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Piazza Garibaldi


Regia:Ferrario Davide

Cast e credits:
Soggetto: da un’idea di Marco Belpoliti; sceneggiatura: Davide Ferrario, Giorgio Mastrorocco; fotografia: Ezio Gamba; musiche: Brani di Giuseppe Verdi; montaggio: Claudio Cormio; interpreti: Salvatore Cantalupo (Luciano Bianciardi, adattato da "Da Quarto a Torino", 1960), Luciana Littizzetto (Giacomo Leopardi, adattato da "Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'Italiani", 1824), Marco Paolini (Umberto Saba adattato da "Scorciatoie e raccontini", 1946), Filippo Timi (Alberto Savinio, adattato da "Immortalità degli italiani", 1944); produzione: Davide Ferrario per Rossofuoco in collaborazione con Rai Cinema; distribuzione: Cinecittà Luce; origine: Italia, 2011; durata: 100’.

Trama:A 150 anni dalla spedizione dei Mille il documentario ripercorre l'itinerario affrontato dagli uomini di Garibaldi, per verificare cosa è rimasto del senso di quella impresa per la quale, a fine Ottocento, vennero intitolate all'eroe dei due mondi decine di migliaia di vie e di piazze. A partire da Bergamo (che diede il maggior numero di volontari alla spedizione) si passa poi Pavia (patria dei fratelli Cairoli), Torino (motore politico dell'unità d'Italia), Genova (tappa storica della spedizione), Caprera (isola dell'esilio del Generale) arrivando poi nelle zone del Sud d'Italia testimoni della folgorante impresa garibaldina: la Sicilia di Marsala, Calatafimi, Palermo e Milazzo; la Calabria e la Basilicata per seguire le tracce dei sanguinosi scontri fratricidi posteriori al 1860; la Campania con Napoli, il Volturno e Teano, ma anche del Sannio, l'unico luogo in cui i garibaldini vennero sconfitti da un'insurrezione locale sanfedista. Gli incontri con i discendenti dei garibaldini e il racconto dei personaggi e delle loro storie sono intervallati dalla messa in scena di brani tratti dai classici della letteratura nazionale: da Machiavelli a Leopardi, da Umberto Saba a Sciascia, tutti basati sul "carattere degli italiani".

Critica (1):In occasione del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, Davide Ferrario ripercorre con Piazza Garibaldi il tragitto che da Quarto condusse i Mille a Marsala, fino poi allo storico incontro a Teano con Vittorio Emanuele II. L’obiettivo del regista è ovviamente quello di riflettere sull’Italia contemporanea, sulle divisioni tra Nord e Sud, ma soprattutto sull’assenza di uno sguardo fisso puntato sul futuro: perché, come viene ben sottolineato all’inizio, se le manifestazioni di Torino nel 1961 per i Centenario avevano un carattere quasi da romanzo di fantascienza, tutto incentrato verso il domani, oggi l’atteggiamento generale è determinato perlopiù da perplessità e pessimismo, preferendo concentrarsi sul qui e ora piuttosto che cercando di spostare il nostro pensiero in avanti. Alternando il suo viaggio attraverso il Sud di oggi alla lettura della corrispondenza dei volontari garibaldini dell’epoca, Ferrario mette a nudo il progressivo venir meno dell’entusiasmo di un popolo che oggi appare sempre più smarrito e privo di coordinate: dalla Sicilia fino alla Campania, ascolta le testimonianze degli abitanti e registra i mutamenti del paesaggio, affidandosi di tanto in tanto a volti celebri (Luciana Littizzetto, Filippo Timi, Marco Paolini) per dare voce alle parole di chi la Storia d’Italia l’ha raccontata veramente; in questo senso appare particolarmente felice la riflessione di Umberto Saba sulla natura fratricida che, a partire da Romolo e Remo, sta alle fondamenta del nostro Paese. Perché, come viene più volte sottolineato, dal 1861 in poi non c’è mai stata una vera e propria rivoluzione nel nostro paese, nessuna rivolta contro i Padri: solo un incessante bagno di sangue tra fratelli, gli stessi “Fratelli d’Italia” che avrebbero dovuto piantare il seme di una nuova società e che invece hanno finito solamente per ammazzarsi tra di loro. Non sempre però il discorso di Piazza Garibaldi centra il bersaglio: alcune osservazioni e alcuni parallelismi finiscono per abbandonarsi alle banalità e ai luoghi comuni, come le scritte della Lega Nord sulle pareti del paese dove le camicie dei garibaldini vennero dipinte di rosso, oppure il ridicolo intervento delle tre giovani ragazze, ingenuamente fiere della propria ignoranza e ben felici di apparire in televisione: anche il discorso sul ruolo e l’importanza del Mito tutto italiano della Famiglia appare fuori luogo; non perché privo di fondamento, ma perché viene relegato in coda al film e mai approfondito davvero, mentre invece – probabilmente – si meriterebbe un documentario a parte tutto per sé. In ogni caso, è apprezzabile l’atteggiamento con il quale Ferrario presta attenzione alle parole di tutti, nel tentativo di delineare il quadro di una situazione enormemente complessa e affatto riducibile a uno schema manicheo (l’associazione dei “Neo-Borbonici” in Campania…), come invece molto spesso si tende a fare: in più, viene abbandonata qualsiasi forma di sentimento facilmente pessimista, per cercare di guardare alla nostra giovane, vecchia Italia con occhio sì concreto e reale, ma non per questo privo di speranza. Un documentario più importante che davvero bello, ma comunque uno strumento utile per non smettere mai di guardare a noi stessi e alla nostra Storia.
sentieriselvaggi.it

Critica (2):“L’Italia, demograficamente, si sta estinguendo. Tra cento anni non ci saranno più gli italiani come li conosciamo”. È il grido di dolore di Davide Ferrario, che è alla Mostra, in Controcampo, con un documentario intitolato Piazza Garibaldi, come le tante piazze risorgimentali del nostro paese, accolto con dieci minuti di applausi in Sala Grande. Come il precedente La strada di Levi il film è un road movie, in questo caso dal Nord a Teano, sulle tappe della spedizione dei Mille. Ma il Risorgimento è lo spunto per raccontare l’Italia di oggi e soprattutto quella di un futuro che non c’è. Prodotto da Rossofuoco con Rai Cinema (...) Piazza Garibaldi parte da Bergamo, città natale del regista, che ora vive a Torino. Da Bergamo venivano 180 camicie rosse, erano giovanissimi, spesso non arrivavano ai 20 anni. Lì Ferrario frequentò il liceo insieme a Giorgio Mastrorocco, oggi storico di professione e coautore della pellicola.
Ai due viaggiatori fanno da guida le lettere di quei ragazzi alle famiglie e le voci di Luciana Littizzetto, Filippo Timi, Salvatore Cantalupo e Marco Paolini, che leggono pensieri di grandi scrittori. Voci inattese. Per Umberto Saba gli italiani non hanno mai fatto una vera rivoluzione perché non saprebbero uccidere il padre, ma sono fratricidi per vocazione, da Romolo e Remo in avanti. “Il nostro è l’unico popolo che ha come mito fondativo un fratello che ammazza l’altro, in un paese che fa della famiglia un culto è una bella contraddizione. Anche la sinistra italiana è fratricida, divisa in correnti, con i leader uno contro l’altro”. Per Giacomo Leopardi “gli italiani posseggono l’arte di perseguitarsi scambievolmente con le parole” e a sentirlo dire da Luciana Littizzetto sembra di vedere la rissa di un qualsiasi talk show. Per Alberto Savinio “le passioni bruciano, gli italiani sono incombustibili”, insomma si sentono immortali. E via citando.
Ma alle parole si accompagnano le immagini, le tante tappe che ci portano a incontrare leghisti e neoborbonici. “Quando eravamo giovani, noi che ora siamo cinquantenni, il Risorgimento non ci evocava un sentimento positivo – prosegue il regista (...) - ora sono cambiati i tempi e il mio punto di vista”. L’estinzione è una possibilità concreta, di cui parla un articolo del ‘Wall Street Journal’. È sparito il senso del futuro. “Quello che manca ai giovani oggi è la speranza che ciascuno è in grado di modificare il suo destino, di trovare la sua strada. Siamo un paese totalmente riverso sul passato, un paese vecchio che non sa di esserlo”. Eppure, racconta ancora Ferrario, “quando abbiamo fatto vedere il film ai ragazzi ci hanno detto che gli faceva venire la giusta rabbia”.
Cristiana Paternò in raicinema.mostradelcinema

Critica (3):

Critica (4):
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