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Abracadabra


Regia:Berger Pablo

Cast e credits:
Sceneggiatura: Pablo Berger; fotografia: Kiko de la Rica; montaggio: David Gallart; scenografia: Alain Bainée; costumi: Paco Delgado; effetti: Jordi San Agustín; interpreti: Maribel Verdú (Carmen), Antonio de la Torre (Carlos), José Mota (Pepe), José María Pou (Dott. Fumetti), Quim Gutiérrez (Tito), Priscilla Delgado (Toñi), Julián Villagrán (Pedro Luis), Javivi (Agustín), Saturnino García (Mariano), Ramón Barea (tassista9, Janfri Topera (Rogelio); produzione: Ibon Cormenzana, Jérôme Vidal, Ignasi Estapé, Pablo Berger, Mikel Lejarza, Mercedes Gamero Per Arcadia Motion Pictures, Perséfone Films, Pegaso Pictures, Noodles Production, Atresmedia Cine, Scope Pictures, Movistar+; distribuzione: Movies Inspired; origine: Spagna-Francia-Belgio, 2017; durata: 96’.

Trama:Carmen vive nella periferia di Madrid con il marito Carlos. Lei è una casalinga dedita alla famiglia; lui un operaio edile, tifoso di calcio che vive solo per il Real Madrid. Un giorno, la normale routine della coppia viene sconvolta per sempre. A un ricevimento di nozze, il cugino di Carmen, Pepe, ipnotizzatore dilettante, decide di dare una dimostrazione delle sue doti e chiede un volontario tra il pubblico e Carlos, scettico, decide di stare al gioco. Il mattino dopo, però, l'uomo inizia a comportarsi stranamente: qualcosa è andato storto e ora è posseduto da uno spirito. Tutti i cugini decidono così trovare insieme il modo per far tornare Carlos normale, mentre Carmen comincia a sentirsi curiosamente attratta dal "nuovo" marito.

Critica (1):Il film di Pablo Berger appare sin da subito come ibrido fluido di un’ironica evoluzione della commedia degli equivoci contaminata da stilemi del thriller e del cinema di suspense – elementi che, nel loro incontro, contribuiscono a creare un’atmosfera di complessiva assurdità.
Abracadabra ha un’anima doppia e mutevole come metamorfica è l’identità del personaggio su cui opera l’incantesimo del titolo. Tutto, nel film, pare avere un doppio – più o meno valido dell’originale – come l’esilarante riproduzione esatta della camera da letto della coppia scambista a partire da una pagina del catalogo “KILEA”.
Il doppio pare essere, se non necessario, perlomeno utile in un mondo di inetti, incapaci persino di svolgere l’unico ruolo che una stereotipizzazione comica al limite dell’assurdo assegna loro. Così, l’ipnotista è chiaramente impossibilitato ad affrontare le conseguenze dell’unico numero riuscito (per sbaglio), ed è costretto ad avvalersi dell’aiuto del “maestro”, che si rivela altrettanto inabile nel risolvere la situazione.
I personaggi sono intrappolati in una condizione di inadeguatezza dalla quale sembra difficile – se non impossibile – emanciparsi, quella stessa insicurezza cronica che porta la protagonista ad imitare il look di Madonna per il matrimonio che apre il film – e la figlia adolescente la esorta: “sei proprio uguale”.
In linea con gli individui semplici, ingenui e piattamente ridotti a una caratterizzazione povera dai pochi ed esasperati tratti salienti che il film ritrae, tutto il resto è altrettanto kitsch, relegato a un livello puramente superficiale, dove la magia è “abracadabra” e il motivetto scatenante di un assassino è il ballo del qua qua, dove un anziano moribondo riprende temporaneamente vita grazie alle mutande di Superman e dove l’incantesimo può avvenire solo dietro travestimento del “mago” – «hai l’eye-liner?», chiede prima del momento cruciale.
Eppure, l’unica via per trascendere questo microcosmo di superficialità e inidoneità è proprio l’ipnosi, connotata come il solo possibile medium di discesa verso una nuova e inesplorata profondità dell’essere. Un processo magico perché passibile di liberare i personaggi dalla trappola di un’ottusa apparenza, in un appuntamento inaspettato con l’inconscio, quello stesso – spaventoso – istinto primordiale che l’assassino incontra nelle proprie schizofreniche allucinazioni.
Sebbene travestita, ironicamente, ad assomigliare al resto dei personaggi, con abiti sgargianti – per non dare nell’occhio – la scimmia, visione che appare all’omicida e allo spettatore come indice e premonizione di una strage, è l’incarnazione di un impulso animale e sregolato. Lo stesso istinto che pare dominare sul terribilmente mal-educato Carlos, capace, nella propria ignorante sufficienza, di spezzare la solennità di un matrimonio (e del matrimonio in generale) inveendo contro una partita di calcio. E, paradossalmente, adeguato alle proprie mansioni di marito solo quando posseduto da un pazzo assassino.
È dunque uno spirito maligno che, per assurdo, e per contrasto, veste un ruolo di denuncia, palesando la disumanità di questi personaggi fantocci a partire dalla rivelazione di una loro maggiore inadeguatezza – rispetto al proprio essere di schizoide omicida.
La sua presenza, che rimane latente nel mondo di Abracadabra – il filmato della strage, la possessione di Carlos, il focolare intatto sin dopo il matricidio di decenni prima – è risolta non solo in un assurdo miglioramento della figura del marito – l’idealizzazione del partner perfetto – ma nell’infusione di una nuova consapevolezza in Carmen.
Nell’immensità della “stanza bianca” visitata durante la doppia ipnosi finale – quell’ambiente che si caratterizza come una sorta di inconscio collettivo – la moglie, liberata dalle catene di un ruolo che le sta stretto, è pronta ad affrontare quell’inedita (letterale) “profondità d’animo” e di intenti e finalmente capace di emanciparsi da un mondo tossico fatto di figure piatte e simulacri.
Carlotta Po, cineforum.it, 3/11/2017

Critica (2):Diretto e sceneggiato da Pablo Berger, Abracadabra racconta la storia di Carmen, che vive alla periferia di Madrid con suo marito Carlos. È una casalinga qualunque devota alla famiglia, mentre lui è un operaio edile e tifoso di calcio che vive per il Real Madrid. Un giorno le loro monotone vite cambiano per sempre. A un matrimonio il cugino di Carmen, l'ipnotizzatore amatoriale Pepe dà una dimostrazione. Chiede se tra il pubblico ci sia un volontario e Carlos, sebbene scettico, accetta. La mattina seguente Carlos comincia a comportarsi in modo strano – qualcosa è andato storto e adesso è posseduto da uno spirito. I due cugini iniziano insieme una surreale e comica ricerca per riportarlo alla normalità, mentre Carmen comincia a sentirsi stranamente attratta dal suo "nuovo" marito.
Con la direzione della fotografia di Kiko de la Rica, le scenografie di Alain Bainée, i costumi di Paco Delgado e le musiche di Alfonso de Vilallonga, Abracadabra viene così raccontato dal regista: "Abracadabra è una commedia ipnotica:commedia perché il pubblico riderà vedendo i personaggi tribolare in spassose avventure; e ipnotica perché il cinema, come l'ipnosi, è un sogno a occhi aperti. Racconta la storia di Carmen, una casalinga che segue ciecamente il vecchio adagio "Meglio il diavolo che conosci di quello che non conosci". Senza dubbio è la ragione per cui ama ancora il rozzo marito Carlos di un amore folle e schizofrenico.
A differenza di Blancanieves, il mio precedente film girato in un severo bianco e nero ed era muto, Abracadabra è pieno di colori saturi e ha un bel sonoro ad alto volume. Mentre Blancanieves era un melodramma gotico, Abracadabra è una commedia nera che porta gli spettatori in viaggio per Madrid, regala loro emozioni e un delirio di musica. Anche se, più che di commedia, si dovrebbe parlare di film matrioska: è una commedia all'interno di un dramma, che sta dentro a un thriller, che a sua volta è contenuto in un fantasy, che fa parte di... Una fusione di generi che cattura e sorprende fino all'ultimo istante".
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Critica (3):

Critica (4):
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