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Tocco del peccato (Il) - Tian Zhu Ding


Regia:Zhang-Ke Jia

Cast e credits:
Sceneggiatura: Jia Zhang-Ke; fotografia: Nelson Yu Lik-wai; musiche: Lim Giong; montaggio: Lin Xudong, Matthieu Laclau; scenografia: Liu Weixin; interpreti: Jiang Wu (Dahai), Wang Baoqiang (Zhou San), Zhao Tao (Xiao Yu), Luo Lanshan (Xiao Hui), Zhang Jiayi (innamorato di Xiao), Li Meng (Lianrong); produzione: Xstream Pictures-Office Kitano Inc.-Shanghai Film Group Corporation-Shanxi Film and Television Group-Bandai Visual-Bitters End; distribuzione: Officine Ubu; origine: Cina, 2013; durata: 133’.

Trama:Uno sguardo sulla Cina contemporanea attraverso le vicende di quattro personaggi: Dahai, minatore esasperato dalla corruzione dei dirigenti del villaggio, decide di agire; San'er, un lavoratore emigrante tornato a casa per la fine dell'anno, scopre le infinite possibilità offerte dalla sua pistola; Xiao Yu, receptionist in una sauna, si vede costretta ad arginare ad ogni costo le avance di un cliente facoltoso; Xiao Hui passa da un lavoro all'altro in condizioni di sempre più degradanti. Il ritratto che ne esce è quello di una società in via di sviluppo economico, ma brutale e violenta.

Critica (1):Anche se da noi il cinema di quel Paese si è sempre visto poco, è probabile che le Monde non abbia avuto torto nel definire Il tocco del peccato «uno dei più bei film cinesi di tutti i tempi». Però la Cina non potrebbe vantarsene, perché vi è descritta come un inferno di violenza e disperazione, da cui ogni traccia di umanità pare ormai cancellata. E tantomeno potrebbe menarne vanto sapendo che i quattro episodi di cui è composto il film sono tratti da reali – e sanguinosi – episodi della cronaca recente. (...) Vincitore del Leone d'oro a Venezia nel 2006 con il suo Still Life (unica opera del regista arrivata nelle sale italiane), Jia Zhang-Ke racconta la Cina odierna in questo film prodotto dall'Office Kitano e premiato per la sceneggiatura all'ultimo Festival di Cannes: un Paese portato alla rovina dall'unione incestuosa tra comunismo e capitalismo selvaggio dove prevaricazione, corruzione e sfruttamento non sono eccezioni ma regola quotidiana che devasta la vita della gente. Soprusi ai quali tutti e quattro i personaggi principali della tetralogia si oppongono; ciascuno a suo modo però sempre con esiti distruttivi. Il cineasta compone un'opera di grande respiro, ambientata in quattro diverse città (Shanxi, Chongqing, Guandong e Hubei) ma le cui parti sono collegate tra loro, specie nel prologo e nell'epilogo, da fili sottili. Il primo episodio è abbastanza sorprendente per chi avesse visto il delicato Still Life: truculento e tinto di humour nero, sembra girato dalla cinepresa di un Quentin Tarantino orientale. Nei successivi, pur nella violenza di rispettivi avvenimenti, affiora la poetica dolente del cineasta; cui questa volta, però, si affianca una dose di autentica indignazione. In ogni caso lo stile della rappresentazione resta perfettamente controllato ed elegante, le inquadrature sono composte con cura, i movimenti di macchina misurati e precisi nella preziosa fotografia del cinematographer di fiducia del regista, Yu Lik-wai. La descrizione del devastato panorama morale della Cina di oggi lascia sbalorditi e amareggiati, mentre alcune scene emblematiche si installano nella mente dello spettatore. Come quella del night in cui una squadra di belle fanciulle in (succinte) uniformi da Guardie Rosse sfila davanti ad anziani clienti tra il divertito e l'eccitato. Un modo duro di dirci come è finita quella rivoluzione maoista che un tempo ebbe sostenitori entusiasti anche in Occidente.
Roberto Nepoti, la Repubblica, 21/11/2013

Critica (2):Omaggio, e non solo nel titolo, al grande maestro del cinema cinese King Hu, re del filone wuxia, e al suo Touch of Zen, ne «eredita» anche la tensione per una forma narrativa appassionante e aderente ai conflitti storico politici del presente e del passato. Touch of Sin è un film a episodi: quattro storie di vendetta proletaria ispirate a recenti fatti di cronaca accaduti in Cina, che la narrazione di Jia accorda con un senso musicalmente stridente al segno delle lacerazioni di un paese in cui la crescita del Pil è direttamente proporzionale a quella dello scontro sociale e dei tumulti. Cosa è quel «tocco di peccato» disseminato nella macchina neocapitalista globale? Il respiro incessante del lavoro in un paesaggio mai inerte, in cui il corpo è acceso 24 ore su 24, in fabbrica o come strumento di piaceri, a coltivare la terra o a pulire le verdure. «Dove vuoi andare – dice un ragazzo all'amico che sogna la fuga nell'altrove – Il mondo è in crisi ovunque». Nessuno sembra fermarsi mai nella «nuova» realtà di ricchezze e miserie, lusso sfrenato e sopportazione silente che asseconda l'ambizione di conquistare un giorno «anche io» qualcosa. Però ci sono limiti che nessun essere umano può sopportare, oltre i quali o si rivolta collettivamente o reagisce in solitudine. Ma in questa specie di moto continuo cosa significa – se ha ancora un senso – «rivoluzione»? Il rapporto a distanza tra le storie e la Storia, è al centro del cinema di Jia dal primo film, Pickpocket (1997), al cui protagonista, il giovane ladro emarginato, questi personaggi somigliano: vivono infatti la stessa incapacità di «adeguarsi» al sistema sociale, che scivola nell'esasperazione. A differenza di lui, e degli altri però, i protagonisti di A Touch of Sin (coprodotto insieme a Takeshi Kitano) reagiscono, rispondono alle vessazioni con una violenza surreale, e ferocemente politica. È la lezione del buddismo «zen» (assimilata da King Hu ma anche da Tsui Hark e da Kitano) come filosofia del combattimento, della prassi, della comunicazione individuale e collettiva. Insieme alle antiche tradizioni culturali e marziali (il teatro e la letteratura popolare, gli artisti di strada, il tempio di Shaolin...) che continuano saldamente nella loro funzione di «provocare» la giustizia. La sfida dunque è alta, e semplice insieme: si tratta di iniettare la spettacolarità politica dell'immaginario nella realtà quotidiana per denudarne l'oppressione feroce. (...) Western, romanzo storico-popolar-criminale, opera tradizionale, A Touch of Sin declina il «wuxia» al presente: dal nord al sud della Cina, lo Shanxi, lo Hubei, il polo manifatturiero di Guagngdong, e le megalopoli di Chongqing, i protagonisti scoppiano all'improvviso, bombe deflagranti di una miseria velata nel denaro, sintomi di un malessere diffuso in quell'attività senza tregua. Ci parlano dei pericoli nascosti nell'improvvisa prosperità e nelle trasformazioni traumatiche di campagne e città, tra cemento, polvere nera delle miniere, fabbriche squadrate che somigliano a scatole delle scarpe. La geografia quotidiana di Jia non conosce retorica o sentimentalismi. Ci porta nei mercati, tra gli animali, veri o sognati che possono suicidarsi, o mimetizzarsi (come in un film di Bruce Lee) tatticamente nel filo dell'orizzonte. Fissa lo sguardo prolungato dell'uomo che osserva la bimba prima di sgozzarle l'amata papera. Si sposta nelle archeologie industriali, in cui la collera è sprezzo per la dignità che i ricchi ovunque siano – lo stesso regista si riserva il ruolo di un cliente del locale – esercitano. E la «sua» Cina racconta qui, in questi conflitti, il senso del capitalismo oggi, denominatore comune di un tempo in cui la ribellione può rimanere sola. O diventare, appunto, rivoluzione. Tutta da inventare.
Cristina Piccino, il manifesto, 21/11/2013

Critica (3):

Critica (4):
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