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Sangue vivo


Regia:Winspeare Edoardo

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura:
Giorgia Cecere, Edoardo Winspeare; fotografia: Paolo Carnera; musica: Gruppo Zoè; montaggio: Luca Benedetti; scenografia: Sabrina Balestra; costumi: Antonella Cannarozzi; suono: Bruno Pupparo; interpreti: Pino Zimba (Pino), Lamberto Probo (Donato), Claudio Giangreco (Giovanni), Alessandro Valenti (Luigi), Ivan Verardo (Biagio), Lucia Chiuri (Ada), Addolorata Turco (la madre di Pino), Morena Mighali (Morena), Edoardo D'Ambrosio (Edoardo), Anna Dimitri (Maria), Cinzia Marzo (Teresa), Antonio Carluccio (Uccio), Franco Gianni (Franco), Nico Cira-sola (Nicola), Antonio Chirivi (Resta), Donatello Pisanello (Da-nilo), Danilo Andrioli (Alessandro), Giuseppe Turco (Angelino), Elsa Lila (ragazza albanese), Antonio Mastria (Pasquale), Chia-ra Torelli (Francesca), Carlo Minerva (il padre di Francesca), An-tonio Malagnino (Rocco); produzione: Maurizio Tini, per Sidecar Films & TV; distribuzione: Pablo; origine: Italia, 2000; durata: 100'.

Trama:Salento, oggi. Due fratelli si arrangiano per tirare a campare giorno dopo giorno. Uno tira avanti facendo il contrabbando e con traffici poco puliti tra una sponda e l'altra del mar Jonio. L'altro è invischiato in storie di droga. L'amore per la musica che li lega sarà per loro un'ancora di salvezza sul tragico destino che imcombe sulle loro vite.

Critica (1):"Cade a pezzi a quest'ora sulle terre del Sud / un tramonto da bestia macellata. / L'aria è piena di sangue, / gli ulivi, e le foglie del tabacco, / e ancora non s'accende un lume" (Vittorio Bodini, Poesie, 1939-1970) Con Sangue vivo Edoardo Winspeare torna a raccontare la sua terra d'origine, la "terra del rimorso". Così definiva Ernesto De Martino il Salento nel suo studio sul tarantismo; la parola "rimorso" non è da intendersi come consapevolezza tormentosa di un male commesso al quale si vorrebbe porre rimedio, bensì come impossibilità di ricordare un passato "cattivo" non scelto, che continuamente ri-morde, rigurgita, opprime. Il morso avvelenato della tarantola è il simbolo mitico di questo passato nel quale confluiscono conflitti psichici irrisolti, spinte istintive represse da angusti precetti, ma anche le frustrazioni inferte dalla storia e dalla miseria a una terra arsa dal sole e allucinante nel suo splendore.
A questa terra e alla sacra follìa della tarantate - le donne (ri)morse dalla tarantola e immerse in un mortale languore o in un' agitazione senza freni che solo i ritmi sanguigni e ossessivi della pizzica (un cerimoniale coreutico musicale legato alla iatromu-sica dell' antica Grecia) riescono a placare - Winspeare ha dedicato il documentario San Paolo e la tarantola e il suo primo lungometraggio Pizzicata. In Pizzicata – ai cui ampi riconoscimenti ottenuti all'estero non è ancora corrisposta in Italia un'adeguata distribuzione – il regista ritrae con amorevole rigore (che fa ripensare all'Olmi de L'albero degli zoccoli) la realtà di un mondo rurale ormai estinto: in un paesaggio arcaico e incontaminato risaltano i gesti quotidiani dei contadini: mani che lavorano la terra, che si muovono nei rituali della preghiera e della danza, che colpiscono nel furore di passioni incontenibili.
In Sangue vivo è invece il Sud di oggi a essere mostrato, un Sud profondamente mutato, stravolto, che tuttavia tenta di opporre alle spinte omologanti le proprie specificità culturali, le proprie tradizioni esemplificate con efficacia dalla pizzica, le cui note (ampiamente utilizzate nel film in tutto il loro vivificante ed estenuante vigore, sia a livello intra-narrativo che extra-narrativo) continuano ad attraversare i secoli in una giocosa e al contempo tragica ripetitività. Alla tradizione appartiene anche il dialetto salentino, al quale il regista ancora una volta non rinuncia (aggiungendo i sottotitoli in italiano) per non tradire la "realtà". Gli attori, non professionisti, sono "veri": Pino Zimba, ad esempio, interpreta se stesso e con l'omonimo protagonista del film ha anche in comune un passato difficile riscattato dalla passione per la pizzica. A Winspeare preme documentare la realtà del Sud, non solo nei più appetibili aspetti del folclore - si pensi alla fin troppo facile suggestività ottenuta dai colori delle luminarie, delle mongolfiere, dei fuochi d'artificio - ma anche in quelli più inquietanti. Non è la bellezza dei luoghi ad essere messa in risalto - solo brevi inquadrature sono dedicate all'azzurro del litorale scandito dalle torri costiere, alle campagne inondate da una luce che sembra corrodere le pietre, agli ulivi secolari rischiarati dalla luna - ma il degrado di un paesaggio urbano e rurale deturpato da un'edilizia scriteriata, dall'incuria, dall'abbandono. In una stradina di campagna è buttata una vasca da bagno, le antiche masserie non sono che costruzioni fatiscenti, ai tradizionali muretti a secco si sostituiscono quelli in blocchetti di cemento. I paesi hanno perso la loro grazia, le periferie sono brutte, anonime: i muri scrostati, imbrattati. Se in Pizzicata facevano da sfondo ad alcune scene le belle piazze dei piccoli centri del Basso Salento (Presicce, Tricase), in Sangue vivo l'inquadratura della colonna di S. Oronzo a Lecce sembra quasi un errore di montaggio, in quanto ogni altra preziosità architettonica della città "barocca" è volutamente esclusa. Anche la realtà sociale descritta non è meno desolante: contrabbando di sigarette, trasporto di clandestini dall'Albania, mafia, droga, delinquenza. La bellezza, l'armonia, l' incanto sono relegati nel sogno, nelle immagini del sogno della madre che aprono il film: tutta la famiglia, ad esclusione di Zimba, è riunita nel proprio podere, la m.d.p. si avvicina al sorriso del padre, al vibrare del tamburello di Donato, al festoso battere delle mani della madre, ai piedi danzanti di Maria: la valenza onirica è sottolineata dall' impiego del ralenti, da un canto melenso di voci fuori campo e dalle immagini tinte di rosso, lo stesso colore della terra del Salento. Quel paradiso si è perduto nel ri-morso del passato: Zimba soffre per non aver saputo evitare la morte del padre, il fratello dopo quella disgrazia non ha più pace e si lascia ri-mordere dal non-senso, dal morso di un'altra temibile tarantola, la droga; e forse per sottolineare questo parallelismo il regista si lascia andare negli estenuanti primi piani del volto di Donato. in trance per l'effetto del narcotico. Le figure femminili emergono per dirittura morale: la moglie di Zimba, pur con le sue velleità piccolo- borghesi, invita il marito a cambiare vita; Francesca, la fidanzata di Donato, è disposta a pazientare "cent'anni" pur di poterlo riamare ancora; Maria apre ai fratelli la porta di un probabile successo discografico; la madre è portatrice del sogno nel quale il padre appare per rassicurare lei - e, attraverso di lei. tutti ali altri - di esistere ancora. La madre è il muro portante che sostiene l'intera famiglia (sulla sua casa è costruita emblematicamente quella di Zimba) ed è sempre ritratta con particolare cura e delicatezza: mentre pulisce la cicoria o piega le lenzuola del bucato, mentre dona al figlio un tamburello comprato alla fiera o posa i fiori sul pozzo che ha inghiottito il suo uomo. Il pozzo si carica di valenze simboliche: è sorgente di vita con le sue acque che dissetano gli uomini e l'arida terra, è luogo di congiunzione fra il regno dei vivi e la profondità misteriosa di quello dei morti. Qui la madre prega e accarezza il tamburello del marito lasciato sulla vera. Vicino al pozzo Zimba muore non prima di aver persuaso il fratello a suonare lo strumento del padre. Il tormentato rapporto fra Zimba e Donato - che ha molti punti di contatto con quello dei due fratelli in Così ridevano di Amelio - si risolve nel sacrificio dell'uno per amore dell'altro. Se in tanti film "meridionali" (si pensi al drammatico Rocco e i suoi fratelli fino al lieve Pane e tulipani) si assiste alla deflagrazione dell'istituzione familiare, in Sangue vivo i legami "di sangue" rimangono saldi ed erompono nel finale: Zimba "entra" nel sogno della madre dal quale era stato escluso - le immagini iniziali sono riprese dal suo punto di vista - e, diventandone parte, si ricongiunge con il padre, la madre, i fratelli in un ineffabile altrove. Donato accompagna il fratello verso la morte e batte, batte il tamburello per far urlare l'anima e ammansire il dolore.
Eliana Elia, Segnocinema n. 104, luglio-agosto 2000

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Edoardo Winspeare
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