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Diario di una cameriera (Il) - Journal d'une femme de chambre (Le)


Regia:Buñuel Luis

Cast e credits:
Sceneggiatura
: Jean-Claude Carrière, Luis Buñuel, dal romanzo omonimo di Octave Mirbeau; fotografia: Roger Fellous; montaggio: Louisette Hautecoeur, Luis Buñuel; scenografia: Georges Wakhévitch; interpreti: Claude Jaeger (giudice), Françoise Bertin, Aline Bertrand, Jean-Claude Carrière (il curato), Pierre Collet, Michelle Dacquid, Madeleine Damien, Marc Eyraud, Jean Franval, Gilberte Geniat (Rose), Georges Géret (Joseph), Joelle Bernard, Daniel Ivernel (Capitano Mauger), Dominique Zardi, Marcel Le Floch, Françoise Lugagne (Signora Monteil), Jeanne Moreau (Celestine), Damaso Muni (Marianne), Bernard Musson (sagrestano), Jean Ozenne (M. Rabour), Jeanne Perez, Michel Piccoli (Monteil), Marcel Rouze, Dominique Sauvage (Claire), Andree Tainsy, Geymond Vital, Gabriel Gobin; produzione: Serge Silberman, Michel Safra, per Speva Films -Cine-Alliance - Film-Sonor -Dear - Alliance Speva Filmsonor (Francia) - Dear (Italia); distribuzione: Cineteca Nazionale; origine: Francia - Italia, 1964; durata:: 95'.
Vietato 18

Trama:Una giovane è assunta come cameriera da una famiglia borghese composta da strani e maniaci personaggi. Una bambina viene trovata morta e la giovane cameriera sospetta del giardiniere di casa, esaltato estremista di destra. Poiché non esistono prove, pur di farlo arrestare la ragazza ne costruisce di false e riesce nel suo intento. Ma poco tempo dopo il giardiniere viene liberato e riprende la sua attività di propaganda fascista.

Critica (1):Scriveva Octave Mirbeau nel suo romanzo Il diario di una cameriera, pubblicato a Parigi esattamente nel 1900: " Un domestico non è un essere normale. Non è neppure un essere sociale... È un miscuglio, un'accozzaglia di lembi e frammenti che non legano tra loro, che non si adattano l'uno all'altro... Peggio: è un mostruoso ibrido umano... Non è più del popolo, da cui esce; non è ancora della borghesia, in cui vive e a cui tende... Del popolo che ha rinnegato, ha perduto il sangue generoso e l'ingenua forza... Della borghesia ha assunto i vizi vergognosi, senz'avere acquistato i mezzi per soddisfarli. "
Queste frasi potrebbero essere di Marx ma appartengono invece a un libro che scandalizzò (e ce ne voleva) la Francia della belle époque, un romanzo mezzo libertario e mezzo libertino, mezzo sociale e mezzo sessuale, scritto da un giornalista acre e vigoroso che, come Zola, amava gli impressionisti e difendeva Dreyfus, e odiava la borghesia agiata da cui proveniva, e che conosceva assai bene. Octave-Henri-Marie Mirbeau era stato educato dai gesuiti ed era diventato anche sottoprefetto; poi era passato nel campo esattamente opposto, trasformandosi in anarchico.
Ognuno vede, a questo punto, le suggestive coincidenze col "caso" Buñuel: anche lui di famiglia altoborghese (sebbene i suoi genitori fossero persone sinceramente rispettabili e singolarmente illuminate); anche lui ex allievo dei gesuiti; anche lui, finalmente, surrealista (non potendo essere impressionista), libertario e anarchico. La similitudine giunge alla finezza di far nascere Luis Buñuel in Spagna, lo stesso anno in cui Mirbeau licenzia alle stampe, in Francia, il suo pamphlet.
Il 1900 divide però un secolo dall'altro, e questa è la differenza tra i due " casi ": il cineasta non poteva essere sottoprefetto neppure per sbaglio, come lo fu invece il suo ottocentesco predecessore letterario. Anzi, Buñuel ebbe per grande nemico proprio un prefetto: un prefetto di polizia, il cosiddetto " prefetto della Senna ", il famigerato prefetto Chiappe. A lui il suo film francese Il diario di una cameriera è dedicato.
Se Buñuel avesse potuto, avrebbe intitolato il film addirittura Viva Chiappe! Ma, per quanto sia stato libero in Francia di realizzarlo come voleva, questo proprio non gliel'hanno permesso. Comunque l'opera termina con l'urlo bestiale, profferito nell'ultima sequenza dallo stalliere stupratore e assassino, mentre nel cielo s'addensa l'uragano della seconda guerra mondiale.
Qualcuno osserva: ma se lo spettatore non sa chi era Chiappe? Poco male: può godersi il film egualmente, così come può capire Il servo di Losey anche se, per combinazione, non ha mai sentito parlare del ministro Profumo, né del dottor Ward, né della modella Christine Keeler. D'altra parte Il servo è stato concepito prima che lo scandalo esplodesse, e il suo argomento non è affatto quello. Ma che c'entra? È il clima, è l'atmosfera che sono simili; sono le psicologie dei personaggi che suggeriscono, anzi emanano quel sentore di depravazione e di putrefazione. Insomma è quel rapporto tra padrone e servo che si capovolge, così come si è capovolto (con conseguenze abbastanza serie per il conservatorismo inglese) nella realtà del fatto di cronaca. Il servo, in altre parole, si vendica del padrone.
Così fa anche Celestina, la protagonista del Diario di una cameriera. Essa è già smaliziata, perché ha già servito a Parigi nelle case dei signori e non si fa certo impressionare dai vizi, latenti o palesi, di una dimora padronale di campagna. Per lei, figurarsi, sono vizietti di provincia. Eppure anche Celestina è sbalordita da qualcosa che fermenta, anzi che sedimenta, che si stratifica al di sopra di quelle - in fondo - tradizionali, individuali e modeste perversioni: modeste, s'intende, in rapporto alla loro esplosione, vorremmo dire alla loro sublimazione collettiva, di classe. Questa sublimazione, questo male ben più sordido, ripugnante e feroce, è il fascismo.
Jean Chiappe, negli anni trenta di Parigi, gli anni della gioventù ribollente di Buñuel, fu appunto un tipico prefetto fascista. Il suo nome era sempre mescolato ai movimenti più reazionari d'estrema destra, fino al fallito colpo di Stato del '34, che aprì la strada al Fronte Popolare. Fu Chiappe, tra l'altro, a proibire i primi film di Buñuel, come aveva proibito - anche se dati privatamente, cioè nell'ambito dei cineclub e dei circoli culturali - i primi film di Eisenstein. Insomma, per venire a noi, Chiappe fu il lontano predecessore di Andreotti o di Scelba in Italia; e ognuno ha i predecessori che si merita.
Ora Buñuel, che artisticamente e ideologicamente è sempre rimasto fedele alle battaglie della propria gioventù, trasportando il romanzo di Mirbeau in epoca più recente, non ha potuto dimenticare Chiappe e gli ha reso giustizia. Chi va con lo zoppo impara a zoppicare, e chi serve un padrone impara a corrompersi come lui. Nella casa popolata di mostriciattoli umani - il padrone mandrillo, la padrona frigida e avara, il suocero feticista - il mostro più grosso è il servo, " uomo d'ordine " più e meglio dei proprietari. È lui che brutalizza e uccide una bambina nel bosco, ma è anche lui che tiene sopra il letto ritratti di santi e di generali, è lui che col sacrestano del paese organizza lo sciovinismo patriottico, cattolico, antiebraico, ed è infine lui che, assolto dalla polizia complice e amica, e diventato padrone di un bar, legge l'Action française e grida "viva Chiappe! ".
Così dunque la storia di una serva - Celestina che nel frattempo, sposando il più ottuso dei pretendenti, ha compiuto la parabola e realizzato il sogno di diventare, a sua volta, "signora" (ma una sguattera abbrutita dalla fatica rimane schiava, e piange lacrime terribili quando è costretta a cedere al padrone!) - si salda alla storia assai più edificante del servo politicamente giudizioso: con il quale la nostra eroina ha pur avuto un rapporto, fatto insieme d'attrazione e di repulsione, poiché entrambi sono dei domestici e, come tali, hanno la stessa anima ambigua.
Ed entrambe le storie, parallele ed emblematiche, si tramutano sotto i nostri occhi nella storia ancor più importante e agghiacciante del "servilismo". Cioè dell'accettazione di quell'Ordine e di quelle regole del gioco, contro cui il regista si avventa in ogni suo film, e che - sia nell'epoca del processo Dreyfus, sia nell'epoca del prefetto Chiappe e, se volete, anche in quella dell' "ispezione corporale" ai redattori di un giornale studentesco - si avvale sempre degli stessi miti, si serve degli stessi tabù, si appoggia alle stesse maiuscole, e tutto per mascherare che i pilastri di un tempo sono ormai divenuti i miseri puntelli di una società che frana nel cinismo e nel disonore.
Sono tante le leggi che Luis Buñuel ha infranto. Ma diciamo ora delle più piccole, nel campo del cinema. Ha infranto per esempio la legge secondo cui il rifacimento di un film non poteva mai essere migliore della prima edizione: in effetti il suo Diario vale assai più di quello di Renoir, come la Jeanne Moreau batte la Paulette Goddard. Ha infranto la legge secondo la quale un mediometraggio non poteva gareggiare e vincere a Venezia contro i film normali: per quanto "anormale" sia, Simon del deserto si è ben meritato il suo premio. Di tutti gli uomini di cinema, anche dei maggiori, si può dubitare oggi: abbiamo visto i passi falsi di Visconti e di Fellini, abbiamo visto in crisi Bergman e Antonioni, e il vecchio Dreyer sempre fascinoso ma come mummificato, e 1' "accademico" Clair completamente finito; tremiamo attualmente per Chaplin impegnato a Londra in un'impresa che ci fa paura. Di Luis Buñuel non dubitiamo: ha conquistato una tale aurea misura, una tale limpidezza d'invenzioni e di idee, una tale dimensione cinematografica - magari povera tecnicamente, ma funzionalmente applicata a un mondo poetico così unitario -, che ancora a lungo egli ci recherà la consolazione del suo cinema lucido e sconvolgente, della sua solitaria e implacabile protesta.
Ugo Casiraghi, Il diabolico Buñuel, Filmquaderno del Circolo del cinema di Imola, 1966

Critica (2):J.de la Colina - Diario di una cameriera: le fu proposto?
Buñuel - Avrei dovuto realizzarlo per Alatriste, con Silvia Pinal come protagonista, qui in Messico. Silberman mi chiese di girarlo per lui in Francia. Proposi Silvia, ma poiché lei è messicana e il film francese, non accettò. In realtà fui io che proposi il film.
T.P. Turrent Fece molte trasformazioni al romanzo?
Buñuel - Il romanzo è solo un punto di partenza. Lì Célestine è a servizio in molte case. Preferii concentrare gli episodi che mi interessavamo in una sola casa. Aggiunsi un elemento da un altro episodio: il vecchio feticista. [...]
T.P. Turrent - La sceneggiatura è la sua prima collaborazione con Jean-Claude Carrière, con cui, in seguito, lei lavorerà quasi esclusivamente.
Buñuel - Silberman mi propose diversi nomi per lavorare alla sceneggiatura, però non mi sembravano adatti. Allora mi disse che mi avrebbe presentato un giovane che non aveva mai fatto cinema ma che era molto intelligente. Accettai. Silberman parlò con Carrière e gli chiese: "Lei beve vino?" Carrière disse di no. "Bene, ma a Buñuel dica di sì". Quando Jean-Claude ed io cominciammo a lavorare gli offrii del vino e lui accettò "affascinato". Con me dovette bere più di una bottiglia.[...]
TP Turrent - C'è un dettaglio che colloca il film cronologicamente: una manifestazione dei reazionari francesi a favore del ministro Chiappe.
Buñuel - Chiappe era il prefetto della polizia che reprimeva le manifestazioni di sinistra. Nella manifestazione del film intervengono i "Camelots du Roi" e la "Jeunesse Patriotique". Gridano: «Abbasso la repubblica! Muoiano gli ebrei! Viva Chiappe». È un ricordo dei tempi di Parigi, negli anni Trenta, quando la destra cercò di occupare il Parlamento. Inoltre Chiappe era una bestia nera per i surrealisti.
J. de la Colina - Il film descrive con acredine la borghesia rurale francese. I personaggi sono borghesi... e, da un punto di vista morale, sono miserabili
Buñuel - Sì. In parte lo è anche Célestine, perché aspira a diventare borghese e non dà importanza ai mezzi a cui deve ricorrere. Denuncia il suo amante e si sposa col vecchio capitano confinante, per vivere "come una regina".
T.P. Turrent - Jeanne Moreau fu scelta da lei?
Buñuel - Sì. La proposta Silberman. Fummo a pranzo con lei a Saint-Tropez. Io conoscevo solo "cinematograficamente" la Moreau, da un film di Malle. La trovai affascinante e vidi che era adatta per la parte. Soprattutto per il suo modo di camminare, con quel dondolio sulle caviglie. Andava molto bene per la scena in cui il vecchio feticista le chiede di calzare degli stivali vecchi e di camminare con quelli. Célestine dice che se preferisce può indossare degli stivali più nuovi. «No! si metta questi!. Sono più belli!», dice il vecchio.
T.P Turrent - Un'altra volta il feticismo del piede.
Buñuel - Posso avere questa ossessione, come quella degli insetti, ma suppongo che non mi metteranno in carcere per questo. In realtà i piedi e le scarpe, da uomo o da donna, mi lasciano indifferente. Mi attrae il feticismo del piede come elemento pittoresco e umoristico. La perversione sessuale mi ripugna, anche se può attrarmi da un punto di vista intelligente.
J. de la Colina - C'è una scena molto forte e molto bella: le lumache che salgono sulle gambe della bambina morta.
Buñuel - Non ho spiegazioni per questa immagine. Probabilmente sentii la contiguità fisica delle lumache, la sensazione di umidità e di bava...[...]
J. de la Colina - Diario di una cameriera è uno dei suoi film meno sciolti, meno "scapigliati ". Non si vede niente, di fatto, che non possa esistere nella realtà immediata.
Buñuel - Vi si trovano diverse intenzioni. Da un lato il tentativo di fare un cinema commerciale dignitoso, che interessi al pubblico, che non lo faccia uscire dalla sala. Perché io sono molto consapevole del fatto che nel film è stato investito del danaro, che è il lavoro di molta gente, e questo impone una certa responsabilità. Da un altro lato c'è l'imperativo subcosciente, che cerca di uscire alla luce. Filmo per il pubblico abituale e anche per gli amici, per quelli che capiscono questo o quel riferimento che appare più o meno oscuro alla maggior parte. Però faccio in modo che questi ultimi elementi non intralcino il senso di ciò che sto raccontando. (...) E questi sono dettagli concreti, non simboli. So, certamente, che c'è una tendenza inevitabile ad attribuire un intento simbolico a qualsiasi immagine. Lei sta leggendo un romanzo in cui si dice: "Allora Fulanito guardò verso la candela e rimase assorto contemplando la caduta dei goccioloni di cera". Se lei, nel leggere ciò, ha qualche preconcetto di tipo sessuale, farà immediatamente l'associazione: la candela è il fallo e i goccioloni di cera sono lo sperma.... Fesserie! (...)
in José de la Colina, Tomás Pérez Turrent, Buñuel por Buñuel

Critica (3):

Critica (4):
Luis Buñuel
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