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Jude - Jude


Regia:Winterbottom Michael

Cast e credits:
Sceneggiatura
: Jossein Amini, dal romanzo Jude the Obscure di Thomas Hardy; fotografia: Eduardo Serra; montaggio: Trevor Waite; scenografia: Joseph Bennett; costumi: Janty Yates; musica: Adrian Johnston; interpreti: Christopher Eccleston (Jude Fawley), Kate Winslet (Sue Bridehead), Liam Cunningham (Richard Philloston) Rachel Griffiths (Arabella Donn), June Whitfield (zia Drusilla), James Nesbitt (Joe), Mark Lambert (Tinker Taylor), Emma Turner (Sarah), Paul Brown (zio Jim), Ken Jones (signor Biles), Caitlin Bossley (Anny), Berwick Kaler (Troutham, l'allevatore), James Daley (Jude ragazzo), Paul Copley (Signor Willis), Ross Colvin Turnbull (Jude bambino); produzione: Andrew Eaton per Polygram Film Entertainment, BBC Films; distribuzione: Mikado; origine: Gran Bretagna, 1996; durata: 123’.

Trama:Inghilterra, fine del XIX secolo. Jude Fawley, un ragazzo intelligente e semplice, che fa lo scalpellino, sogna di imitare l'eroe della sua infanzia, il professor Phillotson, celebre docente universitario. Il ragazzo ha come obiettivo quello di entrare nella famosa università di Christminster. Ma quando Jude si innamora di Arabella Donn, figlia di un allevatore di maiali, è costretto ad abbandonare gli studi.

Critica (1):Potrebbe sembrare strano che, dopo lo scandaloso Butterfly Kiss, violenza on the road, e prima di Go now, un film sulla sclerosi multipla proiettato a Venezia, l’oxfordiano Michael Winterbottom, esteta della sgradevolezza che si è occupato di Ingmar Bergman e di serial tv, si sia dedicato al romanzo rurale di Thomas Hardy «Giuda l’oscuro», da cui è tratto Jude, molto ben accolto alla «Quinzaine» di Cannes. Esperto di vita e sentimenti di campagna, in particolare del “suo” Wessex, Hardy con questo libro dal profumo licenzioso e incestuoso, che fu il suo ultimo (si dedicherà poi alla poesia), toccò i nervi scoperti del moralismo inglese, secondo il comune senso del pudore della fine Ottocento. Ed ecco che rientra quindi dalla finestra di campagna lo scandalo, quella sensazione forte di cui Winterbottom va matto. Ma la riuscita del film, la sua forza melodrammatica, è soprattutto nel taglio moderno e senza fronzoli del racconto, diviso in veloci occhiate e rapidi sospiri, come raccordi di un disegno ignoto delle onde del Destino, distanziandosi in questo dalla verbosa moda dei titoli di ragione e sentimenti «made in Jane Austen». C’è nel film, che si amplia nella fotografia di Eduardo Serra (i paesaggi sono quelli di Edimburgo e dintorni), un taglio contemporaneo dei sentimenti, un modo immediato di evidenziare amori, tentazioni e contrasti, pubblici e privati. Palandrane e costumi di campagna, niente tazze da tè. Rispetto ai modelli filmici tradizionali, Jude rappresenta un po’ quello che fu, stilisticamente, la nouvelle vague, la voglia di raccontare tutto e subito. E grazie anche alle perfette performances incrociate di Kate Winslet (Ragione e sentimento) e Christopher Eccleston (Piccoli omicidi tra amici), rivive per noi l’amore infelice e quasi incestuoso tra lo studioso e sfortunato Jude, un bronzista che vive con la zia e desidera entrare all’Università, e sua cugina Sue, che, anche lei con un matrimonio sbagliato nel curriculum, lo conquista non solo con la bellezza. Dopo un breve matrimonio con la figlia di un allevatore di maiali, Jude intraprende la sua strada verso la Mala Sorte: perché naturalmente l’unione della sventurata coppia, che avrà da badare a tre figli, finirà in una eclatante tragedia. Una tragedia che davvero ti prende al cuore e ne fa polpette (genere: “mi sono così divertito, ho pianto tanto”). Jude, gran romanzo d’ambiente e di caratteri, è quindi la storia, colorata a dovere e molto rispettosa, anche nei sentimenti, dell’origine letteraria, di un’attrazione fatale, di un’affinità elettiva che si scontra contro il peso specifico del pregiudizio. Winterbottom accoglie senza riserve la morale finale, lo scacco degli ideali, amorosi e sociali: uno scalpellino non potrà mai diventare professore. Divisi da tutto e da tutti, Jude, tragico don Chisciotte, e Sue rimangono gli eletti di un amore che puntava sull’Eternità e si scontra di continuo col quotidiano. Decorato con la bella natura inglese, lungo ma non prolisso, lavorato a piccolo punto psicologico ma senza manierismi di facciata, Jude è drammaticamente piacevole, ricorda Truffaut nel tentativo platonico di un amore a tre e, per la comune matrice letteraria, Tess di Polanski. Convincendoci ancora una volta che i migliori sono sempre i semplici, la gente ordinaria destinata a vivere cose straordinarie.
Maurizio Porro, Corriere della Sera

Critica (2):Colpito a 15 anni dalla lettura del romanzo (l’ultimo di Hardy: et pour cause, visto il pandemonio che scatenò alla sua uscita), il regista decide di restituirne, più che la verità storica, l’essenza tragica. Perciò, chiede allo sceneggiatore di scrivere dialoghi assai poco letterati, presta ai suoi personaggi una sensibilità moderna, li fa esprimere in un inglese senza tempo, ed affida il racconto ad una narrazione frammentata, che favorisce una sorta di distanziamento emotivo straniante ed efficace. Il risultato è un melodramma spogliato delle sue manifestazioni più esteriori, che a tratti ricorda il naturalismo truffautiano dei film da Roché (in particolare Le due inglesi), ma senza il lirismo e la tensione al sublime di quello. A differenza di Truffaut, infatti, Winterbottom né cerca un equivalente della forma letteraria del romanziere né si espone in prima persona, preferendo a lungo un punto di vista oggettivo che non favorisce certo l’identificazione con i personaggi del dramma. Bisogna aspettare i tre quarti di un film peraltro non breve (123 minuti) perché l’opzione della messa in scena cominci davvero a dare i suoi frutti. L’ultima parte dell’opera è, infatti, impressionante: dopo la morte dei due bambini (in realtà, un omicidio/suicidio), che segna il precipitare degli eventi e la crudele negazione dell’utopia incarnata nel rapporto anticonvenzionale di Jude e Sue, il racconto assume cadenze radicali. Il tono s’incupisce all’estremo, la fotografia si raggela in lividi contrasti, il montaggio privilegia tagli brevi e laceranti. Il film si richiude in se stesso come un grido strozzato: quasi un equivalente estetico dello scacco accettato con dolorosa dignità, “perché la sconfitta, pur di restare fedele ai propri ideali, è meglio di qualunque compromesso”.
Alberto Barbera, Cineforum

Critica (3):

Critica (4):
Michael Winterbottom
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