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Di questo non si parla - De Eso no se abla


Regia:Bemberg Maria Luisa

Cast e credits:
Sceneggiatura: Maria Luisa Bemberg, Jorge Goldenberg, fotografia: Felix Monti; montaggio: Juan Carlos Macias; scenografie: Jorge Sarudiansky; costumi: Graciela Galàn; musica: Nicola Piovani; interpreti: Marcello Mastroianni, Luisina Brando, Alessandra Podestà, Betiana Blum, Alberto Segado, Monica Villa, Tina Serrano, Roberto Camaghi, Jorge Luz, Juan Manuel Tenuta; produzione: Oscar Kramer (Argentina); distribuzione: Mikado Film; durata: 102'.

Trama:Argentina, anni Trenta. Nel villaggio di San José de los altares la vedova Leonor si dedica all’educazione della propria figlioletta Charlotte affetta da nanismo. La donna si ritrova alle prese con una realtà bigotta e conformista che tende a individuare in Charlotte il “diverso” da emarginare o, tutt’al più, da trattare con condiscendenza ed un malcelato senso di superiorità. Donna Leonor, caparbiamente, decide di opporsi a tutto ciò imponendo agli abitanti del villaggio di trattare la figlia senza considerare il suo handicap. In questa sua opera trova in Ludovico d’Andrea, affascinante scapolo di mezza età, benestante e bon vivant, un alleato: l’uomo conversa con la ragazzina descrivendole i suoi viaggi all’estero, la sostiene nella passione per la musica, si incarica di procurare un cavallo adatto alla sua modesta statura. Poco a poco l’uomo si innamora di Charlotte (che, nel frattempo è cresciuta, tranne che in altezza) e, quando dopo un lungo viaggio all’estero capisce di non poter vivere senza di lei, decide di chiederne la mano a donna Leonor....

Critica (1):Citando Cechov, Maria Luisa Bemberg (sceneggiatrice e regista argentina; sei lungometraggi all'attivo dal 1981 al 1993) dice che l'intero mondo è contenuto in un villaggio. Non sempre è così; Calcutta o Sarajevo o Mogadiscio non sono confrontabili che con se stesse. Ma l'affermazione torna attendibile se ci si riferisce all'altro ieri, a una immagine di provincia addormentata che molto a lungo ha tenuto il campo. Poniamo, l'Argentina - ma anche l'Italia - di cinquanta, sessant'anni fa. Da stagioni ormai lontane vengono i caratteri, gli stati d'animo, i costumi, gli stessi distesi ritmi narrativi a cui De eso no se abla (Di questo non si parla) sembrerebbe voler rendere un intenerito, seppure spruzzato di gocce ironiche, omaggio. Ma da lì non si origina la vena folle che, di tanto in tanto, fa capolino nel romanzo di costume della Bemberg e poi si nasconde per imporsi nel finale con uno scarto netto. Provate a ripensare a Di questo non si parla senza la sterzata conclusiva. Tutto si ridurrebbe ad una stampa di sapore ottocentesco, anche garbata, soavemente risaputa. I misteri, le stramberie del paese argentino che vede i galantuomini, dopo aver intonato Caminito nel salotto delle signore bene, recarsi al bordello, ambiente anch'esso educativo però, sono descritti secondo l'ottica del narratore che riporta i contrasti, anche i più paradossali, a una misura uniforme, a un contesto immutabile che tutto assorbe e amalgama. La passione per la fanciulla nana, intelligente e curiosa delle meraviglie che si estendono oltre l'orizzonte, che divampa in Ludovico d'Andrea, l'anziano italiano che non si sa da dove provenga e come abbia fatto fortuna, sembra considerata dalla Bemberg con complicità affettuosa. Non ha le accensioni febbrili della scapigliato Tarchetti fra le cui in venzioni si potrebbe porre il curioso aneddoto desunto dalla regista da un testo dello scrittore Julio Llinàs. Qui il bizzarro si stempera nell'umorismo, in una narrativa dell'accettazione del vissuto. Al modo gentilmente pettegolo delle stampine ottocentesche sono disegnate le zitelline che fanno corona a Leonor, vedova ancora piacente, donna tanto forte da imporre al paese la figlia non com'è, una nana, bensì come pretende che sia: una ragazza pari alle altre. Guai ad accennare alla diversità di Charlotte. Se vogliamo è proprio lei, la madre, con la sua riduzione dell'abnorme al normale, a risvegliare nel tranquillo signor Ludovico l'attrazione per la giovane. Con questo quasi imprevedibile spostamento di piani narrativi, siamo già oltre una misura tradizionale del racconto; scompigliato ulteriormente da figurette di sfondo, per esempio il sindaco, l'alcade, che si prende le sue soddisfazioni e diparte dopo aver fatto il suo dovere di accompagnare la sposa ~nana all'altare. La Bemberg accetta inizialmente il metro di giudizio di Leonor (bravissima Luisina Brando) che tende ad assorbire i paradossi. Le sue donne non possono che sorridere, vestire bene, soffrire senza darlo a vedere, ridurre le conseguenze delle contrarietà come fa, appunto, la madre volitiva conservando con blocchi di ghiaccio il corpo del defunto alcade affinché un evento luttuoso non rovini la festa di nozze. Insomma, piegarsi alla legge dell'ipocrisia. Ma in un tessuto del tutto preordinato ecco il risvolto che butta all'aria un modo di pensare, che coglie di sorpresa lo stesso spettatore. Colei che aveva sempre ubbidito, la nana, dà scacco matto all'intero paese, e se ne fugge con il circo. La vedova e Ludovico (un finissimo Mastroianni) al contrario di lei, assecondano la prospettiva romantica che li determina e li spiega. All'interno di una narrativa di cui si sa tutto, pur rispettandone i codici la Bemberg compie, quindi una minirivoluzione. E, in tale rovesciamento, ribadisce la posizione già assunta nel suo film finora più noto Yo, la peor de todas (1990), dove descriveva il caso di una suora del sedicesimo secolo, di un poeta che difendeva, mentre le strappavano i libri, il dirittodovere di avere uno spazio creativo, di possedere "una stanza tutta per sé".
Francesco Bolzoni, Rivista del cinematografo, novembre 1993

Critica (2):

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Critica (4):
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