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Euforia


Regia:Golino Valeria

Cast e credits:
Regia: Valeria Golino; soggetto: Francesca Marciano, Valia Santella, Valeria Golino; sceneggiatura: Francesca Marciano, Valia Santella, Valeria Golino, Walter Siti; fotografia: Gergely Pohárnok; musiche: Nicola Tescari; montaggio: Giogiò Franchini; scenografia: Luca Merlini; costumi: Maria Rita Barbera; effetti: Rodolfo Migliari; suono: Francesco Liotard; interpreti: Riccardo Scamarcio (Matteo), Valerio Mastandrea (Ettore), Isabella Ferrari (Michela), Valentina Cervi (Tatiana), Jasmine Trinca (Elena), Andrea Germani (Luca), Marzia Ubaldi (madre di Ettore e Matteo), Iaia Forte; produzione: Ht Film, Indigo Film con Rai Cinema; distribuzione: 01 Distribution; origine: Italia, 2018; durata: 115’.

Trama:Matteo è un giovane imprenditore di successo, spregiudicato, affascinante e dinamico. Suo fratello Ettore vive ancora nella piccola cittadina di provincia dove entrambi sono nati e dove insegna alle scuole medie. È un uomo cauto, integro, che per non sbagliare si è sempre tenuto un passo indietro, nell'ombra. Sono due persone all'apparenza lontanissime. La vita però li obbliga a riavvicinarsi e una situazione difficile diventa per i due fratelli l'occasione per conoscersi e scoprirsi sorprendentemente uniti, in un vortice di fragilità e tenerezza, paura ed euforia.

Critica (1):A cinque anni di distanza dall'interessante Miele (2013), Valeria Golino torna nuovamente dietro la macchina da presa per raccontare un'altra storia di profonda umanità confermando lo sguardo delicato e sensibile con cui si era lasciata apprezzare nel suo esordio. Ciò che praticamente tutti i critici hanno prontamente riportato nelle loro recensione è lo stretto legame che intercorre tra le storie dei due lavori. Se infatti Jasmine Trinca vestiva i panni di una sorta di "angelo della morte" assistendo i malati terminali che preferivano abbreviare le loro agonie, lo sviluppo di Euforia prende le mosse dal rapporto tra due fratelli diversissimi che tornano in contatto proprio a causa di un tumore al cervello che condanna il più anziano della coppia. Il fine della vita, quindi, sembra essere la vera focale di partenza adottata dalla regista. Eppure, se è vero ciò che predicava Alfred Hitchcock in merito al cinema, ovvero che non consisteva tanto nel raccontare storie ma nella maniera in cui le si metteva in scena, anche in questo caso dobbiamo spostare la nostra attenzione non sulle analogie narrative tra i due progetti, quanto su quelle tematiche. Valeria Golino infatti non è per niente interessata alla morte in sé, bensì al dialogo positivo e ottimistico che vorrebbe si instaurasse con questo avvenimento.
Euforia: stato d'animo o atteggiamento emotivo di invulnerabilità e di benessere; sensazione di vigore, contentezza e ottimismo dovuta a una buona condizione psicofisica o all'assunzione di farmaci, droghe, alcool» (...)
Questa è la definizione che il Dizionario della lingua italiana attribuisce alla parole cardine del film. Un titolo decisamente stridente se pensiamo al dramma a cui sono sottoposti i protagonisti. Eppure è proprio il cinema della Golino a essere euforico, a soffermarsi sull'ottimismo e non sul cupo pessimismo. L'etimologia della parola è da ricercare nel greco antico. Il significato nasce dall'unione di éu ("bene") e di phéro ("portare"). Essere euforici significa, quindi, essere portatori di un certo bene, trasmettere uno stato d'animo positivo e sereno. La medesima radice éu è alla base anche della tanto temuta eutanasia, dove al prefisso si accosta la parola thònatos ("morte") per definire, quindi, una morte dolce. Il miele del titolo del film del 2013 si riferiva in maniera velata proprio a questo concetto. Euforia invece si fa un po' più misterioso sotto questo punto di vista, connotando più lievemente lo stato d'animo dei due fratelli che, di fronte alla tragedia, riescono ad avvicinarsi reciprocamente facendosi portatori di bene, sorreggendosi l'un l'altro. In questa costante ricerca di una speranza, una luce, anche laddove la vita non lo permetterebbe, risiede tutta la linfa del cinema di Valeria Golino, un cinema euforico nella sua forma, in quanto concentrato su quella sensazione di contentezza e ottimismo già riportata dal dizionario, pur raccontando storie decisamente lontane da un simile stato d'animo.
Nei film della regista, infatti, non si raccontano storie spensierate o di benessere, è la visione dei suoi protagonisti a farsi euforica (non solo perché soggettaall'uso di stupefacenti, come nel naso del Matteo interpretato da Riccardo Scamarcio). I momenti più riusciti di Euforia sono proprio quelli più irrazionali e gioiosi. Il rapporto tra i due fratelli si scalda sempre più: dal buio avvolgente della prima, claustrofobica, inquadratura (in cui solo uno dei due è in scena), si finisce con la luce raggiante e fresca della sequenza finale, dove entrambi i personaggi tornano a respirare un po' di sana quotidianità mirando spensierati il cielo di Roma solcato dagli imprevedibili e istintivi voli di uno stormo di uccelli. La differenza tra questi momenti e l'evoluzione emotiva che li lega è evidente. Se all'inizio del film Matteo pensa di stare bene nella sua sfera individuale invalicabile e protettiva, è solamente sul finale che il suo cambiamento trova forma compiuta, osservando e godendo dello spettacolo del tutto irrazionale di uno stormo solamente per il gusto di stare bene. Il personaggio di Scamarcio proverà per tutti i minuti di film a essere euforico, nel senso etimologico del termine, ovvero a portare del bene a suo fratello. Eppure cadrà nella più comune delle trappole portando il suo bene senza domandarsi quale possa essere il bene migliore da offrirgli. Effettivamente, all'Ettore interpretato da Valerio Mastandrea non interessa il lusso della casa di Matteo, le sue compagnie altolocate, il suo lavoro da designer o la sua vita sessuale. Ettore vuole spendere un pomeriggio con le persone che più contano (la Elena a cui presta il volto Jasmine Trinca), a rimembrare i balletti di Stanlio e Ollio o, appunto, ad ammirare gli stormi su Roma.
Secondo Valeria Golino, l'euforia è «quella bella e pericolosa sensazione sperimentata dai subacquei nelle grandi profondità: un sentimento di assoluta felicità e di libertà totale. È una sensazione che deve essere immediatamente seguita dalla decisione di raggiungere la superficie prima che sia troppo tardi, prima di perdersi per sempre negli abissi». Effettivamente, di abissi nascosti e minacciosi, nel film ve ne sono molti: la disfatta matrimoniale di Ettore, la sua malattia, il rapporto con il fratello Matteo, la condizione economica in cui potrebbe ricadere la sua famiglia e le conseguenze alle quali potrebbe condurre una relazione longeva con Elena. Eppure, se nel cinema della Golino la narrazione si mette al servizio dell'emozione, allora non è alla disfatta drammaturgica a cui dobbiamo guardare per comprendere il rischio di una disfunzione totale in mancanza di euforia, bensì a quella, appunto, emotiva. Qui risiede il grande pericolo che alla regista preme evidenziare: l'assenza di rapporti sinceri e spontanei tra individui, guidati dal cinico raziocinio in nome di un egoismo ormai dilagante. Matteo mente a suo fratello in merito alle condizione della sua salute. Mente a fin di bene, convinto che sia la soluzione migliore per affrontare la malattia, ma non si è mai interrogato se anche Ettore la pensasse davvero così. Matteo è un calcolatore che cerca di mantenere il controllo per rimanere in equilibro tra le mille insidie che la vita gli presenta. Ettore invece, forse perché ormai disilluso e rassegnato, riesce ad abbracciare ancora qualche momento di «assoluta felicità e di libertà totale» (per dirla ancora una volta con le parole della stessa autrice) che lo porteranno (prima o poi) verso una morte dolce, proprio come ambivano i malati terminali di Miele.
In questo tanto semplice quanto arduo sguardo risiede l'importanza del cinema di Valeria Golino, un cinema delicato ma profondo, non sempre equilibrato o ponderato, ma spesso disordinato e confuso proprio come i personaggi che lo abitano, in cerca di una via di fuga ambita e ricercata che però, senza quella sana e necessaria dose di euforia, sarebbe inutile agguantare.
Simone Soranna, Cineforum n.579, 11/2018

Critica (2):Euforia è la storia di due fratelli. Di un nuovo incontro, dopo che la vita li obbliga a riavvicinarsi a causa di una situazione difficile.
Uno è Matteo (Riccardo Scamarcio), giovane imprenditore di successo, affascinante, dinamico e spregiudicato. L’altro, il maggiore, è Ettore, (Valerio Mastandrea), rimasto nella natia Nepi, ad insegnare nelle scuole medie. Un uomo cauto, che per non sbagliare ha sempre preferito rimanere un passo indietro, nell’ombra.
Valeria Golino, alla sua opera seconda dopo Miele (anche stavolta ospitata in Un Certain Regard al Festival di Cannes), scrive – insieme a Francesca Marciano, Valia Santella, con la collaborazione di Walter Siti – e dirige un film narrativamente meno estremo del precedente, ma nuovamente coerente per quello che riguarda eleganza e linguaggio cinematografico.
C’è ancora una volta la morte all’orizzonte, ma quello su cui si concentra l’attrice/regista napoletana è il nuovo modo di concepire la fratellanza tra due persone fino a quel momento divise per formazione e carattere, costrette dalla vita e dalle inclinazioni ad allontanarsi e nuovamente costrette dalla vita a ricalibrare il loro legame.
Non c’è mai lo scadimento nel banale, le poche scene madri presenti nel film riescono a mantenersi credibili anche grazie alla straordinaria prova dei due protagonisti, con Scamarcio davvero sorprendente (ed è ormai una crescita che possiamo considerare definitiva, pensando anche al doppio Loro di Paolo Sorrentino) e Mastandrea compassato al punto da rendere quell’incertezza della malattia così autentica, e dolorosa.
Ma non è “semplicemente” un film doloroso, questo della Golino. E a ricordarcelo non è solamente il bellissimo (e programmatico) titolo: l’Euforia è anche nella riscoperta delle piccole cose, nel riappropriarsi di un vecchio balletto infantile che faceva il verso a Stanlio e Ollio, o nel poter rivedere, magari solo per un breve pomeriggio, la giovane donna (Jasmine Trinca, meravigliosa anche in quelle sole tre pose) di cui ti sei perdutamente innamorato ma che le “cose della vita” ti hanno suggerito di lasciare indietro. (…)
Valerio Sammarco, cinematografo.it, 25/10/2018

Critica (3):(…) Presentato a Cannes nella sezione Un Certain Regard, Euforia racconta come cambia la vita del ricco e edonista Matteo (Riccardo Scamarcio) quando scopre che il fratello Ettore (Valerio Mastandrea) ha un tumore al cervello praticamente inoperabile. Omosessuale di successo, convinto di potersi permettere tutto in fatto di sesso ma anche di persone — uomini o donne, amici o amiche che usa senza troppi scrupoli — per riempire la sua vita da scapolo, Matteo crede di poter inglobare in questo suo modo di vivere anche il fratello malato, che ha prelevato dalla cittadina di provincia dove insegna per ospitarlo nel suo attico romano durante il periodo delle cure. Deciso a stordirlo con la stessa superficialità con cui sembra affrontare ogni cosa e che «giustifica» con ragioni di convenienza: nascondere la gravità della malattia per non spegnere la voglia di lottare e di vivere.
Nella prima parte di Euforia, lo scontro tra le personalità opposte dei due fratelli sembra scivolare verso una ricapitolazione dei topos sulla malattia al cinema: comunicare la gravità della situazione, tenere a bada le paure della madre, la crisi familiare che si somma a quella medica (Ettore ha lasciato moglie e figlio per una donna più giovane), il confronto tra il fratello di successo e l’altro no, le gelosie e le invidie del passato che tornano a premere. Ma ogni volta quello che poteva diventare un luogo comune o una situazione scontata sa trasformarsi per forza di regia in qualcosa di inedito e sorprendente: grazie a una sincerità che non nasconde la crudezza (e qui sembra di vedere la mano di Walter Siti, collaboratore alla sceneggiatura scritta da Francesca Marciano, Valia Santella e dalla regista), per forza d’invenzione (l’improbabile viaggio a Medjugorje fuori tempo massimo), per la scelta di raccontare i «mali» di Matteo più della malattia di Ettore. Fino a un finale che poteva sembrare «in tono minore» e che invece diventa l’unico possibile e necessario.
Resterebbe da ribadire il lavoro degli attori e con gli attori, tutti capaci di restituire credibilità ai propri personaggi: la madre di Marzia Ubaldi, la moglie di Isabella Ferrari, l’amante di Jasmine Trinca, l’amica di Valentina Cervi, l’innamorato dolente di Andrea Germani e naturalmente i due protagonisti. Senza che possa apparire una diminutio, Mastandrea deve affrontare il personaggio più «tradizionale», malato irrequieto alle prese con un destino che all’inizio forse non vuole nemmeno conoscere e che trova nella rabbia la forza per affrontare il domani. Ma è Scamarcio, gay inaspettato e senza freni, a sorprendere per la finezza della sua prova, mai scontato e però capace di una caratterizzazione inequivocabile (gli alterchi sul lavoro valgono mille moine), credibilissimo nel suo egoismo e insieme nei suoi momentanei dubbi. Un attore davvero maturo (anche per merito di una regista che quella maturità ha saputo trovare e mostrare).
Paolo Mereghetti, corriere.it, 21/10/2018

Critica (4):
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