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Racconti di vittoria


Regia:De Lillo Antonietta

Cast e credits:
Fotografia: Cesare Accetta; montaggio: Giogiò Franchini; suono: Giuseppe Napoli; musica: Fred Frith, Harold Budd, Walter Fahndrich; prodotto da: Donatella Botti, Antonietta De Lillo; distribuzione: Vitagraph; origine: Italia, 1996; durata: 70'.
POZZI D'AMORE dal testo teatrale "Scannasurice" di Enzo Moscato; interprete: Enzo Moscato; scenografia: Tata Barbalato. IN ALTO A SINISTRA tratto dal racconto omonimo di Erri De Luca (ed. Feltrinelli); sceneggiatura: Antonietta De Lillo, Filippo Pichi; interprete: Enzo De Caro; scenografia: Paola Bizzarri. RACCONTI DI VITTORIA intervista alla dottoressa Vittoria Belcastro.

Trama:È un film che si divide in tre episodi nei quali, in modo differente, si combatte contro la morte.Nel primo episodio, dal titolo Pozzi d'amore il protagonista Enzo Moscato recita una sorta di monologo teatrale. Un lungo racconto dove si parla della paura per la fine imminente e l'angoscia della separazione da chi si ama.Nel secondo, invece, In alto a sinistra un giovane ripensa al padre scomparso. Ricorda la sofferenza della sua malattia e proprio in nome di quel ricordo, supera il dolore lacerante che accompagna la sua solitudine.Nell'ultimo episodio, Racconti di Vittoria, è una donna medico, un'oncologa, ad ammalarsi di cancro. E, per una volta dall'interno della malattia, con coraggio e dignità, spingerà i suoi pazienti a lottare per vivere.

Critica (1):«Racconti di vittoria ha rappresentato per me, e per tutti coloro che mi hanno seguita nella realizzazione di questo progetto, una strada da percorrere per avvicinarsi ad una realtà che si tenta di esorcizzare, di rimuovere, com'è quella dell'ineluttabilità della nostra fine. La morte oggi è perlopiù vissuta in modo traslato, ad esempio attraverso i media che trasmettono immagini spesso più atroci di qualsiasi morte naturale ma che percepiamo ormai con freddezza, quasi con indifferenza. Cerchiamo di allontanarla dai pensieri e dalle nostre parole, di precluderne la conoscenza ai nostri figli, come se la sua fosse una presenza innaturale. Ho messo insieme storie diverse che mostrano i diversi atteggiamenti che scaturiscono dalla grande paura della perdita dell'altro e della propria fine, piccole dichiarazioni che rivelano sia il rifiuto che l'accettazione (non solo passiva) di un fenomeno così inevitabilmente presente nelle nostre esistenze. La percezione della morte è talmente individuale, è così intima che non si può cercare di dare una risposta. Forse si può - ed è quello che ho cercato di fare con il mio lavoro - tentare di trovare un contatto, di porsi delle domande che, se non trovano risposta, ci permettono in qualche modo di migliorare il nostro rapporto con la morte attraverso lo sforzo di assumerla come evento vitale, come qualcosa che è parte integrante dell'esistenza umana. Racconti di Vittoria è un dialogo con la morte alle spalle e davanti agli occhi la vita. La morte è muta, non dà risposte, ma attraverso questo difficile confronto concede all'uomo la visione del suo secondo volto». (Antonietta De Lillo)
Che sia una scelta coraggiosa, quella che la De Lillo ha fatto con Racconti di Vittoria, è fuor di dubbio. Pare un film che parli dell'ultimo grande tabù della società occidentale, la morte e proporre per di più di pagare un biglietto per andarlo a vedere - in tempi in cui già è complicato farlo gratis - è davvero da splendidi incoscienti. Ma il merito di Donatella Botti e di Antonietta De Lillo, che hanno coprodotto il lavoro, non si ferma all'aver rischiato i 180 milioni con cui è stato realizzato il film, né a quello di aver trovato una distribuzione (la Vitagraph) che gli garantisce l'uscita nelle sale di normale programmazione (a Napoli, verrà proiettato nello stesso Modernissimo che ha ospitato anche l'anteprima di lunedì sera). Racconti di Vittoria lancia anche una scommessa linguistica, forse anche più ardita di quella tematica. Il film è costruito infatti con materiali eterogenei non solo dal punto di vista dello script - tre episodi alimentati da spunti teatrali, letterari e di vita vissuta - ma anche da quello propriamente tecnico, con contributo di Video 8 e Beta riversati e montati su pellicola insieme agli spezzoni girati direttamente in 35 mm. Ne viene fuori un lavoro di forte impatto, magari spiazzante, ma certo stimolante e molto personale. Nel primo episodio dal titolo Pozzi d'amore, Enzo Moscato racconta le sue personali emozioni difronte alla morte mischiandole con la recitazione di brani tratti da "Scannasurece" uno dei suoi testi più significativi. Le immagini di Enzo De Caro che vaga per la casa di un padre appena scomparso ci portano in In alto a sinistra, il secondo episodio che prende spunto dal libro omonimo di Erri De Luca. La voce di Renato Carpentieri scandisce il percorso silenzioso dei ricordi del personaggio, in un flusso in cui si vede il rapporto con la letteratura come una metafora della propria energia vitale. Infine .il terzo episodio, che dà il titolo al film, racconta la storia vera. Quelladi Vittoria Belcastro, oncologa malata di cancro che si è trovata nella singolare situazione di sperimentare su se stessa una nuova idea per fermare il male che sembrava - allo stato delle attuali conoscenze mediche - non poter essere bloccato. "Avevo un cancro allo stomaco, era l'86, potevo avere al massimo sei mesi di vita - dice la Belcastro, che è intervenuta alla proiezione del film. E invece l'8 aprile ho festeggiato nove anni di sopravvivenza al cancro. Credo di essere riuscita perché ho trasformato nella mia mente la sentenza "sei malato di cancro, sei morto" con "sei malato ma sei vivo, curati e lotta per la tua vita". "Io credo che la componente emotiva positiva, nella lotta al cancro sia importante sia per evitarlo che per combatterlo". Dall'incontro con la Belcastro - che ha descritto la sua esperienza in un libro. "Sistema guidato di autocura" - Antonietta De Lillo ha tratto la spinta necessaria per trasformare il suo impulso in un film, usando anche al meglio la personale tecnica "videoritratti" che ha sviluppato negli anni recenti, fino a fame un vero e proprio alfabeto stilistico visivo. "Spesso ho avvertito reticenza e menzogna e incapacità di comunicare i nostri pensieri sulla morte - afferma la De Lillo. E così ho cominciato a indagare sulla morte come aspetto imprescindibile, vista non come "chiusura", ma come scambio di sensibilità e di esperienze. E questo ci ha condotto alla necessità di realizzare un atto vitale, di rilanciare attraverso l'arte e gli artisti che mi hanno aiutato nel mio lavoro, questo problema: esorcizzare la morte, ma senza negarla o dimenticarla". Un percorso alla fine del quale c'è un film pieno di una moderna pietas e anche, paradossalmente ma non troppo, ottimista e vitale.
Giulio Gargia, Il giornale di Napoli, 17/4/96

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