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Tangos - Tangos. L’exil de Gardel


Regia:Solanas Fernando E.

Cast e credits:
Sceneggiatura: Fernando E. Solanas; fotografia: Felix Monti; musica originale: Astor Piazzolla; canzoni originali: "Tangos de papel" e "Solo" di Solanas e Roberto Goyeneche; "Hijos de exilio", "Los tangos del exilio de Gardel" e "Vals del regrejo" di Solanas e José Luis Castiñeira de Dios; "La yumba" di Osvaldo Pugliese; "Volver", "El dia que me quieras" e "Rubias de Nueva York" di Carlos Gardel e Alfredo Le Pera; "Anclao en Paris" di Enrique Cadicamo e Guillermo Barbieri; coreografia: Susana Tambutti, Margarita Balli, Robert Thomas, Adolfo Andrade; balletti: Nucleo Danza; scenografia: Luis Diego Pedreira, Jimmy Vansteenskiste; disegni: Ermeneglido Sabat; suono: Adrian Natif; montaggio: Cesar d’Angiolillo, Jacques Gaillard; interpreti: Marie Laforet (Mariana), Philippe Léotard (Pierre), Miguel Angel Sola (Juan Due), Marina Vlady (Florence), Georges Wilson (Jean-Marie), Laotaro Murua (Gerardo; produzione: Sabina Sigier, Vicente Diaz Amo per Terciné, Cinesur con la partecipazione dei Ministero della Cultura e del Centro Nazionale della Cinematografia (Francia) e dell’Istituto Nazionale di Cinema (Argentina); distribuzione: Academy Pictures; origine: Francia / Argentina, 1985; durata: 125'.

Trama:Il film racconta la vita di un gruppo di esiliati argentini a Parigi, sul finire degli anni ’70. Maria, vent’anni, é figlia di Mariana, un’attrice-ballerina famosa a Buenos Aires prima che suo marito, avvocato, venisse sequestrato perché si occupava di casi relativi a desaparecidos. Insieme a tre amici mimi e ballerini, Maria ci narra le speranze e lo sconforto degli adulti, degli esiliati della "prima generazione". Mariana, insieme a Juan Due e ad altri amici, sta organizzando una tanguedia, uno spettacolo (musicato da Juan) il cui testo si basa sugli appunti di volta in volta inviati da Juan Uno, un poeta rimasto in Argentina. Ma la tanguedia, un insieme di tanghi legati da un’esile traccia narrativa, sembra non dover mai finire, e questo crea dei contrasti con il mondo dello spettacolo parigino, in particolare con il regista Pierre. Nonostante la solidarietà e l’appoggio politico da cui gli esuli sono circondati, il rapporto fra le due culture sembra rimanere problematico. La fine della tanguedia non può che coincidere con la fine dell’esilio. L’esilio di Gardel è l’esilio di tutti i perseguitati politici argentini.

Critica (1):Alba sulla Senna. Seguendo la musica di Astor Piazzolla, due ballerini camminano l’uno verso l’altra. A metà del ponte si incontrano, e proprio in quell’istante lo schermo si accende di un’unica parola, a caratteri di scatola: Tangos. Un uomo suona il bandoneon sotto l’arco dei ponte, al di là del quale si ammira la mole di Notre Dame. I due ballerini sono ora sul lungosenna, nelle prime inquadrature era primavera, ora è inverno, l’uomo indossa un pesante cappotto e tiene in mano una valigia. Siamo già – se ci passate l’espressione – in un "tempo atemporale" in cui le stagioni cedono il passo a un fluire di anni indifferenti.
Nostalgia, clandestinità, musica, danza. I titoli di testa di Tangos fanno intuire quasi tutti i motivi fondamentali dei film. Ma si svolgono sotto il segno dell’incontro, del contatto. E l’incontro tra Mariana e Juan Due, esiliati che si avvicinano in una Parigi vuota (di persone, di affetti, di ricordi), è anche, per noi spettatori, l’incontro con Fernando Ezequiel Solanas. Tre film in vent’anni (a parte un lungometraggio documentario girato in Francia, eravamo fermi a L’ora dei forni e a I figli di Fierro) sono pochi anche per un regista "raro" e perseguitato come lui. Il 1985 ha segnato il ritorno di diversi grandi che erano inattivi almeno da quattro-cinque anni: i sovietici Klimov e Paradzanov, lo statunitense Penn. Ma quello dell’argentino Solanas si è indubbiamente segnalato come l’avvenimento cinematografico dell’anno, al di là dei premi rastrellati a Venezia e un po’ dovunque nel mondo.
(...) "Mi chiamo Maria. Sono da otto anni a Parigi, la capitale degli esiliati"... Tangos inizia sotto il segno dei giovani. Sono loro le vere vittime dell’esilio. Gli adulti vivono nel ricordo di una sola, vera patria in cui è rimasto tutto ciò per cui vale la pena di vivere. Maria è una ragazza di venti anni, otto dei quali trascorsi a Parigi. Francia e Argentina, per lei, si confondono. Tangos si suddivide in quattro grandi blocchi (semplicemente numerati), all’interno dei quali si situano tredici capitoli, ciascuno dei quali ha un sottotitolo autonomo. (...) Tenendo presente, però, che le due suddivisioni sono sfasate: l’inizio dei blocchi non coincide mai con quello dei capitoli. È una sfasatura che crea una dimensione temporale doppia, una scomposizione del tempo insieme spezzata e ricucita.
(...) Questa "doppiezza" del tempo in Tangos, del resto, è esplicitata da Solanas fin dalle prime sequenze. Quale sarebbe, altrimenti, il senso della bellissima doppia telefonata del primo capitolo? Miseria (l’uruguayano esperto in chiamate intercontinentali clandestine) e Juan Due sono alla stazione, con tutto il codazzo degli esiliati che vivono nella "casa del Rio della Plata", mentre Mariana è in casa, e parla con la madre a Buenos Aires. La m.d.p. li circonda con dei morbidi carrelli circolari, montati in parallelo e legati da dissolvenze incrociate. Tangos, del resto, è tutto giocato sul rimpianto del passato e la speranza nel futuro, due "tormentoni" psicologici che rischiano – in tutti i personaggi – di annullare la forza del presente. Questa dualità, questa spaccatura da cui i personaggi sono affetti è presente a tutti i livelli: Juan Uno e Juan Due (il primo a Buenos Aires, il secondo a Parigi), Alcira e Gerardo, i due registi della tanguedia (prima El Angel, poi il francese Pierre), i due livelli del racconto (i giovani, gli adulti) destinati ad incrociarsi solo nel rapporto (anch’esso dualistico) tra Mariana (la madre) e Maria (la figlia). Maria è in ogni senso l’anima del film perché in lei la dualità diviene interna: "... il vero dramma è quello dell’esilio della nuova generazione. Quale è stata l’infanzia di quei bambini e di quelle bambine di una decina d’anni al momento del colpo di stato... Oppure di quelli che hanno vissuto il doppio esilio e che sono divisi tra due culture?"
(...) La poetica di Juan Uno è tutta racchiusa in una labirintica valigetta che pare quella inventata da Gogol’ per l’immortale Cicikov delle Anime morte. Ritagli, scarabocchi, appunti presi sui pezzi di carta più folli, dai tovaglioli alla carta igienica. "Gettare dalla finestra i canoni estetici, mischiare i generi, rischiare la bruttezza per trovare la bellezza. La perfezione è morte, viva la vita. Juan Uno è così. Scrive senza logica...". Ma Pierre, da bravo europeo, la logica la pretende: "Juan, senza finale diventa una cazzata!". Su questa dialettica vive Tangos: anche a Solanas non interessa la perfezione, e in Tangos persegue con coraggio una miscela tra un cinema puro, classico, e una struttura il più possibile aperta, a schidionata. "Ho voluto raccontare una serie di racconti di esilio come un’infilata di tanghi e di milongas". Si potrebbe dire che il film è esso stesso una tanguedia (tango + tragedia + commedia), ma non è così: il film è un esempio di cinema contaminato che assorbe in sé anche la tanguedia, come uno dei tanti materiali (musica, danza, teatro) e dei tanti registri (tragico, lirico, satirico) che concorrono alla costruzione finale. Proprio in questa sua ricerca del contatto (e cos’è l’esilio, se non un contatto con un mondo "altro"?) Tangos è un film spurio, una sorta di buco nero che assorbe in sé tutto ciò che gli si avvicina, per restituirlo in una metafora complessiva che ha nella propria "imperfezione" il pregio e la forza maggiori.
(...) Il secondo capitolo si apre nel segno delle lettere. Compare l’Argentina, racchiusa in quei fogli di carta che, insieme alle telefonate, restano l’unico legame con la patria. E naturalmente in apertura di capitolo, sono i giovani a commentarle. Loro possono farlo. "Guarda la bolletta del telefono! Hai di nuovo chiamato il tuo ragazzo a Le Havre?", dice Mariana. E Maria le risponde: "Sì, ma tu chiami Buenos Aires!". I giovani sono esseri aperti: Solanas li coglie sempre all’aperto, su un tetto, nei parchi, per strada, in quelli che Bachtin definirebbe luoghi "di passaggio" (come il ponte su cui avviene l’incontro tra Mariana e Juan nei titoli di testa). La dialettica del film, oltre che politica e stilistica, è anche morale: i diversi atteggiamenti di fronte all’esilio sono tutti assorbiti nella struttura dei film.
(...) E con l’Argentina compare il dramma dei desaparecidos. Anche il rapporto con la Francia è doppio: i francesi non comprendono la tanguedia ma solidarizzano con il dramma degli esiliati. E tra le cartas del exilio del pais è sintomatico – e agghiacciante – che la più bella, la più toccante, sia una lettera mai spedita, quella che Alcira scrive alla nipotina Martita, scomparsa insieme alla madre Marta. Quello dei bambini scomparsi (e spesso, in un allucinante paradosso, adottati da quegli stessi aguzzini che hanno ucciso i loro genitori) è forse il dramma più pazzesco della dittatura. E la solidarietà con le madri (e le nonne) di Plaza de Mayo non poteva mancare in un simile film. Alcira parte, alla ricerca della nipotina. E Ana arriva, a visitare l’amica Mariana. Anche nel "ponte aereo" tra Buenos Aires e Parigi si ribadisce la struttura simmetrica (continuamente in dialettica con quella a schidionata) del film.
(...) Anche lo spazio, quindi, si raddoppia. Anche se uno dei due poli (Buenos Aires) resta solo sognato, ricordato, raccontato. Ana, come Mariana, è un’attrice. "Ormai non succede più niente. Qui stanno molto esagerando", le racconta. Il rapporto con chi è rimasto, chiudendo gli occhi, è davvero impossibile. Ma Solanas non è manicheo: ironicamente, l’amica Ana è più "moderna" di Mariana, e non si scandalizza se Maria viene pescata mentre fa l’amore con il suo ragazzo, anche se la sua spregiudicatezza sembra molto turistica ("Stanno scopando... qui!", dice Mariana costernata. "Ah, siamo proprio a Parigi!", risponde l’amica, che poco prima al Beaubourg, tutta emozionata, aveva scambiato Picabia per Picasso. "Ma si assomigliano, tutto sommato").
(...) "L’esilio è l’assenza, la perdita. Si è costretti a vivere un’altra realtà, un altro tempo, un’altra vita. Si esiste convocando gli assenti. Si prende l’abitudine di parlare, di vivere con loro anche se sono assenti. L’esilio è anche un grande viaggio introspettivo. Una crisi profonda dalla quale pochi riescono a fuggire" (Solanas). Gerardo, il vecchio che è un po’ la "memoria storica" del gruppo di esiliati, parla letteralmente con San Martin e Gardel, in una sequenza onirica che è uno dei punti più alti dei film. Anche Mariana e Juan Due riescono a parlare con il Discepolo e ad ascoltare i tanghi dalla viva (?) voce di Gardel. Ma il viaggio di Gerardo, Mariana e Maria (tre generazioni) a Boulogne-sur-Mer, nella casa dove è morto San Martin, è una sorta di movimento in un liquido amniotico che è insieme spaziale e temporale. Il mare coperto dalla nebbia, l’Argentina che è al di là di quelle acque. Le tre generazioni vengono in contatto con il proprio, collettivo passato. È proprio sulla riva del mare che Maria chiede a Mariana di suo padre. Ed è subito dopo, in un parco parigino, che Juan Due apprende che i figli lo lasceranno per andare con la madre a Barcellona. Il rapporto fra le generazioni, nell’esilio, non può essere che distacco, dolore, assenza: passata e futura.
(...) "La milonga è satirica, grottesca e a volte drammatica" (Solanas). L’irruzione del grottesco coincide sempre con i momenti di massima tensione. El Angel e Pierre che si spezzano, come robot, scontrandosi con la realtà di una tanguedia che non risponde ai loro canoni spettacolari. Juan Due che si "sgonfia" quando la tanguedia è fatta e non ha, ormai, più bisogno di lui. Spunti da teatro grottesco che per Solanas sono, "più che un mezzo d’espressione scenico, delle situazioni o dei sentimenti inerenti all’esilio". Il grottesco è spesso violento. Non può che esprimersi in una deflagrazione simbolica.
(...) "Non canto più, generale. Sono vecchio", mormora Gardel a San Martin, e mette su un vecchio disco da cui salgono le note di Volver. "Bisogna tornare anche se ce ne manca la voglia. Sono 150 anni che aspetto di vedere la patria che abbiamo sognato", ammonisce San Martin. L’incontro tra Gardel, San Martin e Gerardo è un dialogo fra morti. Ma il carrello che si allontana dal terzetto e ci riporta (senza più mediazioni) sui giovani racchiude tutto il senso del film. Ancora una volta il presente si annulla e il passato si aggancia direttamente al futuro. La voce di Maria, fuori campo, narra: "Poi passarono degli anni... quasi tutti son tornati... io non so cosa farò, vado, vengo, resto qui...". In fondo, il film-buco nero, il film-carta assorbente capace di sintetizzare in sé anche la ricchezza dello stile ha partorito un dato politico fondamentale, la fine della dittatura e dell’esilio. Tangos è uno di quei film, come La recita di Anghelopulos, nati nelle pieghe della storia, e che solo da una situazione di transitorietà traggono la propria natura. Sicuramente, prima della fine della dittatura Solanas avrebbe fatto un film diverso. Così, l’apertura della situazione politica lo ha portato a strutturare il film in maniera aperta, a sfruttare il linguaggio (assai ricco di carrelli, di zoom, con un uso dell’iride in funzione selettiva ed espressiva assai accentuata: anche i titoli di coda scorrono su un iride circolare che inquadra, ancora una volta, i ragazzi che ballano per le vie di Parigi) come una chiave per "aprire" continuamente la narrazione, per trovare continui punti di fuga da una drammaturgia classica che il film rifiuta ad ogni passo. La ricchezza del film risiede nel fatto che Solanas contraddice il classicismo, la compiutezza, ma ne è a sua volta continuamente contraddetto. La struttura lineare, come una sequela di tanghi e milongas, è arricchita dal gioco di rimandi, di simmetrie, di chiasmi tra i vari capitoli del film, in cui coesistono una costruzione rettilinea e una struttura circolare. Nulla di più moderno, in fondo, che Solanas non scelga, e permetta che le due strutture si scontrino in un’antitesi continua (che, direbbe Juan Uno sconfessando Hegel, non prevedono necessariamente una sintesi). Gli specchi di cui è piena la casa di Mariana, il continuo salto dal reale al simbolico, l’incastro di tempi (il prima e il dopo l’esilio, le generazioni, il passato storico dell’Argentina) e di spazi creano una stratificazione semantica ricchissima che non si esaurisce nei "doppi" e nella dualità. Più che un film duale, è un film plurale. Si chiama Tangos, non a caso.
Alberto Crespi, Cineforum, n.252, marzo 1986

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Fernando E. Solanas
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