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Mein Führer - La veramente vera verità su Adolf Hitler - Mein Führer - Die wirklich wahrste Wahrheit über Adolf Hitler


Regia:Levy Dani

Cast e credits:
Soggetto: Dani Levy; sceneggiatura: Dani Levy; fotografia: Carl-Friedrich Koschnick, Carsten Thiele (operatore e dir. fotog. modellini); musiche: Niki Reiser; scenografia: Christian Eisele; costumi: Nicole Fischnaller; effetti: Frank Schlegel; interpreti: Helge Schneider (Adolf Hitler), Ulrich Mühe (Prof. Adolf Grünbaum), Sylvester Groth (Dott. Joseph Goebbels), Adriana Altaras (Elsa Grünbaum), Stefan Kurt (Albert Speer), Ulrich Noethen (Heinrich Himmler), Lambert Hamel (Generale Rattenhuber), Udo Kroschwald (Martin Bormann), Ilja Richter (Kurt Gerheim), Katja Riemann (Eva Braun), Meret Becker (segretaria); produzione: Y Filme, X Filme, Wdr, Br e Arte; distribuzione: Videa Cde, Warner Bros. Pictures Italia; origine: Germania, 2007; durata: 89'.

Trama:Dicembre 1944: la cosiddetta "guerra totale" è ormai persa ma Goebbels non vuole darsi per vinto tanto facilmente e per riuscirci ha escogitato un piano: il Primo dell'Anno il Führer riaccenderà lo spirito combattente dell'opinione pubblica pronunciando un discorso piuttosto aggressivo. L'unico problema è che il Führer non può farlo: ormai malato e depresso evita qualunque esibizione pubblica. L'unica persona che potrebbe aiutarlo in qualche modo è il suo vecchio insegnante di recitazione, Adolf Grünbaum... un Ebreo.

Critica (1):L'ultima volta che il Führer è stato rappresentato sul grande schermo ha preso le sembianze gelide ma fortemente espressive di Bruno Ganz nel discusso La caduta di Oliver Hirschbiegel. Nel nuovo lavoro di Dani Levy, la figura del noto dittatore tedesco viene osservata attraverso gli occhi malinconici e profondi di un insegnante di recitazione ebreo interpretato da Ulrich Mühe la cui scomparsa prematura fa acquistare alla pellicola un peso decisamente diverso. Siamo nella Germania nazista del 1944. Hitler, ormai stanco e depresso, evita qualsiasi incontro pubblico. Ha bisogno di riacquistare credibilità e prestigio presso l'opinione pubblica afflitta da una guerra ormai persa. Decide, così, di farsi aiutare da un attore ebreo, Adolf Grünbaum, per rinvigorire le sue doti oratorie.
Per quanto Levy si attenga ai fatti storici, la storia e le circostanze narrate sono frutto della propria fantasia e immaginazione. Due elementi sono veritieri. Hitler ha realmente avuto un maestro di recitazione il cui lavoro consisteva nel migliorare le qualità respiratorie e gestuali. L'altro aspetto fondato gioca sulla difficile infanzia dello spietato gerarca testimoniata da un libro di Alice Miller che Levy ha letto con attenzione per la stesura dello scritto.
Come nel suo film precedente, Zucker!...come diventare ebreo in 7 giorni, Levy conferma la sua capacità di trattare temi delicati e fastidiosi bilanciando continuamente satira e spirito critico. Il cineasta è consapevole che gli strumenti sovversivi della commedia decostruiscono più facilmente il cinismo e la ferocia dei personaggi raffigurati. Gli stessi in ambito tragico sono più difficili da trattare perché aumenta il rischio di una frettolosa didascalia. Dall'inizio alla fine, il soggetto si avvale di una narrazione forte in cui ogni situazione è ben disegnata e concatenata. In ogni fase del racconto, tutti gli elementi contenutistici e formali sono in gioco: l'umorismo ebraico, il sottile confine tra fantasia e realtà, figure smontate continuamente, una musica minimalista e un buon gioco di equilibrio tra ricostruzioni storiche e realizzazione al computer.
Matteo Signa, mymovies 2007

Critica (2):Premessa: secondo noi, ridere su Hitler, si può. L'hanno fatto un ebreo (Ernst Lubitsch con Vogliamo vivere) e un gentile (Charlie Chaplin con Il grande dittatore) in passato. L'hanno rifatto un ebreo (Radu Mihaileanu con Train de vie) e un gentile (Roberto Benigni con La vita è bella) in tempi recenti. Moni Ovadia, dal canto suo, non perde occasioni per spiegarci che l'umorismo è un'arma formidabile contro ogni dittatura. Per cui, dal nostro punto di vista, non c'è alcuna controindicazione a Mein Führer, la commedia satirica dello svizzero Dani Levy in cui s'immagina che un Hitler in piena crisi psicologica (e ci credo, i russi sono alle porte di Berlino...) si fa insegnare da un attore ebreo le tecniche per vincere la depressione e tenere con la giusta energia un ultimo grande comizio al popolo e al Reich tutto. Se invece pensate - legittimamente - che il nazismo e l'Olocausto siano argomenti tabù, che la comicità e il cinema non li debbano nemmeno sfiorare, smettete pure di leggere: tanto, a vedere Mein Führer non ci andrete mai, e lungi da noi il rimproverarvi per questo. Come sempre in questi casi, le polemiche suscitate dai film si rivelano pretestuose e il vero argomento del contendere è, paradossalmente, tutto "interno" al mezzo cinematografico. Il problema è se i film sono brutti o belli, riusciti o non riusciti. Altro esempio: nel 2004 ci furono molte discussioni su La caduta, film drammatico sugli ultimi giorni di Hitler accusato di rendere il dittatore troppo "umano". Anche qui, il presupposto è sbagliato: ovviamente Hitler era "umano", nel senso che non veniva da Marte e pensarlo come un "alieno" sarebbe troppo comodo; e il problema stava tutto nella modestia e nella banalità del film, diretto non a caso da un regista (Oliver Hirschbiegel) che poi è finito a Hollywood a girare uno stupidissimo remake dell'Invasione degli ultracorpi. Anche Mein Führer è un film abbastanza banale, e anche Dani Levy, vedrete, finirà a Hollywood: e il problema non è che il film fa ridere ma, al contrario, che fa ridere troppo poco, laddove Lubitsch e Chaplin avevano sommerso i nazisti sotto valanghe di risate. Ancora: il problema non è che Hitler, nel film, sembri uno psicopatico traumatizzato dalle botte paterne, ma che gli altri personaggi - dai gerarchi Himmler e Goebbels all'attore ebreo Adolf (sì, Adolf...) Grunbaum che viene tolto da un lager per addestrarlo all'autostima - sembrano troppo normali, e negano al film la carica di follia surreale necessaria. Film, insomma, sbilenco, anche a causa della disparità fra i due mattatori: Helge Schneider (Hitler) non va oltre la macchietta, mentre il compianto Ulrich Muhe (la spia di Le vite degli altri) è fin troppo bravo.
Alberto Crespi, L'Unità, 23 novembre 2007

Critica (3):Non sono uno di quelli che hanno idee brillanti e improvvise, che sembrano arrivaredirettamente dal cielo. In genere mi ci vogliono anni prima che un'idea si formi e si sviluppi completamente. Devo confessare che erano anni che Hitler ed i Nazisti mi perseguitavano e avevo sempre pensato comunque ad una commedia.
L'impegno morale verso il passato e quindi i film accademicamente "istruttivi" degli ultimi decenni, hanno lasciato il segno su di me. Forse si trattava semplicemente del desiderio di confondere ancora di più la linea che separa il bene dal male. Dal punto di vista moralistico, è raro che si riesca a dire qualcosa di nuovo ma io avevo voglia di trasformarmi in una sorta di passeggero seduto sul sedile posteriore.
(...) In Germania la ricostruzione della storia si fa sempre e soprattutto con l'ambizione di realizzare un qualcosa di credibile e autentico, come una sorta di replica della realtà alla quale è ispirata. Ma questa ambizione, vale a dire che un film posso raccontare la realtà - autenticamente riprodotta e apparentemente fedele ai fatti storici - mi trova piuttosto critico. E la prova sono le spesso terribili riproduzioni cinematografiche dell'Olocausto.
Trovo pomposo e egoistico sostenere di essere riusciti a riprodurre l'Olocausto in maniera realistica e dopo aver visto Schindler's List mi sono convinto che sia veramente impossibile. So che suona un po' dogmatico ma credo che sia impossibile visualizzare simili eventi. Il cinema è una forma d'arte che richiede una certa alienazione, un livello aggiuntivo della realtà che permette di adottare questo particolare approccio per affrontare un tema che sarebbe realisticamente irriproducibile. Per Mein Führer ho avuto la netta sensazione di dover inventare una verità surreale che fosse però rilevante e pertinente. Le favole spesso raccontano la verità sulla nostra realtà e la psiche.
(...) Adoro la commedia. Una risata contiene tutte le potenzialità per un'autentica introspezione. Una commedia può essere più istruttiva di una tragedia anche se non so perché. Con l'umorismo è possibile avvicinarsi maggiormente alla verità politica e psicologica di quanto sia possibile fare con una ricostruzione seria e fedele. Una commedia può esagerare o limare una storia, mostrandone le contraddizioni e le inconsistenze. Il divertimento maligno che ho provato nel fare questo film è derivato dall'avere avuto la libertà di smontare i personaggi come desideravo. Sappiamo tutti di cosa siano stati capaci quei gentiluomini Hitler, Goebbels e Himmler e non possiamo trasformare l'effetto che hanno avuto le loro azioni usando l'ironia. Tuttavia, possiamo degradarli in termini di caratterizzazione psicologica, farli scendere dal piedistallo della loro mostruosità. Ho la speranza che una commedia offra la possibilità di sezionare queste figure per esplorare le loro anime, imparando qualcosa sullo stato psicologico dell'epoca.
(Intervista a Dani Levy, dal pressbook del film)

Critica (4):
Dani Levy
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