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Uomini, anni, vita


Regia:Gianikian Yervant, Ricci Lucchi Angela

Cast e credits:
Sceneggiatura e montaggio: Yervant Gianikian, Angela Ricci Lucchi; musica: Giovanni Battista Pergolesi (Stabat Mater); produzione: Eckart Stein, ZDF; distribuzione: Lab 80 Film; origine: Italia, 1990;; durata: 70'.

Trama:È impossibile non ricordare le lunghe attese, i viaggi, spesso inutili, per rintracciare i materiali per il film. Del desiderio di cercare documenti filmati sulle vicende degli armeni, dei loro contorni. Vicende legate a storie familiari, a diari dell'esilio. Del riunire materiali dispersi, sparpagliati, come il loro popolo, in continuo movimento. Riemergono durante la ricerca brandelli di film perduti, che allargano le linee dell'idea iniziale. Vengono alla luce le immagini di avvenimenti storici tenuti fino ad ora nascosti, sull'intero continente russo. L'arco temporale della preparazione, della realizzazione del film, inizia nel 1987 con un viaggio in Armenia Sovietica e prosegue dopo un pogrom e un terremoto, parallelo ad un terremoto politico nell'URSS. Simbolicamente, nel prologo del film, in un tableau-vivant appare la Santa Madre Russia, figurata. Ella abbraccia e sovrasta i popoli del Caucaso. Cristiani e musulmani sono inginocchiati ai suoi piedi, tenuti a bada dalla sua spada.

Critica (1):Uomini, anni, vita è il titolo dell'ultimo film di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, tornati dopo cinque anni al lungometraggio. Cinque anni dopo, quel percorso esotico-critico nel pianeta da colonizzare e nelle vecchie pellicole da trovare, esplorare, restaurare il cinema è rimasto forse lo stesso - una tempesta di immagini in cui cercare momenti di calma e silenzio - ma il mondo è certamente cambiato. Ed è cambiato soprattutto in quella sua parte di cui Gianikian, che vive a Milano, è originario, l'Armenia, abbattuta da un terremoto, dilaniata dai pogrom e sconvolta dalle vicende politiche dell'URSS. Era quasi naturale perciò per i due cineasti dedicare il loro nuovo film a questa nuova realtà, andando a cercare le origini della tragedia armena che quasi si contendono con le origini del cinema e di cui si poteva sospettare fosse rimasta qualche traccia visibile, impressionata su pellicole dimenticate: 1915, il genocidio degli armeni in Turchia, l'esodo, l'inizio della diaspora. Ed ecco, infatti: cavalcate e cariche di soldati turchi, diavoli rossi o blu accesi dai viraggi delle pellicole d'epoca. Una città in fiamme e le sue macerie, Erzerum. Una donna che piange sulle rovine della sua casa, e proprio in questo momenti iniziano i versi dello Stabat Mater di Pergolesi che accompagna tutto il film. Un requiem per la morte di un popolo. Ed ecco i soldati armeni dell'esercito zarista che attraversano la frontiera con i loro lunghi fucili per fermare o vendicare il massacro. Poiché nel passato come nel presente, nel bene e nel male, la storia dell'Armenia è legata a quella della Russia e dell'URSS, ed il film si sposta allora a San Pietroburgo, a mostrare la lontananza del potere dai drammi della sua gente: le solite sfilate di Zar, prelati e ufficiali o, poco dopo, i cortei dell'armata rossa vittoriosa e celebrante. Anche se il nuovo stato dedicherà poi alla Repubblica Socialista d'Armenia uno dei suoi documentari edificanti, in perfetto stile realsocialista: cibo e lavoro per tutti, sorrisi e volti radiosi. Ma la realtà dell'Armenia rimane quella delle immagini su cui il film torna per terminare, con inedite e stupende riprese del 1915: gli armeni in fuga che attraversano l'Azerbaijian, carri, muli carichi, facce tristi, figure solenni. Una Passione che si snoda per le montagne del Caucaso e che solo apparentemente si ferma a quegli anni e a quei film d'archivio. Ogni fotogramma, rallentato e contemplato, è un quadro, ogni sconosciuto personaggio è l'iniziatore di una futura famiglia. Mai didascalico, affidato solo alle vecchie immagini e al lavoro artigianale su di esse, il cinema di Gianikian e Ricci Lucchi rischia di essere ammirato solo per motivi esteriori, per un gusto avanguardistico-estetizzante della lentezza e del silenzio, ma questa volta esso è così traboccante di emozioni e di respiro storico da raggiungere, nelle sue parti migliori, il perfetto equilibrio di tutte le tante cose - tecnica, passione, arte, lavoro, ricerca, denuncia, lacrime - di cui è fatto.
Alberto Farassino, la Repubblica, 5/02/1991

Critica (2):Attraverso materiali filmati, quasi tutti inediti, trovati negli archivi dell'ex Unione Sovietica (e in piccola parte in quello dell'esercito britannico), pazientemente restaurati, risistemati, rifotografati, rimontati, i due autori di Dal Polo all'Equatore (1986) hanno ripercorso le tappe principali del popolo armeno (cui appartiene la famiglia di Y. Gianikian), condannato alla disperazione e all'esilio. Si va dal massacro del 1915 nella Turchia orientale, il primo genocidio del Novecento, al disperato esodo degli armeni nel 1918 dal Kharabagh e dall'Azerbaidjian russo, archetipo di tutte le obbligate diaspore del secolo. Sfilano immagini della Russia zarista con una cerimonia del 1906 a Pietroburgo per il terzo centenario della dinastia Romanov; di un giovanile Stalin sorridente durante una manifestazione a Mosca; di pescatori e contadini armeni al lavoro nella nuova Repubblica socialista d'Armenia. E un film di montaggio senza commento, con poche didascalie informative, accompagnato dallo Stabat Mater di Pergolesi. Emozionante, coinvolgente, ma anche di stimolo per reimparare a vedere. E a ricordare. Il titolo è lo stesso delle memorie di Ilja. G. Erenburg (1891-1967).
Il Morandini-Dizionario dei film, Zanichelli

Critica (3):

Critica (4):
Ricci Lucchi
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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