnev diffidava in particolare degli ebrei che spesso si erano espressi su questioni sensibili e avevano parenti all'estero in grado di diffondere le loro idee. È per questo che Brežnev ha scacciato i musicisti ebrei dall'orchestra del Bolchoj, insieme ai russi che li hanno difesi. Allo stesso modo, il regime temeva i gitani, e le minoranze in genere, che non si sommettevano alla sua autorità. Di fatto i gitani non hanno mai obbedito agli ordini in alcun paese: sono gli esseri umani più liberi della terra. Ho voluto descrivere tra le righe questa realtà. Per contro, ho cercato di mostrare che un gesto di per sé insignificante, come il licenziamento di un direttore d'orchestra e di alcuni musicisti ebrei, può generare un trauma terribile in tutta una generazione che può impiegare anche trent'anni a riprendersi. È il caso di molti destini spezzati di persone originarie dei paesi dell’Est.

Attraverso la questione della trasmissione, lei si interroga anche sul significato dei valori.
Ho la sensazione che a partire dalla fine del XX secolo non abbiamo prestato abbastanza attenzione a una delle conseguenze della diffusione e dello sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione: la nascita della virtualità. Secondo me, è stata la virtualità a provocare l'attuale crisi: abbiamo messo da parte i valori reali, il lavoro, l'incontro, il tempo, l'amicizia, l'amore, la conoscenza, e abbiamo adottato sempre di più i valori virtuali, i soldi, l'informazione, il ritmo frenetico, la comunicazione, l'acquisizione di strumenti. Ho l'impressione che oggi gli esseri umani abbiano voglia di recuperare i veri valori. Capiscono anche che nello scambio con l'Altro risiede la vera ricchezza e cercano di ristabilire un equilibrio nel rapporto individuo/comunità. In quest'ottica, il film racconta che senza l'amicizia e senza questo viaggio per incontrare un'altra cultura è impossibile raggiungere la felicità.

In lei si percepisce anche una volontà iconoclasta di sconvolgere le convenzioni.
Penso che la vita sia fatta sia di regole sia di momenti in cui è necessario sconvolgere le stesse regole per andare avanti e sperimentare nuovi territori. I miei personaggi, che sono in uno stato di disintegrazione a causa della perdita del lavoro e della stabilità e non hanno nulla più da perdere, non hanno altra scelta che tentare di arrangiarsi: sono quindi condannati a rinnovarsi e progredire. In condizioni simili, tutto è possibile, anche a costo di infrangere le leggi stabilite: si fabbricano da soli il passaporto, non vanno alle prove per dedicarsi a vari traffici, insomma, vivono di espedienti e si ingegnano per sopravvivere. Tutti i miei personaggi hanno una componente poetica, i piedi per terra e la testa tra le nuvole, perché io credo che non sia possibile separare del tutto realtà e fantasia. (…)
(dal pressbook del film)

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