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Arbitro (L')


Regia:Zucca Paolo

Cast e credits:
Soggetto: Paolo Zucca; sceneggiatura: Paolo Zucca, Barbara Alberti; fotografia: Patrizio Patrizi; musiche: Andrea Guerra; montaggio: Sarah McTeigue; scenografia: Pietro Rais, Marianna Sciveres, Margarita Tambornino; costumi: Stefania Grilli; suono: Piero Fancellu; interpreti: Stefano Accorsi (Cruciani), Geppi Cucciari (Miranda), Jacopo Cullin (Matzutzi), Alessio Di Clemente (Brai), Marco Messeri (Candido), Grégoire Oestermann (Jean Michel), Benito Urgu (Prospero), Franco Fais (Franco), Quirico Manunza (Quirico), Marco Cadau (Pietro), Andrés Giorni, Gustavo De Filpo (guardalinee di Cruciani), Francesco Pannofino (Arbitro Mureno); produzione: Amedeo Pagani, Daniel Burman, Diego Dubcovsky per Classic, Bd Cine, in collaborazione con Rai Cinema; distribuzione: Lucky Red; origine: Italia-Argentina, 2013; durata:¨96’.

Trama:Tra le squadre di quella bolgia infernale che è la 'terza categoria' sarda milita l'Atletico Pabarile: è la più scarsa di tutte e viene regolarmente umiliata dal più forte e potente Montecrastu, team guidato da Brai, un arrogante proprietario terriero. Tuttavia, il ritorno in paese del giovane emigrato Matzutzi rivoluzionerà gli equilibri del torneo e, grazie alle prodezze del suo nuovo fuoriclasse, l'Atletico Pabarile inizierà finalmente a vincere una serie di partite. Nel frattempo: l'ambizioso arbitro Cruciani inizierà la sua ascesa professionale salvo poi essere coinvolto in una vicenda di corruzione; due cugini, calciatori del Montecrastu, verranno coinvolti in una faida legata ai codici arcaici della pastorizia; Matzutzi cercherà di riconquistare Miranda, l'amore della sua infanzia; Quirico, il faccendiere del Montecrastu, corromperà l'arbitro Mureno per mettere i bastoni tra le ruote alla scalata al successo dell'Atletico Pabarile...

Critica (1):Tutto quel che so l'ho imparato dal calcio, diceva Albert Camus. E precisava: in fatto di morale e responsabilità. Giocava in porta, il filosofo dell'assurdo e della rivolta, e da là aveva ben modo di osservare il comportamento degli esseri umani. A lui e alla sua saggezza solare e meridiana - nato a Mondovi, in Algeria, crebbe poi ad Algeri - è dedicato fin dai titoli di testa L'arbitro (...). Opera prima di Paolo Zucca (...) il film è costruito come un racconto doppio, che solo alla fine trova una sua unità. (...) Nello scontro del tifo tutto si perde e tutto si rigenera: l'orgoglio dell'appartenenza, il piacere del gesto eroico, persino il conflitto sociale. È questa, girata sotto il sole e nella luce di Sardegna, la metà più intensa di L'arbitro. Zucca sa raccontare con leggera, umanissima ironia il microcosmo barbaricino nella sua balentia, nella sua durezza e nella sua rudezza antiche. E sa cogliere in esso una morale e una responsabilità che, tra i pali della sua porta, sarebbero forse piaciute a Camus. Sul campo di calcio e attorno a esso, dunque, giocatori e spettatori possono scegliere fra due modelli opposti di comportamento. Il primo, il più economico e up to date, suggerisce di farsi beffe della morale, e a maggior ragione della responsabilità. L'altro consiglia la scelta opposta, quella che sarebbe piaciuta al filosofo dell'assurdo e della rivolta. Nel piccolo, bel film di Zucca una volta tanto vince il secondo. Così accade in Barbagia. Quanto al primo, il suo trionfo è certo in Europa, Italia più che compresa.
Roberto Escobar, l'Espresso, 19/9/ 2013

Critica (2):In parallelo con la Mostra si sono inaugurate già da ieri le Giornate degli Autori con l'opera prima di Paolo Zucca L'Arbitro derivato da un cortometraggio di egual titolo e dello stesso autore premiato nel 2008 con un David di Donatello. Si ambientava in Sardegna, nell'ambiente del calcio minore, e il suo protagonista, come il titolo annunciava, era un arbitro davanti al quale si sarebbe aperta una bella carriera, anche dal punto di vista internazionale, se si fosse tenuto alle regole, la sua ambizione smodata lo induceva invece a lasciarsi corrompere e la sua rovina non tardava. Da quel corto questo film che Zucca, dopo altri corti, dei documentari e degli spot pubblicitari, ha realizzato esordendo nel lungometraggio, senza gli impacci però e le reticenze delle opere prime. La storia originale, infatti, ottenendo spazi maggiori, ne ha guadagnato in profondità ed in logica, con la possibilità non solo di veder disegnata con tratti fini la psicologia dell'arbitro, ma anche di quel sottobosco che gravita nei paesini attorno alle modestissime squadre locali: con rivalità feroci che arrivano all'odio, con passioni sportive così laceranti da diventare ossessioni. Mentre il testo che Paolo Zucca si è scritto insieme con Barbara Alberti, evoca poi di sfondo anche situazioni solo in apparenza marginali ma che, come la vendetta di un contadino nei confronti di un ragazzo che gli ha rubato un agnello, può tingersi persino, sia pur indirettamente, dei colori del dramma. Anche se poi la regia tende a tener sempre l'intera vicenda in equilibrio fra il comico, il grottesco e addirittura il surreale, giocando non solo sulle ambizioni dell'arbitro, del resto spesso quasi beffate, ma su tutte quelle figure che, nel bene e nel male, gli fanno corona. (...) Con un seguito di facce cui si aggiungono, spesso in primo piano, quelle dei vari paesani che sostengono i loro beniamini. Autentiche, concrete, di un meditato realismo, comprese quelle che, con altrettanta verità, ci esibiscono attori professionisti scarsamente conosciuti. La bella fotografia in bianco e nero di Patrizio Patrizi e le musiche sempre suggestive di Andrea Guerra fanno il resto. Il protagonista è Stefano Accorsi, con sfumature anche sottili, il suo corruttore è il canuto Marco Messeri, forse ripreso dal vero (con il calcio non si sa mai).
Gian Luigi Rondi, Il Tempo Roma, 29/8/2013

Critica (3):

Critica (4):
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