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Insolito caso di Mr. Hire (L’) - Monsieur Hire


Regia:Leconte Patrice

Cast e credits:
Soggetto
: dal romanzo "Les fiançailles de Mr. Hire" di George Simenon; sceneggiatura: Patrick Dewolf, Patrice Leconte; fotografia: Denis Lenoir; musiche: Michael Nyman; montaggio: Joelle Hache; interpreti: Michel Blanc (M. Hire), Sandrine Bonnaire (Alice), Luc Thuiller (Emile), Andrè Wilms (Ispettore), Marie Gaudy, Michele Moran, Nora Noel, Cristina Reali, Eric Berenger, Marielle Berthon; produzione. Cinea - Hachette Première e Cie - Fr3 Film Production - Philippe Carcassonne - Renè Cleitman; distribuzione: Mikado; origine: Francia, 1989; durata: 81'.

Trama:Scapolo, sarto di mestiere, misantropo, Monsieur Hire trascina una vita uggiosa e riservatissima in un palazzone di una anonima città francese. Poiché la sua finestra dà su di un cortiletto, l'uomo spia una ragazza – Alice – che mangia, stira, si sveste e fa l'amore con un certo Emile, senza mai tirare le tende. Quando lei se ne accorge, va a bussare alla porta di quello sconosciuto che dapprima la scaccia, timido com'è, poi se ne innamora perdutamente. Quando nel quartiere viene assassinata una ragazza i sospetti della polizia si concentrano su Hire, il quale, in realtà, ha visto Emile uccidere e non lo ha denunciato per evitare l'accusa di complicità ad Alice. Emile si è dato alla fuga e Monsieur Hire propone ad Alice di andarsene per sempre con lui a Losanna, dove possiede una casetta.

Critica (1):(…) «II n'y avait plus de M. Hire. C'était un mori, à qui l'on venait de fermer les yeux. Il avait encore des traces de sang rouge dans ses mains ouvertes.» Così Georges Simenon descrive nel romanzo che ha ispirato l'ultimo film di Patrice Leconte la morte del protagonista. Monsieur Hire è, nel romanzo come nel film, un personaggio complesso, dalla personalità contorta e, apparentemente, impenetrabile. Leconte riesce, però, ad accentuarne l'atteggiamento enigmatico e un po' sprezzante e a farne un colpevole ideale.
È una passione segreta e irrealizzabile (l'amore per Alice) l'origine dell'"insolito caso" di M. Hire e la causa principale della sua morte. [...] Le prime scene contribuiscono a distruggere ogni forma di blando romanticismo: il ritrovamento del cadavere di una giovane donna (non è una "fille de joie" come nel romanzo di Simenon), uccisa dopo essere stata derubata, e la presenza di un poliziotto che indaga sul delitto creano un'atmosfera di mistero e assicurano lo spettatore che il film, pur privo di spettacolari colpi di scena, non rinuncerà a sorprenderlo. L'elemento noir, comunque, anche se introdotto nell'incipit del film, è in un primo tempo tralasciato e il racconto si sofferma unicamente sui due protagonisti, M. Hire e Alice. Il dialogo silenzioso che nasce tra il sarto e la sua vicina, la quale, dimenticando di mettere tende alle proprie finestre, alimenta inconsapevolmente le pulsioni voyeuristiche di M. Hire, la compiacenza mostrata dalla ragazza verso l'uomo che la scruta dal buio della sua stanza e l'improvvisa e muta connivenza che li lega assumono un significato del tutto svincolato dal movente della vicenda (l'omicidio di Pierrette). Certo, è il desiderio di scoprire cosa M. Hire ha visto a spingere Alice ad avvicinarlo e a stabilire con lui un contatto non più fatto di soli sguardi, bensì anche di parole; ma è innegabile, d'altro canto, che, per quanto la ragazza tenti di proteggere il suo compagno e voglia, quindi, sbarazzarsi di uno scomodo testimone, essa sia attratta dal suo strano e odiato vicino.
M. Hire non è simpatico, conduce un'esistenza appartata, anzi, troppo appartata per non nascondere qualcosa (magari un delitto). La sua vita è metodicamente suddivisa tra le ore trascorse nella sartoria e quelle passate nell'appartamento, in cui di rado accende la luce. II grigiore della banlieue (enfatizzato dalla fotografia che, spoglia di colori, suggerisce un senso di claustrofobia) si riflette specularmente sui suoi abitan-ti: primo fra tutti M. Hire, che, vestito sempre di nero e incapace di rivelare – ma non di provare – alcuna emozione, pare il personaggio più adatto a vivere in un luogo squallido. Ma la stessa Alice e i vicini di casa del sarto sono analogamente «contaminati» dall'opprimente atmosfera che li circonda: la ragazza, a ben guardare, fuggita dalla provincia per lavorare in una pasticceria, sente, al pari di M. Hire e, forse, con minor consapevolezza, il peso di un'esistenza fru-strante.
Da che cosa allora – potremmo chiederci – trae forza e interesse Monsieur Hire? Dalla complessità dei suoi personaggi; dalla loro ambiguità e dal loro rivelarsi gradualmente diversi da ciò che l'apparenza farebbe supporre. Perché M. Hire e Alice, attra-verso il reciproco rapporto, mostrano gli aspetti più reconditi del loro «io». Il primo dietro quella maschera esteriore, inquietante e «repellente» (…), nasconde la personalità interiormente più vivace e ribelle. I sei mesi di reclusione per oltraggio al pudore, le saune in compagnia di sensuali e seminude massaggiatrici negre (il cui compito, naturalmente, non è solo quello di massaggiare) e la musica (un quartetto di Brahms) ascoltata durante i quotidiani appuntamenti alla finestra rivelano una vitalità inso-spettabile. Si verifica, così, un improvviso, quanto inatteso, scambio di parti: M. Hire, il reietto che ha ucciso (tutti ne sono convinti) una ragazzina, la valvola di sfogo delle frustrazioni esistenziali del vicinato (ivi compresi i bambini che reputano il sarto desti-natario privilegiato dei loro giochi e delle loro provo-cazioni), è l'unico in grado di rendere la routine quotidiana, a cui egli - non lo si deve dimenticare - passivamente si sottomette, meno opprimente attraverso un'intensa vita interiore e, soprattutto, attraverso il potere dello sguardo. (…)
Mariachiara Pioppo, Cineforum n. 289, 1989

Critica (2):"L'ennui, ce n'est pas un sentiment calme, c'est pour moi quelque chose d'une violence extrrme.... A se tordre de douleur...". La noia di M. Hire e infatti violentissima perchè tutta convergente nell'attività del guardare, ma non per questo ossessionata dalla banalità di quel voyeurismo riconoscibile ed ormai troppo descritto e citato. Il cotè più scoperto della metafora (l'itinerario da Rear Window a Body Double) e saggiamente marginale nel film di Leconte o quanto meno non e ridotto al conflitto tra realtà e apparenza e si sposta presto su zone governate da altri incroci visivi. Il concetto di immobilità a vedere era già prerogativa de Le locataire di Polanski dove nella celebre (ed ancora modernissima) sequenza del "gabinetto egizio" M. Trelkowshy osservava dalla finestra figure immobili; in M. Hire il procedimento inverso perchè non e sedotto dalla psicosi, bensì dalla necessità di una passione che per la prima volta riconosce come onesta e irresistibile. Allora ne esibizioni, ne sessualità secondarie: solo il modo in cui ogni amore invincibile (unico per supposizione) si offre immediatamente alla sua lettura e si scopre. Nel guardare Alice il viso malinconico di M. Hire sembra non esprimere, ma assorbire tutto ciò che passa davanti ai suoi occhi, anche il vuoto che gli altri credono ingiustamente appartenere alla sua persona. "Io vivo apparto" egli dichiara e la sua "distanza" non e che la costrizione di un attore che non osa entrare in scena per timore di recitar troppo male. Si domanda all'attore di mostrare un corpo convinto, piuttosto di una passione vera e il personaggio di Simenon non interpreta nulla e spinge il suo non essere "cinegenico" verso l' eccesso più prevedibile: l'innocenza. L'incolpevolezza, specialmente se "vista", e l'ultima cosa che si possa prolungare naturaliter
L'apologo che M. Hire racconta della vecchia ben voluta da tutti ma in realtà avvelenatrice di piccioni, e la conferma (per lui) che il mondo non desidera altro che la forma dei "corpi convinti" e che le passioni vere una volta dissimulate sono impossibili. "Si, la vita e disgustosa". La sua affermazione vorrebbe sconfessarsi per Alice, ma la bellezza ed il desiderio sono pericolosi perchè non restituiscono mai ciò che hanno donato in alcuni momenti di sospensione. "Lei non deve amarmi, e impossibile, non deve": la certezza della ragazza e forse troppo calvinista nel pagare il prezzo di quella sospensione, di quel clinamen ancora una volta deviato nella disillusione; il campo aperto e a favore di una condanna sicura sin dalla nascita del sentimento d'amore.
L'insolito caso di Monsieur (non di Mister) Hire e un film sulla serietà della passione e sulle sue conseguenze. La passione come serietà non e inascoltabile. La dimostrazione eterodossa del teorema conosce altri antecedenti: gli occhiali disegnati in Muriel di Resnais o l'entrata degli occhi, sotto forma di reggiseno, nello schermo in Finders Keepers, Lover Weepers di Russ Meyer sono l'oggetto e l'azione che definiscono al meglio il turbamento composto di Monsieur Hire: l'illusione teorica di poter combattere contro il disordine sacro, inevitabile delle nostre viste, contro il provvisorio (Resnais) e l'illusione di riassumere mediante la tattilità degli sguardi tutta la sostanza virtuale del corpo (Meyer). Quest'uomo non e disponibile verso tutti perchè non conosce la bugia, ne il tradimento e rassicura Alice ("Sono un uomo d'onore, non l'abbandonerò mai") della sua verità, tanto più bella quanto più venuta dal freddo. Il duello (ricorrente e quanto mai esemplare nel prefinale) disincarnato de li occhi dei protagonisti esprime un fascino esclusivo di segni puri, atemporali, dolorosi in una stanza dove le imposture, le astuzie, le manipolazioni non si integrano più, in quanto elementi di un sistema aleatorio già conosciuto da M. Hire, dal quale per molti anni egli ha cercato di fuggire. "Senza dubbio mi incontrerò ancora con lei nella vita, senza dubbio la riconoscerò, e anch'ella forse riconoscerà me (...). Se non mi riconoscerà (.. ), io potrò ben avere l'occasione di guardarla di tralice, e prometto che ricorderà la situazione" (Kierkegaard, Diario del seduttore). Sembra questo il pensiero di M. Hire nel momento in cui il gioco di Alice e scoperto e l'accusa viene spontanea dal tradimento ordito per salvare l'amante assassino. Patrice Leconte nel passaggio dalle commedie nazionaliste (ma Tandem era già il segnale "d'autore") al dramma tout court molto abile perchè sceglie il formato Panavision per una storia di volti, l'aiuto rilevante di Denis Lenoir per la fotografia e di Michael Nyman per la partitura musicale e perchè elude con molta finezza risposte inopportune attraverso l'inquadratura dei dettagli (i flaconi di profumo nella luce, i topolini bianchi tra l'impugnatura delle forbici, la citazione reiterata del quartetto di Brahms).
La regia sa accorgersi della tensione che la storia d'amore racchiude e distanzia le motivazioni poliziesche del testo; sa esprimerla sia attraverso esteriori immobilità (m. Hire spia e come unico gesto alza il bavero della sua giacca) e sia attraverso brusche accelerazioni (la recita umiliante della prova di non colpevolezza). Conosce l'importanza degli aspetti marginali, anche stilistici, e costruisce proprio sul particolare dell'occhio scene madri di forte rispondenza (convivenza emotiva: l'incontro erotico dei protagonisti, durante un match di pugilato, definito subito solo dal movimento dello sguardo, la sequenza tenerissima della stazione dove M. Hire apre e chiude gli occhi nella speranza di veder apparire Alice e quella finale della morte in caduta "non libera" dove la mdp cerca di scorgere (invano) un'altra espressione sul volto di M. Hire.
E se e vero che ogni forma di convivenza (anche e soprattutto critica) nasconde pur sempre una nuance vampirica, guardare, in fondo, e proprio il modo più indolore, bianco, dissanguato per intrattenere il vampirismo personale. Di qui la dissolvenza incrociata, per gli ultimi fotogrammi, dell'abbraccio 'post mortem" che supera con la complicità dello spettatore la tragedia di M. Hire e ne chiude con la più innocente delle posture la "cinegenia" negata dal ruolo. Ecco come Michel Blanc giustifica la sua interpretazione. Il suo M. Hire e impeccabile nel rendere viva l'assenza, toccando pochissimo la corda del patetico, difendendo senza cedimenti la verità etica (moralità non e morale) del desiderio che lo (ci) ossessiona - verità seria, che solo per una esemplificazione e incarnata in Alice, ingenua come un'aspettativa che crede di vincere perchè non si accontenta della superficialità. Sandrine Bonnaire e Alice, corpo e mente perfetti per un amore desessualizzato prima dallo sguardo e tramutato in deliro tangibile.
Leconte dirige un film riuscito perchè amplifica la seduzione del tipico polar francese, di provincia e la rende astratta con il richiamo delle più semplici, terribili conseguenze degli affetti; la combinazione e usurata, ma efficace grazie alla sottrazione dei moventi del delitto ed alla sensualità ottenuta dal pudore. La metafora e trasparente: quando il cinema diventa una "verità seria" e difficile vincerlo; M. Hire vi riesce mostrando insieme il "corpo convinto" e la passione sincera.

Marcello Garofalo, Segno Cinema n. 40 novembre 1989

Critica (3):

Critica (4):
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