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Effetto notte - Nuit américaine (La)


Regia:Truffaut François

Cast e credits:
Soggetto
: Jean Louis Richard, Suzanne Schiffman, François Truffaut; sceneggiatura: Jean Louis Richard, Suzanne Schiffman, François Truffaut; fotografia: Pierre-William Glenn; musiche: Georges Delerue; montaggio: Yann Dedet; scenografia: Damien Lanfranchi; interpreti: Nike Arrighi (Odile), Jean-Pierre Aumont (Alexandre), Nathalie Baye (Joelle), Marcel Berbert (Uomo assicurazioni), Jacqueline Bisset (J. Baker/Pamela), Jean Champion (Bertrand), Valentina Cortese (Severine), Henry Graham (Uomo Assicurazioni), David Harkham (Dottor Nelson), Gaston Joly (Gaston), Jean-Pierre Leaud (Alphonse), Bernard Menez (Il trovarobe), Jean Panisse (Arthur), Maurice Seveno (Intervistatore TV), Jean-François Stevenin (Jean-François), Alexandra Stewart (Stacey), François Truffaut (Ferrand), Christophe Vesque (ragazzo del sogno); produzione: Marcel Berbert per Les Films Du Carrosse, Pecf Pa-Ris, Produzione Internazionale Cinematografica; origine: Francia, 1973; durata: 115’.

Trama:Si gira a Nizza il film "Je vous presente Pamela" ("Vi presento Pamela"), una storia d'amore che coinvolge una donna, un uomo e il figlio di quest'ultimo. Durante le riprese, però, quasi tutti i componenti il cast, la troupe e lo stesso regista Ferrand devono affrontare problemi personali. La rivista "Time magazine" l'ha inserito fra i "100 migliori film di tutti i tempi".

Critica (1):La nuit américaine (Effetto notte) ha per soggetto la lavorazione di un film, dal primo giro di manovella fino all’ultimo giorno delle riprese, allorché "l’équipe" si separa. L’azione si svolge interamente negli studi della "Victorine", a Nizza, in un grande scenario all’aperto riproducente una piazza parigina, e ugualmente all’interno dei camerini degli attori, delle sale di abbigliamento, di trucco, di proiezione e di montaggio. Il film comporta due storie:
a) La storia personale che racconta le avventure della troupe di un film (cinque attori e attrici, il regista, il produttore e alcuni tecnici): le loro dispute, le riconciliazioni, i loro problemi intimi, tutto ciò mescolato ad un lavoro comune limitato nel tempo e nello spazio: le riprese di un film intitolato Vi presento Pamela.
b) La storia del film di finzione, il soggetto del "film nel film" è ispirato ad un fatto di cronaca inglese: un giovane (Alphonse/Jean-Pierre Léaud), da poco sposato con una ragazza inglese (Pamela/Julie Baker - Jacqueline Bisset), giunge sulla Costa Azzurra per presentare la moglie ai propri genitori (Séverine/Valentina Cortese e Alexandre/Jean-Pierre Aumont). Il padre del giovane si innamora della nuora e fugge con lei. Il figlio lo ritrova e lo uccide. Il 1972 è per Truffaut l’anno della sintesi, della confluenza di più esperienze in una operazione riassuntiva, del ripiegamento su se stesso che è sguardo rivolto al proprio passato di cineasta. Il risultato prende il nome di La nuit américaine: non un film all’insegna del rinnovamento, dell’apertura, ma una sorta di inventario etico-estetico, di bilancio per fare il punto su una attività che dura da tredici anni, per chiudere con certe cose e poter ripartire, dopo, con altre. "Avendo spinto molto lontano queste due esperienze, Le due inglesi senza alcun umorismo, Mica scema la ragazza senza nulla di serio, ho potuto con Effetto notte ritrovarmi, "raccogliere" me stesso. È un film di sintesi, sintesi tra La calda amante, Baci rubati e altri miei film ancora. Un incrocio. Come se i personaggi di tutti i miei vecchi film si incontrassero... Ci sono parecchie cose iniziate in altri film che terminano qui, io do loro una conclusione". La nuit américaine è insieme una dichiarazione di poetica personale così esplicita e completa come prima il regista non ci aveva dato, una sintesi dei motivi e dei temi che attraversano l’intera sua opera, e una confessione sistematica e riassuntiva dei suoi affetti, predilezioni e gusti di uomo e cineasta. (...)
Fare film che, parlando d’altro, siano anche riflessioni sul cinema, fare cioè del "metacinema", è quanto Truffaut sin dall’inizio si è proposto, nella consapevolezza dei diversi livelli strutturali di cui un’opera si compone. Ora, portando sino alle estreme conseguenze quella tendenza progressivamente coltivata che Thomas Elsaesser ha definito bene (in The Brighton Review n. 21), come "crescente uso tematico di elementi apparentemente formali", Truffaut è giunto a fare del momento metalinguistico il soggetto stesso di un film. Trasformando quella che nei film precedenti era l’impalcatura, ideologico-critica, in impalcatura tecnico-narrativa, atta ad essere mostrata, esibita, programmaticamente svelata sullo schermo, Truffaut tenta a carte scoperte il gioco da sempre giocato al riparo delle griglie tematiche degli altri suoi film. Effetto notte si presenta perciò come il resoconto filmato della lavorazione di un film o, più precisamente, di una fase del suo processo di produzione, quella consistente nelle operazioni di ripresa delle varie sequenze che costituiranno il tessuto significante del testo finito. Restano dunque fuori il lavoro di preparazione e di montaggio: e non a caso, se si pensa che per Truffaut il momento determinante ai fini del risultato è il momento della messa in scena. Il proposito è dichiaratamente documentario "tracciare il ritratto di tutti coloro che collaborano alla realizzazione di un film e rispondere nello stesso tempo alle domande che il pubblico pone sempre agli attori e ai registi sul tema Come si gira un film?". Ma, al pari de I quattrocento colpi (partito per essere un documentario sull’adolescenza incompresa e finito col diventare un manifesto di cinema "soggettivo"), anche qui il risultato è assai differente. Il film non risponde tanto alla domanda "come si gira un film?", quanto a quella "come gira Truffaut i suoi film?". Da questo punto di vista, La nuit américaine è più che esauriente. (...) Dell’amore per il cinema, La nuit américaine trabocca. Ogni sua inquadratura è un atto d’amore, oltre che una questione di morale; un omaggio deferente e appassionato, una dichiarazione di riconoscenza e di affetto. Da una simile cascata di citazioni, rimandi e allusioni più o meno scoperte, non si può che tentare di estrapolare le più significative: la dedica del film a Lilian e Dorothy Gish, le due grandi attrici del muto; la citazione di un film di Hitchcock, Stage-fright, ovvero Paura in palcoscenico ("Do you have stage-fright?", domanda Alphonse a Julie, che sta per girare la sua prima scena); quella di Le chagrin et la pitié, film di Marcel Ophüls (è il soprannome affibbiato dalla troupe al segretario di produzione e alla gelosissima moglie); l’omaggio a Bus stop di Joshua Logan (di cui si ripete nel finale una battuta: "Lei ha conosciuto molti uomini, io ho conosciuto poche donne..."); quello a Jean Renoir (Joelle dice ad un certo punto: "Io sono come il vecchio il cuoco de La règle du jeu; ammetto le diete, ma non le manie"); quello, ancor più importante, fatto a Orson Welles (nell’inserto ricorrente del sogno di Ferrand, un bambino ruba nella notte e con l’aiuto di un bastone le fotografie di Citizen Kane, esposte nell’atrio del cinema. Analogamente, si ricorderà, Antoine ne I quattrocento colpi si appropriava di una foto della protagonista di Monica e il desiderio, il film di Bergman). Senza dimenticare che quando Alexandre evoca le sue ventiquattro morti sullo schermo, ripete una frase di Humphrey Bogart; e che, quando Pamela racconta della varicella che le ha impedito di andare in vacanza, ricorda il personaggio interpretato dalla stessa Bisset in Due per la strada, di Stanley Donen. Ancora a proposito di Julie Baker, l’attrice dai nervi fragili che ha sposato il proprio dottore, – non è difficile riconoscere l’allusione a Audrey Hepburn, che ha fatto la stessa cosa. Poi, una sfilza di nomi, sempre gli stessi, in fondo: Jean Vigo (a cui è dedicata una strada di Nizza percorsa dalla troupe), Cocteau, il cui nome compare su di un pannello nel camerino di Julie, Fellini (ne parla la Cortese), e infine Buñuel, Bresson, Dreyer, Lubitsch, Hawks, Bergman, Godard: sono i titoli di altrettanti libri che Ferrand estrae da un pacco durante la telefonata al musicista Georges Delorue.
Ma, lo si è detto, La nuit américaine è anche – rispetto all’opera di Truffaut – il film della sintesi: dunque, il film in cui tutti si ritrovano per esservi citati. Ai Quattrocento colpi si allude nella battuta rivolta all’indirizzo di Jean-Pierre Léaud: "Non è perché uno ha avuto un’infanzia difficile che deve crederea di farla pagare a tutti". Domicile coniugal è più volte ricordato: vi si fa cenno, parlando di un adattamento di Primo amore di Turgenev con una giapponese nel ruolo della ragazza e Leaud nella parte di un giovane francese; inoltre Alphonse è il nome del figlio di Antoine Doinel. Il gatto che lecca il latte sul vassoio fuori dalla porta è una citazione de La calda amante, mentre Fahrenheit 451 è indirettamente ricordato a proposito delle difficoltà impreviste e soprattutto della necessità di concludere le riprese in un tempo inferiore al previsto. Più esplicito il rimando alle Due inglesi con l’apparizione casuale di una copia della statua, di Balzac, visitata da Claude Roc al museo Rodin. Julie Baker, stupenda apparizione che compete in fascino e in bellezza con un’altra apparizione, la Delphine Seyrig di Baci rubati, ricorda a Léaud con le parole di quest’ultima che "tutti sono magici o nessuno è magico".
Alberto Barbera, François Truffaut, Il Castoro Cinema, 1976

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
François Truffaut
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