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Amore buio (L’)


Regia:Capuano Antonio

Cast e credits:
Soggetto
: Antonio Capuano; sceneggiatura: Antonio Capuano; fotografia: Tommaso Borgstrom; musiche: Pasquale Catalano; montaggio: Giogio Franchini; scenografia: Maica Rotondo; costumi: Francesca Balzano; interpreti: Irene De Angelis (Irene), Gabriele Agrio (Ciro), Luisa Ranieri (mamma di Irene), Corso Salani (padre di Irene), Valeria Golino (psicologa del carcere), Anna Ammirati (analista di Irene), FabrizioGifuni (psicoterapeuta); produzione: Gianni Minervini Per L.G.M.-Ellegiemme in collaborazione con Rai Cinema; distribuzione: Fandango; origine: Italia, 2010; durata: 110’.

Trama:Le ripercussioni e le conseguenze di uno stupro brutale ai danni della sedicenne Irene da parte di un gruppo di coetanei. Uno di loro, Ciro, denuncerà se stesso e i suoi compagni finendo in carcere. Irene, dal canto suo, è anche lei imprigionata a causa dell'aggressione fisica e psicologica subita. Gli universi di Irene e Ciro, seppur distanti, inizieranno lentamente un irresistibile avvicinamento.

Critica (1):Antonio Capuano è innamorato perso della sua Napoli. È una passione che manifesta in certa verbalità viscerale, nel ricorso continuo ai termini dialettali, nell’esasperare certe consonanti, indugiando nella pronuncia per fare sentire tutta la sua aderenza alla città. E da passionale ne urla tutta la bellezza, ma non ne nasconde le miserie. Un grido che ha il sapore di protesta, di ultimo avvertimento e alla fine di preghiera per risollevare le sorti del centro cadente, per estirpare camorra e criminalità. Napoli è l'anima anche del suo ultimo film, L’amore buio [...]. L’amore buio che descrive nella pellicola è quello di un ragazzino che partecipa a uno stupro di gruppo, ma che poi si costituisce denunciando se stesso e gli altri e si innamora, ricambiato, della sua vittima. [...] Ma l’amore buio è anche quello sofferto per la sua città, di cui mette in luce il contrasto tra il calore e l’illegalità dei quartieri spagnoli e la freddezza dell’alta borghesia, a cui appartiene la vittima, che non è mai entrata in un vascio, un basso.
[...] I protagonisti, Ciro, Gabriele Agrio, e Irene, Irene De Angelis, Capuano li ha scovati nelle scuole, dopo migliaia di provini. «Quando ho visto quel guaglione bellissimo, con quegli occhi roventi, pazzeschi, sono rimasto ammaliato. Quando poi l’ho sentito leggere la poesia sull’amore, fulcro della pellicola, sono rabbrividito. Gli ho fatto ripetere l’incipit decine di volte e lui si fermava sempre dopo la prima riga, alzava lo sguardo e faceva rimanere tutti tramortiti». Ciro è stato pescato in un istituto tecnico di Volla, un comune nella periferia napoletana, indisciplinato studente con in testa solo il pallone. Del suo sguardo diretto, piantato sul prossimo, aveva paura perfino Valeria Golino, che interpreta la parte della psicologa del carcere di Nisida, dove è rinchiuso Ciro. Golino è irriconoscibile: gli occhi chiarissimi trasformati in uno scialbo nocciola, le sopracciglia quasi unite, una peluria baffuta sopra le labbra, la pelle opaca e i capelli sporchi. «C’è una scena in cui Ciro dice alla psicologa che gli fa pena perché è brutta. E lo dice in maniera così convincente che Valeria ha una reazione sinceramente risentita». Irene, invece, è di estrazione borghese e si vede, nelle movenze e nell’eleganza con cui indossa gli abiti semplici. «Ero in un liceo e scherzando con le studentesse facevamo il calcolo del valore di ciò che indossavano: la media era 700 euro – spiega Capuano – Irene arrivava a stento a trenta euro, con vestiti comprati al mercato. Mi piaceva quel volto da Madonna quattrocentesca. Il suo fare legnoso, assente, era perfetto per una guagliona che aveva subito un trauma del genere, sperduta nel suo dolore. Irene si era distratta perfino quando Gifuni faceva quel discorso toccante sulla memoria, e mi sono detto “Guarda questa gioventù...”».
Fabrizio Gifuni ha una parte breve ma intensa: è lo psicoterapeuta del corso di teatro che Irene frequenta per cercare di sconfiggere il trauma che la rende impassibile a ogni emozione. Gifuni spiega l’importanza della memoria e degli attori, gli unici a lavorare veramente sui ricordi, perché devono introiettare le parole e renderle proprie. «Ho azionato la macchina davanti a Fabrizio e gli ho chiesto di dire tutto quello che voleva. In pratica interpreta se stesso e mi sono trovato in pieno accordo con ciò che diceva». Una lezione civile che si riannoda in maniera naturale a quella che tengono nel carcere altri due personaggi che interpretano loro stessi: don Luigi Merola, che incita i ragazzi a reagire al dominio della camorra e lo scrittore Silvio Perrella, che racconta l’importanza della denuncia pubblica e il rifiuto del cinismo e dell’accettazione. La madre di Irene è la bellissima, ma troppo giovane per la parte, Luisa Ranieri, mentre il padre è Corso Salani – scomparso il 16 giugno scorso e che sarà ricordato alle Giornate degli Autori – in una riflessiva e quasi dolente ultima apparizione.
L’amore di Ciro e Irene è così tenace, contro tutto e tutti, che assume i contorni di una storia pulita. «La passione ha sempre dei lati oscuri, delle ombre recondite di violenza che vorresti sfogare sull’altro e a trattenerti è solo l’educazione. Facendo
l’amore a volte vorremmo mangiare l’altro, digerirlo addirittura. Più è forte il sentimento, più è buio». Se coroneranno o meno la loro unione, Ciro e Irene, Capuano non lo dice, ma promette un finale enigmatico, di quelli da dibattito del dopo-visione.
Cristina Battocletti, Il Sole-24 Ore, 3/09/2010

Critica (2):Prima dei titoli di testa, uno stupro. A Napoli, di notte. La vittima è una ragazza della buona borghesia, l’aggressore uno del branco, uscito dai bassifondi. Lo acciuffano, è minorenne, lo rinchiudono nel carcere di Nisida. Cominciano due storie parallele. Da una parte quella della ragazza, Irene, che stenta ad uscire dal suo incubo nonostante le attenzioni premurose dei familiari e di un fidanzato pronto a sposarla e ad andare via con lei. Dall’altra quella del ragazzo, Ciro, che pur sempre più oppresso dal rimorso per il suo gesto, imparando lì un mestiere e intrattenendosi con una psicologa, esce un po’ per volta da quel suo stato semiselvaggio cui fino a quel momento si era abbandonato e si mette persino a scrivere: non solo poesie, ma una lettera al giorno a Irene, ansioso di comunicare con lei. Quelle lettere però Irene non le legge subito dato che i suoi genitori gliel’hanno nascoste. Poi lui finirà di scontare la sua pena e lei lo vedrà solo quando uscirà di prigione. Forse senza avvicinarlo...
L’autore è Antonio Capuano che spesso, con il suo cinema, si è occupato di problematiche giovanili, da Vito e gli altri, a Pianese Nunzio, a La guerra di Mario. Qui la sua indagine psicologica l’ha spinta fino agli estremi, con i turbamenti di quella stuprata e i tormenti spesso laceranti del giovane stupratore. La sua trovata è stata quella di raccontare i due drammi a distanza l’uno dall’altro - l’uni co faccia a faccia è alla fine - e di costruire la sua storia spesso con ellissi e silenzi insistiti in modo da proporre, più che l’incontro, un confronto anche simbolico di due mondi e di due personalità quasiopposte, senza collegamenti fra loro. Analizzandovi al centro l’evoluzione di quei due caratteri che, intenzionalmente, poi non porta a compimento. Privilegiando il non detto. Potranno rilevarsi situazioni così fugaci da risultare inespresse se non addirittura pleonastiche e, attorno, figure secondarie senza approfondimenti precisi, ma nel suo complesso il film può convincere, specie per il linguaggio asciutto ma anche intenso con cui Capuano l’ha rappresentato. I protagonisti, Irene De Angelis e Gabriele Agrio, sono due esordienti. Scelti con attenzione.
Gian Luigi Rondi, Il Tempo, 3/9/2010

Critica (3):

Critica (4):
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