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Nessuna festa per la morte del cane di Satana - Satansbraten


Regia:Fassbinder Rainer Werner

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Rainer Werner Fassbinder; fotografia (colore): Jürgen Jürges e Michael Ballhaus; scenografia: Kurt Raab, Ulrike Bode; musica: Peer Raben; interpreti: Kurt Raab (Walter Kranz), Margit Carstensen (Andrée), Helen Vita (Luise), Volker Spengler (Ernst), Ingrid Caven (Lilly), Marquand Bohm (Rolf), Ulli Lommel (il falso ispettore); produzione: Michael Fengler (Albatros Produktion) per la Trio Film; durata: 111'; anno: 1976

Trama:
Walter Kranz, scrittore fallito, sognando di reincarnare un famoso poeta suo compatriota, spende la vita tra amori prezzolati e devozioni pidocchiose.

Critica (1):Con uno dei repentini cambiamenti che gli sono naturali, Fassbinder abbandona il milieu operaio permettere in scena una sfrenata farsa sull'intellettuale piccolo-borghese. Si tratta di Satansbraten (arrosto di "Satana", nell'edizione italiana Nessuna festa per la morte del cane di Satana), l'opera più eccentrica del regista. Il film ha avuto in Italia una strani sorte, poichè sull'onda del successo de Il matrimonio di Maria Braun l'hanno distribuito come un Fassinder "classico", sfruttando anche l'aura di corte dei miracoli che si era intanto diffusa intorno al clan del regista dopo il passaggio a Venezia nel 1980. Quasi che Walter Kranz, il protagonista, adombrasse Fassbinder nei suoi rapporti col proprio entourage. Non che questo sia del tutto falso, ma il film è da considerare a un livello molto più astratto, come una messa in scena grandguignolesca e volutamente volgare del parassitismo dell'artista nella società borghese. E' poi, è sinceramente difficile trovare una rassomiglianza tra questo Walter Kranz che per due anni non scrive una riga perchè "gli manca l'ispirazione" e un autore come Fassbinder che non sta nemmeno un mese senza lavorare al teatro o nel cinema. Nonostante il fumo sia parecchio, bisogna ammettere che questo "arrosto di Satana" è un piatto piuttosto forte e pieno di spezie. Del fumo fanno parte sicuramente i vapori acri della provocazione (nessun film di Fassbìnder è così esplicito dal punto di vista sessuale, anche se in realtà i suoi film più "casti" distruggono ben altri tabù), la satira facile sugli intellettuali di sinistra, la rappresentazione sopratono del sadomasochismo presente in tutte le relazioni tra i personaggi. Stringendo un discorso (e gettando via il bruciato) rimane l'assunto di fondo, la sostanza. E cioè che l'intellettuale contemporaneo non è altro che una sanguisuga. Una sanguisuga benvoluta dalla borghesia, felice dì legittimarne la legittimità individuale al fine di giustificare il suo proprio "democratico" dominio sociale. La conseguenza è che l'artista deve interpretare il ruolo dell'emarginato, deve far finta di non riconoscere la sua vergognosa condizione: fino ad assumere un'altra identità, come quella di Stefan George: è la legge stessa della sopravvivenza che lo impone (la presenza del denaro nel film è continua, fondamentale). Ma il "poeta" è capace di trasformare questa legge naturale in legge morale, fornendole un'ideologia e un'arte. L'alienazione culturale è rinforzata da un'alienazione fisica: uno come Kranz non ha nemmeno il coraggio di accettare il corpo. Per quanto sia pronto a farsi ogni donna che incontra anche pagandola, compie un'ingnominoso voltafaccia nei confronti dell'omosessualità, quando cerca di imitare George fino in fondo. La sua alienazione potrebbe forse essere integrata e redenta da questa forma di esperienza fisica e primaria (ed è questa la storia di Fassbinder stesso, se vogliamo - o di Pasolini): ma da maschio piccolo-borghese qual è, Kranz non è disposto a concedere, solo a trafugare. La grandezza di un modello decadente come George o Baudelaire si riduce, nello scimmiottamento di Kranz, a parodia. Fassbinder ha avuto l'acuta intuizione di lasciare nel dubbio la volontarietà dei plagi di Kranz. Il punto consiste proprio nel fatto che questo tipo di intellettuale è talmente incapace di creare (di vivere) da non rendersi nemmeno conto di ripetere cose già dette e già scritte. La sua è diventata un'esperienza totalmente secondaria, la sua prassi è un inchino spudorato al conformismo. L'abitudine alla falsa coscienza è diventata una nuova forma di coscienza. Per Kranz non c'è progresso, ma solamente un ripetersi ciclico di situazioni sempre uguali. Morta una moglie ne trova subito un'altra, mentre lui continua a concedersi le licenze che si è sempre concesso perchè è un "genio". Ma dietro di lui, come l'ombra della scimmia, cammina il fratello demente, collezionista di mosche morte: è il fantasma grottesco dell'intelligenza di Kranz, l'opaco alter ego che Kranz tiranneggia ma non può eliminare; colui che lo aiuta a nascondere la pistola con la quale ha ucciso, ma che è pronto ad estrarla di nuovo per far fuoco contro Kranz. solo che, in questa sagra delle apparenze e delle falsità, scopriremo, con un ultimo soprassalto, che la pistola era caricata a salve fin dall'inizio.

Davide Ferrario, FASSBINDER - IL CASTORO CINEMA nov./dic. 1982

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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