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Sedotta e abbandonata


Regia:Germi Pietro

Cast e credits:
Soggetto: Pietro Germi, Luciano Vincenzoni; sceneggiatura: Age, Scarpellì, Pietro Germi, Luciano Vincenzoni; scenografia: Carlo Egidi; fotografia: Ajace Parolina musica: Carlo Rustichelli; interpreti: Stefania Sandrelli (Agnese Ascalone), Saro Urzì (Don Vincenzo Ascalone), Aldo Puglisi (Peppino Califano), Lando Buzzanca (Antonio Ascalone), Leopoldo Trieste (Baron Rizieri Zappalà), Rocco D'Assunta (Orlando Califano), Lola Braccini (Amalia Califano), Umberto Spadaro (cugino di Ascalone), Paola Biggio (Matilde Ascalone), Oreste Palella (Maresciallo dei carabinieri di Potenza), Roberta Narbonne (Rosaura Ascalone), Rosetta Ursì (Consolata, la serva di casa Ascalone), Adelino Compardo, Gustavo D'Arpe, Vincenzo Licata, Attilio Martella, Salvatore Fazio, Italia Spadaro, Valeria Punturi; produzione: Franco Cristaldi per la Lux - Ultra - Vides/Lux - CCF; origine: Italia, 1963; durata: 113'.

Trama:Agnese, studentessa sedicenne, subisce violenza da parte del promesso sposo di sua sorella Matilde. Il padre, accortosi dell'accaduto, tenta di imporre le nozze riparatrici al seduttore. Questi però si rifiuta perché disprezza l'arrendevole fanciulla e, solo con la minaccia di una denuncia prima e della morte dopo, si rassegnerà alle nozze. Architettato un falso rapimento come pretesto per le nozze di fronte agli occhi della gente, il padre si trova di fronte al rifiuto energico di Agnese. Tuttavia il genitore vincerà ogni opposizione in nome dell'onore familiare e condurrà i due giovani all'altare. Colto da un collasso morirà, soddisfatto, proprio il giorno delle nozze mentre Matilde si chiuderà in convento.

Critica (1):I siciliani hanno spesso un senso della giustizia ingenuo, ma radicato e simile in gente di varia estrazione e di varia condizione. Il ragionamento è questo, sbagliato per un altro complesso di ragioni, partendo da premesse sbagliate; ma accettando per un istante le premesse, il ragionamento è questo: "Se mia figlia, anche maggiorenne, viene sedotta da uno, e io vado dal carabiniere che mi dice: quanti anni ha tua figlia, ventuno, ah, e allora che ci posso fare. Allora io vado da zio Turi, che manda a chiamare il colpevole e quello ripara". Ora, è sbagliata la premessa, cioè bisogna rispondere - e questo è un po' l'argomento del mio film - che se tua figlia è stata sedotta sono affari suoi, pazienza, ha sbagliato, se si tratta di un errore, non si muore per questo, e buonanotte. Ma accettata la premessa, in loro c'è questa aspirazione ingenua a una giustizia che non arriva. [...]
In sostanza, quello che soprattutto vorrei venisse fuori, da Sedotta e abbandonata, e vorrei che fosse il senso, che nel film si vedesse, se c'è, ma non so se ci sia, è la deformazione quasi goyesca di una realtà. Mi piacerebbe che un critico dicesse "da questa storia che fa ridere si esce con un senso agghiacciato di paura, come dopo aver assistito ad una galleria di cose, di facce, di mostri". Mi piacerebbe che si dicesse questo: cioè la mia ambizione sarebbe di averlo realizzato, di essere riuscito a dirlo.
Io trovo che il mio non è nemmeno un film molto siciliano, il film trae spunto dalla realtà siciliana, ci affonda dentro con tutte le radici per mirare ad un significato assolutamente simbolico che è proprio quello dell'alienazione, cioè è la rappresentazione di uomini alienati da un mito che in questo caso è quello dell'onore, che in altri casi può essere un altro mito, può essere la Patria, il Denaro, la Religione, non lo so, ce ne sono tanti. È la rappresentazione di un mondo alienato, in chiave grottesca, quindi esasperata, quindi gonfia, con un lievito velenoso. È una rappresentazione che mira a degli effetti crudeli, proprio perché vuol dare una scossa molto violenta, ma il suo scopo è assolutamente universale. A conforto di questa mia tesi oso dire che le reazioni sono, così, molto premature, perché finché un film non va davanti ad una platea di mille persone non si sa niente, ma i numerosi stranieri che ormai l'hanno visto hanno capito tutto, hanno sentito tutto, sovente senza neanche capire il dialogo, perché è un film molto composito. Sono diversi gli elementi; da una parte la Sicilia - se vogliamo considerarla sotto questo aspetto limitato - dall'altra per esempio è la legge. [...]
Questo veleno, se vogliamo limitarci alla considerazione del fatto onore-donna, un rapporto uomo-donna-onore-famiglia-legge che regola queste cose mi pare che sia tutt'altro che superato. Voi credete che sia superato, ma non è vero. Se voi sapete quante vite sacrificate ci sono, ma non solo in Sicilia, io prendo così la Sicilia anzitutto perché mi piace, perché mi eccita come paesaggio, ma io credo che intanto mezza Italia sia pressappoco nelle stesse condizioni psicologiche, mezza, non la Sicilia!, e poi questo costume non è altro che la punta estrema di un costume che è assolutamente nazionale, non sono frange. Vero è il contrario, che sono frange, punte eccezionali, quelle che contraddicono a questo, anche se hanno molto risalto, anche se fanno molto spicco sulle pagine dei rotocalchi, vedere così le ragazzine che ballano il twist; le ragazzine che ballano il twist sono delle eccezioni, la norma è diversa. Cioè questo costume, questa alienazione che sacrifica tanta parte del valore essenziale della vita dell'uomo non è assolutamente nazionale, non è soltanto nazionale, oso dire che è universale, [...] C'è un altro significato indiretto nel film, che è non universale ma per noi italiani importante, in quanto tratta la donna nella società, la donna nella famiglia, la donna nei rapporti con l'uomo, la donna schiava di certe cose, soggetta a certe altre, vittima. Propone quello che è uno dei temi fondamentali della nostra società, il divorzio; lo propone indirettamente, lo propone facendolo entrare di sotto l'ascella, ma è la radice di tutte le cose. Anche questo è un problema molto importante. Non è uno dei problemi più importanti della nostra vita?
AA.VV., Pietro Germi. Ritratto di un regista all'antica, Pratiche, 1989

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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