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Giardino delle vergini suicide (Il) - Virgin Suicides (The)


Regia:Coppola Sofia

Cast e credits:
Soggetto
: Jeffrey Eugenides; sceneggiatura: Sofia Coppola; fotografia: Edward Lachman; montaggio: Melissa Kent, James Lyons; musica: Jean-Benoit Dunckel, Nicolas Godin; scenografia: Jasna Stefanovic; effetti: Jordan Craig, John Laforet; costumi: Nancy Steiner; interpreti: James Woods (Mr. Lisbon), Kathleen Turner (Mrs. Lisbon), Leslie Hayman (Therese Lisbon), A. J. Cook (Mary Lisbon), Chelsea Swain (Bonnie Lisbon), Hanna R. Hall (Cecilia Lisbon), Josh Hartnett (Trip Fontaine), Danny DeVito (Dr. Hornicker), Scott Glenn (Padre Moody), Jonathan Tucker (Tim), Kirsten Dunst (Lux Lisbon); produzione: American Zoetrope, Muse Productions; distribuzione: Academy; origine: Usa, 2000; durata: 97’.

Trama:Michigan, anni Settanta. I coniugi Lisbon hanno cinque figlie comprese fra i tredici e i diciassette anno. Le ragazze, che sono il sogno dei giovani maschi della zona, sembrano tuttavia inavvicinabili. Il suicidio della più piccola, Cecilia, convince i genitori a non mandarle più a scuola e a tenerle segregate...

Critica (1):[...] In una linda villetta vivono le Lisbon, cinque sorelle bionde e attraenti che si uccideranno una via l’altra prima di affacciarsi alla giovinezza. La triste vicenda è rievocata attraverso lo sguardo degli ex compagni di scuola, succubi del fascino leggiadro delle fanciulle, della loro sensualità perversamente innocente. A renderle diverse ha provveduto la repressiva educazione della mamma (Kathleen Turner) di fede cattolica (come la cineasta) che le ha cresciute rigidamente. Più permissivo il papà professore di matematica (James Woods) si lascia convincere dai modi di gentiluomo di un giovane corteggiatore, Trip, a far partecipare le figlie al ballo finale della scuola. Tuttavia quella notte che dovrebbe essere di festa e di felicità è l’inizio della tragedia. Lux (Kirsten Dunst), la più attraente, è sedotta da Trip che subito dopo sparisce, scatenando in lei un delirio autodistruttivo; e la più giovane delle sorelle, Cecilia, già stanca della vita a tredici anni, si toglie la vita. Dopo questi fatti le Lisbon finiscono letteralmente segregate, mentre i ragazzi sempre attratti e incuriositi riescono a mettersi in contatto con loro e una sera fatale penetrano in casa. «Il giardino delle vergini suicide» è costruito come un puzzle nel ricordo dei compagni ormai adulti che ancora rimpiangono, pur non essendo mai stati capaci davvero di comprenderle, quelle Lisbon rimaste incastonate, grazie alla prematura scomparsa, nell’empireo di un’eterna giovinezza. Ben esaltato dalla fotografia di Ed Lachman, il motivo di maggior suggestione del film è proprio il sentimento di un’esistenza che si interrompe prima di essere corrotta. Però nella regia poco calibrata della Coppola, gli spunti umoristico-satirici da black comedy prevalgono sui toni preraffaelliti della storia, con un risultato spiazzante: cosicché prima di dare pieno credito all’esordiente preferiamo attenderla alla prossima prova.
Alessandra Levantesi, La Stampa, 17/9/2000

Critica (2):Debutto sorprendente, quello di Sophia Coppola con Il giardino delle vergini suicide. Come è sorprendente (o non lo è, da un altro e altrettanto legittimo punto di vista di cultura familiare) che dopo cinque minuti di film, se ci si distrae un attimo, non si sia più sicuri di essere in un film della ragazza Sophia, tanto aleggia sulla storia e sullo stile l’aura nostalgica di leggenda contemporanea alla maniera di Rusty il selvaggio e di Peggy Sue si è sposata, entrambi firmati dal padre di Sophia, Francis Ford Copola. Ed è lo stile la sorpresa del film. Perché nonostante la bravura della men che trentenne Sophia, la storia raccontata da Jeffrey Eugenides nel suo romanzo Le vergini suicide (in Italia pubblicato da Mondadori) è difficile da accettare, e più che un’analisi psicologica ci offre un’invenzione mitica. Quella, appunto, delle cinque sorelle Lisbon, figlie di un professore di matematica (James Woods) e di una severa madre che è proprio lei, Peggy Sue spenta e invecchiata (Kathleen Turner): cinque apparizioni nel mondo regolare e allisciato dei sobborghi middle class, bellissime e sensuali come altrettante “ultime belle” fitzgeraldiane, malate di una malattia che si chiama adolescenza più femminilità, indirizzate all’autodistruzione dal gesto della più giovane, che una notte, senza ragione apparente, si lancia dalla finestra sulle punte del cancello di casa. E mentre i genitori, sconvolti dal dolore, cercano sempre più rigidamente di chiudere in casa le loro bellezze per preservarne virtù e (credono) salute mentale, i ragazzi del vicinato le guardano ogni minuto di più come delle apparizioni leggendarie, dee dei suburbia, quintessenza di sensualità potenziale. Perché non siamo davvero sicuri che Lux (Kirsten Durst), la più bella, se la faccia tutte le notti sul tetto con i suoi amanti: non c’è come la bellezza per produrre miti. E non c’è logica, se non quella della leggenda, per giustificare la fine delle ragazze - anche se ci dicono che la storia è vera. Ma è appunto lo stile di Sophia Coppola - elegante, onirico anche nel realismo borghese, sempre a un passo dal Kitsch senza caderci mai dentro, pieno di dettagli precisi e di precisa conoscenza dei movimenti e dei sogni dell’età verde - a dare forza a una storia che avrebbe potuto essere (e per certi versi è) pura fantasia morbosa, non a caso costruita da una mente maschile che affabula dall’esterno, come i ragazzini del vicinato, sulle cinque dee bionde. E, più che gli acuti della tragedia, restano nella memoria la bravura con cui Sophia Coppola sa evocare i comportamenti adolescenziali: come il dialogo via telefono tra due giradischi (si chiamavano così negli anni Settanta in cui si svolge il film) o il risveglio crudele di Lux sul campo sportivo dopo la sua notte d’amore, immediatamente abbandonata dal solito maschietto predatore.
Irene Bignardi , la Repubblica, 18/9/2000

Critica (3):Dei molti modi di raccontare un fatto straziante, l'esordiente di papà Sofia Coppola sceglie la via, raffinata e difficile, del racconto in bilico tra rievocazione dolente, notazione millimetrata e lampi di metafisico mistero. Non spiega (e come potrebbe del resto?) il perché del suicidio di cinque splendide ragazze, ma accompagna il prima, il durante e il dopo quasi con pudore, accarezzando i personaggi e costruendo le scene con una perizia da veterana (che papà Francis abbia dato una mano?). Delle biondissime sorelle, in particolare, colpisce Kirsten Dunst, angelica dissipatrice della propria sensualità, mentre James Woods e Kathleen Turner, da interpreti di finissima razza, regalano alla coppia di genitori, toni di piccolo-borghese (e meschina) normalità e poi di incommensurabile, attonito dolore. Un film toccante.
Massimo Lastrucci, Ciak (1/10/2000)

Critica (4):
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