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Dove non ho mai abitato


Regia:Franchi Paolo

Cast e credits:
Soggetto: Paolo Franchi, Mariolina Venezia, Roberto Scarpetti, Chiara Laudani; sceneggiatura: Paolo Franchi, Rinaldo Rocco, Daniela Ceselli; fotografia: Fabio Cianchetti; musiche: Pino Donaggio; montaggio: Alessio Doglione; scenografia: Giorgio Barullo; costumi: Grazia Colombini; suono: Mario Iaquone, Fabio Pagotto, Andrea Lancia; interpreti: Emmanuelle Devos (Francesca), Fabrizio Gifuni (Massimo), Giulio Brogi (Manfredi) Hippolyte Girardot (Benoît), Isabella Briganti (Sandra), Giulia Michelini (Giulia), Fausto Cabra (Paolo), Jean-Pierre Lorit (Claudio Ferri), Alexia Florens (Lena), Naike Rivelli (Stefania), Valentina Cervi (Laura), Yorgo Voyagis (Theo); produzione:
Agostino Saccà per Pepito Produzioni con Rai Cinema, in associazione con Chab Film, in collaborazione con Gran Torino Productions; distribuzione: Lucky Red; origine: Italia, 2017; durata: 97'.

Trama:Francesca, cinquant'anni, è l'unica figlia di Manfredi, un famoso architetto che da quando è vedovo abita a Torino e che lei va a trovare solo in rare occasioni. Francesca da molti anni vive a Parigi con la figlia ormai adolescente e con il marito Benoît, un finanziere sulla sessantina dal carattere introverso ma molto protettivo e paterno con lei. Dopo essere stato vittima di un infortunio domestico, Manfredi, per avere per un po' di tempo la figlia al suo fianco a Torino, le chiederà di fare le sue veci nel progetto di una villa su un lago per una giovane coppia di innamorati. Francesca si ritroverà così a collaborare con il 'delfino' del padre, Massimo, un uomo sulla cinquantina che ha basato tutta la sua vita sulla sua carriera di architetto, tanto che il legame con la sua compagna, Sandra, prevede che entrambi mantengano i propri spazi di autonomia e indipendenza. Dopo un primo approccio difficile, tra Massimo e Francesca piano piano nasce una grande sintonia professionale e un sentimento che li porterà, forse per la prima volta, a confrontarsi veramente con se stessi e i loro più autentici destini...

Critica (1):“Il film ha molte fonti di ispirazione, in particolare letterarie. Da Čechov al cinema americano degli anni Sessanta, passando anche per Henry James, ho voluto raccontare una storia di sentimenti e fragilità. L’amore è al centro di tutto, e viene rappresentato in un periodo difficile della vita di ognuno di noi. Va in scena l’età in cui ci si mette in discussione e si giudica il proprio passato. Bisogna pensare alle vittorie e alle sconfitte, alle strade che abbiamo scelto di non percorrere”. Così il regista Paolo Franchi presenta Dove non ho mai abitato, in uscita nelle sale italiane il 12 ottobre distribuito da Lucky Red.“La passione, a tutti i livelli, è un elemento imprescindibile di questa mia opera. I protagonisti sono due architetti, perché è un mondo che ho sempre voluto esplorare, anche se lo conosco poco. È un elemento simbolico e metaforico, perché Massimo riesce a costruire qualcosa per gli altri ma non per se stesso”, aggiunge Franchi.
Dove non ho mai abitato narra di un difficile rapporto famigliare e di un amore pronto a esplodere. Francesca (Emmanuelle Devos) è la figlia di Manfredi (Paolo Brogi), famoso architetto torinese dal carattere difficile. Lei vive a Parigi, dove si è sposata con un ricco finanziere. In seguito a un infarto del padre, deve tornare a Torino, per confrontarsi con i fantasmi del passato e ricominciare a vivere. Massimo (Fabrizio Gifuni) è un amico di Manfredi, che attende una luce nell’oscurità della sua esistenza.
“Massimo è un uomo che ha messo tutto se stesso nel lavoro. Tiene le emozioni a distanza, perché ha paura di soffrire. Poi arriva Francesca e due diverse solitudini si incontrano e si comprendono. La diffidenza iniziale si trasforma in un’intesa reciproca. La fragilità di queste due anime perse è il vero motore del film”, interviene l’attore Fabrizio Gifuni. “Per questo ruolo ho lavorato molto sulla mia interiorità. Trasformarsi è sempre una sfida. Mi sono concentrato non solo sui movimenti, ma su tutto quello che alberga nel profondo. All’inizio è stato difficile”.
L’attrice Isabella Briganti, la “fidanzata” di Gifuni in Dove non ho mai abitato, descrive i tormenti della sua Sandra. “Lei sa di non essere amata. Deve fingere ogni giorno che Massimo provi qualcosa, ma è solo una maschera. Sandra non è gelosa di Francesca perché, in fondo, capisce che il suo compagno non è in grado di amare nessuno. Ogni donna può riconoscersi in questo film”.
Infine Agostino Saccà, produttore, rivela cosa è successo sul set: “Durante la prima settimana Emmanuelle Devos ha avuto qualche attrito con Paolo Franchi. Temevo davvero che da un giorno all’altro potesse prendere un taxi per Parigi senza aver concluso le riprese. Una sera, a Torino, mi ha detto finalmente di essersi rilassata, e di aver scoperto in Franchi un grandissimo regista”. Prosegue Saccà: ”Franchi ha descritto la solitudine dell’uomo contemporaneo e l’impotenza della borghesia occidentale. Questo è il motivo per cui ho deciso di supportare questo progetto. La nostra classe dirigente non è più in grado di rischiare, di prendersi le proprie responsabilità, e sembra di rivedere Il fascino discreto della borghesia di Buñuel”.
Gian Luca Pisacane, La rivista del cinematografo, cinematografo.it, 5/10/2017

Critica (2):Costruire le “case per gli altri”. Immaginare e realizzare uno spazio ideale dove vivere, amare… E talvolta chi realizza questo per gli altri, si ritrova incapace di farlo per se stesso. È il caso del cinquantenne Massimo, talentuoso architetto, che nella vita ha schivato l’amore vero e si accontenta di una relazione complice ma distante con una donna che certo non ha fondato radici nella sua vita. Ed è il caso di Francesca, la figlia del grande architetto Manfredi, che si è costruita una famiglia all’estero con un uomo più maturo di lei. Un uomo quasi anziano, sostitutivo del padre, che la protegge e la ripara da tutto, anche da se stessa e da quelle potenzialità più radicali che l’avrebbero messa troppo in gioco: il suo talento di architetto e la passione, in tutte le sue sfaccettature… Forse ciò che accomuna Massimo e Francesca è proprio questa paura, questa impotenza ad affrontare la vita e tutti i suoi aspetti sentimentali… Forse sono proprio queste affinità che li portano ad avvicinarsi l’un l’altra, a comprendersi, capirsi e piano piano innamorarsi… Forse, prima del loro incontro (inconsciamente pilotato dal grande architetto Manfredi, padre naturale di Francesca, padre ideale di Massimo, deus ex machina della fabula in un certo senso), Massimo e Francesca non si erano posti questo problema, vivevano la loro vita senza evidenti frustrazioni esistenziali, convinti che le loro scelte fossero state le migliori possibili... Ma nel corso della storia le strade sembrano cambiare direzione. I due architetti, restaurando la villa per una giovane coppia di innamorati, si ritrovano faccia a faccia con se stessi. Costruendo una casa per gli altri, proprio questa casa demolisce le loro certezze affettive. E allora affiorano i dubbi, i rimpianti, le domande… Da questa “storia d’amore” che inizia e si conclude là, in quella “casa costruita per gli altri”, i due architetti escono di scena, ribadendo quello che amaramente sono ma con tutta un’altra consapevolezza… Un film di struggente disillusione, dove i personaggi sono costretti dagli eventi a fare i conti con se stessi ( e forse non è un caso che il film inizi e finisca con un compleanno, metaforico momento di riflessione di sé e del proprio rapporto con la vita che ci passa accanto). Un film di caratteri, di attori. Un’atmosfera autunnale. Una narrazione lineare, naturalistica e semplice che si riavvicina al mio film d’esordio La spettatrice. Un film riconciliato e non ossessivo. Un film tradizionale che non vuol dire “non personale”. Tutt’altro: ho cercato di mettere a servizio il mio stile al genere “sentimentale”, nel senso più nobile del termine. La melanconica prosa di Cechov e i personaggi “morali” e altoborghesi di Henry James hanno certamente influenzato la mia ispirazione. Una ricerca che ha anche una volontà di ritrovare atmosfere di film passati. Lo si può chiamare vintage. Derivativo. Postmoderno. O semplicemente classico.
Paolo Franchi, Note di regia, cinemaitaliano.it

Critica (3):

Critica (4):
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