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Ombra del giorno (L')


Regia:Piccioni Giuseppe

Cast e credits:
Fotografia: Michele D'Attanasio; montaggio: Esmeralda Calabria; costumi: Bettina Pontiggia; suono: Francesco Liotard; interpreti: Riccardo Scamarcio (Luciano), Benedetta Porcaroli (Anna), Lino Musella (Osvaldo), Valeria Bilello (Amelia), Waël Sersoub (Emile), Sandra Ceccarelli (madre di Corrado), Vincenzo Nemolato (Giovanni), Costantino Seghi (Corrado), Antonio Salines (professore); produzione: Lebowski, Rai Cinema; distribuzione: 01 Distribution; origine: Italia, 2021; durata: 125'.

Trama:In una città di provincia (Ascoli Piceno) sul finire degli anni Trenta, Luciano è un simpatizzante del fascismo come la stragrande maggioranza degli italiani ed è il proprietario di un ristorante. Egli crede tuttavia di poter vivere secondo le regole che si è dato, in una sorta di isolamento dal mondo esterno. Ma sulla vetrina che dà sull'antica piazza, insieme ai segnali preoccupanti di qualcosa che sta per accadere nel mondo, compare una ragazza che porta con sé un segreto. Si chiama Anna e riesce a farsi assumere nel ristorante. Da allora per Luciano la vita non sarà più la stessa e insieme ai pericoli che si trova a fronteggiare, c'è quello più grande di tutti: l'amore. L'ombra del giorno è una storia d'amore, in quei difficili anni.

Critica (1):Giuseppe Piccioni torna a girare a Ascoli Piceno (il ristorante è il Caffé Meletti), la sua città laddove era ambientato il suo esordio, 'Il grande Blek', per un film che si confronta con la storia italiana attraverso il melò, e in una trama personale coglie il sentimento di un' epoca illuminandola con precisione grazie alla cura per i dettagli, per le sfumature che insieme formano una narrazione collettiva. È dunque una storia d' amore 'L' ombra del giorno' che nasce tra i due protagonisti (...) a cui viene negata però la libertà di essere vissuta, soffocata tra le costrizioni del momento, il fascismo, la guerra, i silenzi obbligati, e tutto ciò che trasforma (potrebbe accadere in ogni situazione, anche oggi) qualcosa di «semplice» come appunto innamorarsi in una condizione impossibile. Su questa tensione lavora il regista (...) trasferendo il mondo dentro al ristorante che nel suo microcosmo di clienti e impiegati si fa espressione del tempo, dei suoi conflitti, dei cambiamenti, delle attitudini di chi ne è parte. Lo sguardo di Piccioni rimane su questo bordo, il sottile confine invisibile della vetrina da cui osservano la realtà Luciano e Anna cogliendone secondo il punto di vista un significato diverso. E nel rapporto tra l' interno e l' esterno, di cui il primo assorbe le variazioni, costruisce la messinscena di un film che nonostante la curatissima ricostruzione d' epoca (...) non è un film «storico», non nel genere tradizionale, e cerca invece di dialogare con una sensibilità contemporanea. Tra i tavoli assistiamo al progressivo affermarsi del consenso, alla crescita della paura, all' esaltazione dei più giovani, quelli che si sono visti crescere, all'arroganza dei gerarchi in carriera, mentre lui, Luciano, pian piano inizia a spostare i suoi occhi, a guardare in modo strabico quelle immagini che gli sembravano belle, scorgendone invece col sentimento che lo lega alla ragazza le atrocità. Un film che per il regista è anche una scommessa, con cui ritrovare la propria poetica dei sentimenti e reinventarla nel confronto con una memoria resa attuale e vivida.
Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 24/2/2022

Critica (2):È un film sugli opposti quello di Giuseppe Piccioni. E l’intenzione appare già dal titolo: L’ombra del giorno. Ossimoro che mette in luce (e in ombra) la dicotomia di questa storia nella quale emergono tutte le fratture, le scissioni, i contrasti, le contraddizioni e le dualità dell’animo umano.
Ascoli Piceno, 1938. Sono gli anni dell’Italia fascista e delle leggi razziali. Tirano venti di guerra e per quanto Luciano (Riccardo Scamarcio), un uomo claudicante, reduce dalla Prima Guerra Mondiale e simpatizzante del fascismo, si nasconda dietro le vetrine del suo ristorante (lo storico Caffè Meletti), osservando il mondo con distacco, la Storia (l’inquietante camerata interpretato da Lino Musella) irrompe comunque nel suo locale. E anche l’amore, con l’arrivo di una giovane ragazza di nome Anna (Benedetta Porcaroli), da lui assunta come cameriera.
“M’illumina l’ombra”, scriveva Giuseppe Ungaretti. Ombra e giorno. Dentro e fuori, interno e esterno, diritti e doveri, eros e thanatos, fascisti e ebrei, i confini sono labili, oltre che spesso poco riconoscibili (“Ungaretti ha scritto delle poesie e nessuno si è reso conto che non c’è nulla di fascista nelle sue parole”), e la fragilità umana è il piatto principale servito e preparato in quella cucina che può essere luogo sacro, ma anche luogo dell’imbroglio.
Ci si muove nell’incertezza e nella paura di quei tempi, obbedendo/disobbedendo alle leggi, l’equilibrio è precario, ancora di più per il passo a due tra Luciano e Anna, che alternano come in una danza il Voi e il Tu. La fiducia c’è (Anna a Luciano: “Siete un bravo ragazzo”), ma fino a un certo punto (Luciano ad Anna: “E voi che tipo siete?”, Anna: “Non si vede?”, Luciano: “Non del tutto”).
Piccioni definisce il suo film “un Kammerspiel non claustrofobico”. Ed è vero. Per quanto ambientato quasi unicamente all’interno del ristorante, l’orizzonte è vasto. I punti di vista infiniti. Lo spettatore non guarda solo avanti, ma, come Luciano che lo ha imparato in guerra, si guarda intorno, a tutto tondo, grazie anche alla tecnica usata dal regista: il cinemascope, che allarga notevolmente il campo di visualizzazione.
Primi piani, sguardi, squarci e spiragli aprono mondi e raccontano pagine della nostra Storia, e una commovente storia d’amore rivoluzionaria, che vede protagonisti Scamarcio (finalmente in una versione più dimessa, lontano dai soliti ruoli del bellone) e la Porcaroli (perfetta nel rendere questa ragazza un po’ misteriosa).
Una favola da film? Fino a un certo punto, la realtà talvolta supera l’immaginazione e in linea con questo basta guardare anche il bel doc Se questo è amore di Maya Sarfaty, che raccontava la tragica liaison tra la deportata ad Auschwitz Helena Citron e l’ufficiale Franz Wunsch. È la vita e come canta nei titoli di coda Andrea Laszlo De Simone: “Vivo”.
Giulia Lucchini, cinematografo.it

Critica (3):

Critica (4):
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