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Presidentessa (La)


Regia:Germi Pietro

Cast e credits:
Soggetto: tratto dall'omonima commedia di Maurice Hennequin e Pierre Veber; sceneggiatura: Aldo De Benedetti; scenografia: Virgilio Marchi; fotografia: Leonida Barboni; montaggio: Rolando Benedetti; interpreti: Silvana Pampanini (Gobette), Aroldo Tieri (giudice Luciano Pinglet), Luigi Pavese (presidente Tricoin), Ave Ninchi (Aglae Tricoin), Eva Vanicek (figlia di Tricoin), Carlo Dapporto (ministro Cipriano Gaudet), Aldo Bufi Landi (Ottavio Rosimond ), Franco Coop (Marius), Ernesto Calindri (Bienassis, il funzionario), Marylin Buferd (Angelina, l'amante di Gaudet), Laura Gore (Sofia, la cameriera), Guglielmo Barnabò (il direttore dell'albergo), Franco Scandurra (il gendarme); produzione: Amato, Excelsa Film; origine: Italia, 1952; durata: 90'.

Trama:In una remota cittadina di provincia, Tricointe, il presidente del tribunale dà l'ordine di chiudere il locale in cui si esibisce Gobette, giovane e bella artista di varietà che indossa abiti succinti e interpreta canzoni dai testi molto audaci. Col proposito di vendicarsi, Gobette, approfittando dell'assenza della moglie e della figlia di Tricointe, s'introduce in casa sua...

Critica (1):La presidentessa, girato due anni dopo Il cammino della speranza, è la prima, decisa deviazione di Germi dalla strada maestra di quel cinema di impegno civile nel quale la sua opera precedente era stata legittimamente compresa. La città si difende, infatti, sebbene seguisse evidentemente esempi cinematografici inconsueti nel cinema italiano. Poteva ancora inserirsi nell'ambito neorealista. Ma era difficile trovare in qualsiasi addentellato del genere per un film come La presidentessa. A questo proposito Germi disse qualche anno dopo che era stato indotto a girarlo in un momento caratterizzato da uno stato di incertezza soggettiva: "era quel periodo in cui seguivo certi miei pensieri e non sapevo, non avevo deciso cosa fare". In verità si trattava di un'incertezza ben più soggettiva, trovando essa riscontro in una crisi oggettiva che aveva profondamente incrinato il neorealismo, che, proprio nel primo scorcio degli anni Cinquanta, stava vivendo la sua ultima stagione. L'esaurimento di questa esperienza fu favorito, com'è noto, da una serie di attacchi esterni la cui portata è stata forse eccessivamente sapravvalutata: un'attenta analisi delle opere dei suoi maggiori autori, che presentano segni di evoluzione in un senso diverso da quello auspicato dalla critica coeva, individuerebbe anche in altri fattori le ragioni ditale declino. È chiaro che La presidentessa può considerarsi tutt'altro che una soluzione di queste crisi. Ma per Germi costituisce una prova che va un po' oltre i limiti di una vacanza, pur se come tale egli stesso cercò di farla apparire, ricordando che il produttore Amato lo invitò a girare il film allettandolo col fatto che le scene erano già pronte, la sceneggiatura era scritta e i contatti con gli attori principali felicemente avviati. E questo l'unico film del regista che non porta il suo nome fra gli sceneggiatori. Ma egli stesso aveva detto che girare soltanto film d'autore era una bella pretesa di alcuni suoi colleghi. Ebbene, egli riteneva di essere immune da tale ambizione, di non essersi "montato la testa". Dichiarazioni che hanno tutto il sapore di una giustificazione. In effetti La presidentessa si rifaceva ad un tipo di cinema del tutto estraneo alla tradizione italiana e che non avrebbe avuto alcun seguito. Il rifacimento di Luciano Salce, datato 1977, ambienta la commedia di Hennequin e Veber negli anni Cinquanta e, in parte, in una villa vicentina. E molto probabile comunque che Germi abbia tenuto presente nel realizzare questo film un modello analogo, che aveva avuto in Francia alcune espressioni di rilievo, firmate da registi che nell'immediato dopoguerra godevano di grande prestigio, come Claude Autant-Lara e Georges Clouzot. Del primo è Occupe-toi d'Amelie! (Occupati di Amelia!, 1949), tratto dalla pièce di Feydeau; del secondo Miquette et sa mère (Un marito per mia madre, 1949) tratto da De Caillavet e De Flers: in ambedue i casi si trattava di film che, sebbene dichiaratamente girati per scopi spettacolari, non trascuravano quelle esigenze di alto artigianato che contrassegnano il cinema dei loro autori. Ma in queste due commedie si attua qualcosa di più che un semplice lavoro di riporto dal palcoscenico allo schermo, secondo i moduli del teatro filmato, particolarmente invalso (e criticato) negli anni a cavallo dei Cinquanta, perché la personalità di registi come Autant-Lara e Clouzot ha modo di emergere anche fra le righe di una trascrizione sostanzialmente fedele al testo scritto: soprattutto in Miquette et sa mère in cui è facile cogliere il caratteristico umor nero clouzotiano. Nell'un caso e nell'altro ci si trovava di fronte a film non estranei e alla personalità degli autori e al clima tipico del cinema francese brillante: ragioni sufficienti a garantire la riuscita. Tutt'altro invece il problema per Germi, doppiamente estraneo ad esperimenti di tal genere: e per la sua formazione cinematografica, nei cui confronti un passo come quello della Presidentessa non poteva non apparire almeno eccentrico, e nei confronti del cinema italiano, che pur contava qualche trascrizione dalla scena allo schermo, ma non ne annoverava alcuna ascrivibile al tipo di commedia leggera di cui il testo teatrale di Hennequin e Veber è esempio. D'altro canto il cinema di Germi era ben lontano dal potersi annettere all'area di quella "terza via" di cui si era discusso a lungo qualche anno prima. Niente di più estraneo al suo modo di far cinema del cosiddetto teatro filmato, e questa sua prova lo conferma. Tuttavia grazie a qualche aggiustamento di tiro e a una trascrizione in termini cinematografici più decisa di quanto comportino casi analoghi, egli conferisce qualche dignità anche a quest'opera decisamente minore, anticipando alcuni temi che saranno ripresi nell'ultima fase della sua attività.
Vito Attolini, Il Cinema di Pietro Germi, Elle Edizione 1986

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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