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Apache - Apaches (Les )


Regia:de Peretti Thierry

Cast e credits:
Sceneggiatura: Thierry de Peretti, Benjamin Baroche; fotografia: Hélène Louvart; musiche: Cheveu; montaggio: Pauline Dairou; scenografia: David Bersanetti; costumi: Mati Diop; interpreti: François-Joseph Culioli (François-Jo), Aziz El Haddachi (Aziz), Hamza Meziani (Hamza), Joseph-Marie Ebrard (Joseph), Maryne Cayon (Pascale), Andréa Brusque (Pascale), Henri-Noël Tabary (Jean-Si), Danielle Arbid (Sophie), Michel Ferracci (Bati); produzione: Ferris Et Brockman, Stanley White; distribuzione: Kitchen Film; origine: Francia, 2013; durata: 82’. Vietato: 14.

Trama:Estate, nell'estremo sud della Corsica: Mentre migliaia di turisti invadono spiagge, campeggi e club, cinque adolescenti di Porto Vecchio gironzolano lì intorno. Una sera, uno di loro porta gli altri in una villa di lusso disabitata. I cinque passano la notte lì e poi, prima di andarsene, rubano alcuni oggetti di nessun valore e due fucili. Quando la proprietaria della casa arriva da Parigi, si lamenta del furto con un piccolo boss locale che lei conosce...

Critica (1):Se state in Corsica, occhio. Se state altrove, pure. Le vacanze non sono per tutti, meglio, i luoghi di vacanza non sono solo di vacanza. Mentre i turisti affollano spiagge, campeggi e locali, un gruppetto di adolescenti di Porto Vecchio si trascina abulico e senza meta, sperando in una svolta, un diversivo qualsiasi. Ma l'approdo, anzi, il punto di partenza di Apache è un fatto di cronaca: tre giovani ne uccidono un altro e lo seppelliscono nel bosco. Tutti e quattro provengono dalla città balneare e dalle sue periferie: due nativi della Corsica, altri due di origine marocchina, un poker di destini bruciati. Nato ad Ajaccio, l'esordiente regista Thierry de Peretti ha portato alla Quinzaine des Realisateurs dell'ultimo festival di Cannes e ora nelle nostre sale “alcune sfide: costruire la memoria di una piccola comunità; estrarre i nomi dei protagonisti dalla cronaca e affidarli al cinema; scongiurare, anzi, esorcizzare l'idea individuale del delitto per restituirlo a tutta la collettività”. Prima, aveva bisogno di una storia, una scintilla drammaturgica: Aziz aiuta il padre custode di una lussuosa villa, ma non si ferma qui. In assenza dei proprietari, invita a passare una notte deluxe nella casa gli amici, che all'alba se ne vanno portandosi appresso dei dvd, un impianto hi-fi e alcuni fucili da collezione.
Pur modesto, il furto non passa inosservato, e il proprietario non è uomo da chiamare la polizia: sussurra all'orecchio di un boss locale, e per Aziz e compagni si mette male, anche perché il primo sospettato è il padre del ragazzo... Direte, che c'è di nuovo? Avete delle buone ragioni, ma se il canovaccio è quello usurato del romanzo di (de)formazione, Apache ha trama poetica e ordito stilistico per non finire in un cassetto. Ci sono i conflitti che si vedono, e sono plurimi: isolani versus continentali, "proletari" contro borghesi, e in mezzo l'incomprensione e l'odio. Che esplodono e implodono in un pugno di ragazzini, coinvolti in un gioco da grandi che non fa ridere: ritorsioni, vendette e il capro espiatorio da individuare e immolare. Direte, che c'è di nuovo? E avete nuovamente ragione, ma oltre alla ruvida, spontanea e immediata bravura dei giovanissimi attori, Apache segna un altro punto a proprio favore nel rapporto mutuo e fertile tra habitat e personaggi: tante le location da una botta e via, ovvero una, due scene o poco più, per un tourbillon di luoghi che de Peretti conosce bene e cui noi riconosciamo qui un surplus antropologico, un'evenienza sociologica non banale. (…)
Federico Pontiggia, Il Fatto Quotidiano, 15/8/2013

Critica (2):(…) Debuttando nella regia, con Apache (richiamo alla malavita parigina belle époque), dopo un percorso sia di attore che di autore teatrale, il corso Thierry De Peretti non ha reso un gran servizio all'attrazione turistica della sua isola natale, alla sua idealizzazione di paradiso estivo, naturale, balneare. Né era questo il suo proposito.
II regista ha tratto spunto da un caso di cronaca nera specifico, un assurdo quanto efferato delitto commesso da un'improvvisata banda di ragazzi ai danni di uno di loro. Ma ancora di più dalla conoscenza del territorio e dalla percezione vissuta di una violenza diffusa. Che non è quella vagamente romantica e romanzesco/noir del luogo comune sui clan malavitosi corsi, ma quella prodotta dallo sfruttamento intensivo e speculativo del turismo sia di lusso che di massa e dalla contraddizione che la massiccia frequentazione vacanziera e stagionale provoca nel confronto con i residenti poveri e di origine nordafricana. Visualizzata dal film nel confronto tra luoghi dei piacere e squallide periferie che, a ridosso, convivono con quelli; evite precarie e subalterne – da guardiani, giardinieri, manovali, addetti alle pulizie – di chi serve, spia, invidia i vacanzieri. Confronto, contraddizione che però si addentra in un ulteriore merito. Generazionale.
Il ragazzino Aziz è il figlio confusamente in cerca di ribelle autoaffermazioni di un marocchino "integrato" o rassegnato che, con la moglie, è al servizio di una famiglia francese proprietaria di una villa.Aziz, che accompagnando spesso il padre conosce bene il luogo, sa come fare per penetrare nella casa senza chiavi. E così una notte d'estate, per fare il gradasso con tre amici e una ragazza che senza successo vorrebbe impressionare, conduce tutti a fare un'incursione. Aziz si limiterebbe a sguazzare un po' in piscina ma invece la cosa prende una piega molto più rovinosa. E non tanto perché l'amico che si ubriaca vomita dappertutto o perché la ragazza ha preteso come prova di coraggio che rubassero per lei uno stereo. Ma neanche il furto di due fucili da caccia, unica cosa di pregio, costituirebbe di per sé un problema così grave. Il fatto è che, arrivata l'indomani mattina, la proprietaria francese non si rivolge alla polizia ma al piccolo boss dell'edilizia e della mediazione immobiliare locale, il quale fa presto a sospettare della famiglia dei dipendenti marocchini. Tutto ciò scatena una dinamica di reazioni incontrollate nel gruppetto di giovanissimi ladri improvvisati. Improvvisati ma avvezzi a respirare sopraffazione e violenza. Di qui l'impasto indistinguibile, che fa il senso del film, tra innocenza e corruzione. Speranza di riscatto alla quale malgrado tutto si vorrebbe dare credito, e inguaribile malattia morale e sociale cui questa misera banda di adolescenti è già condannata. Forse anche per responsabilità degli pseudovalori che danno spettacolo sotto il loro naso di nullatenenti. Interessante la storia e soprattutto notevole la mano, sicura senza inutili orpelli, di chi la racconta.
Paolo D’Agostini, la Repubblica, 18/8/2013

Critica (3):

Critica (4):
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