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Holy Motors


Regia:Carax Léos

Cast e credits:
Sceneggiatura: Léos Carax; fotografia: Caroline Champetier, Yves Cape; montaggio: Nelly Quettier; scenografia: Florian Sanson; costumi: Anaïs Romand; effetti: Thierry Delobel, Alexandre Bon, Bérengère Dominguez; interpreti: Denis Lavant (Sig. Oscar/banchiere/mendicante/specialista Motion Capture /Sig. Merda/padre/fisarmonicista/killer/vittima/moribondo/uomo di casa), Edith Scob (Céline), Eva Mendes (Kay M),. Kylie Minogue (Eva/Jean), Elise Lhomeau (Léa/Élise), Michel Piccoli (Uomo con la macchia di vino), Jeanne Disson (Angèle), Léos Carax, Nastya Golubeva Carax, Reda Oumouzoune, Geoffrey Carrey, Anabelle Dexter Jones, Zlata; produzione: Pierre Grise Production-Théo Films-Arte France Cinéma-Pandora Film-Wdr-Arte, con la partecipazione di Canal +-Centre national du cinéma et de l'image animée, in associazione con Soficinéma 8 e Wild Bunch; distribuzione: Movies Inspired; origine: Francia-Germania, 2012; durata: 110’.

Trama:Un uomo passa attraverso esistenze diverse: uomo, donna, sano, malato, vecchio, giovane...

Critica (1):Chi è Léos Carax, vero nome Alex Christoph Dupont? Forse una ripasso giova, perché è un autore di cui non si parlava da tempo. Nel 1984, a soli ventiquattro anni, l'opera prima Boy Meets Girl lo aveva imposto nel giudizio della cinefilia internazionale come il nuovo profeta di una rinata Nouvelle Vague, e il successivo Rosso sangue (1986) aveva confermato tanta aspettativa. Ma nel 1991 Gli amanti del Pont-Neuf, costato una cifra enorme, si era rivelato un insuccesso di critica e di botteghino; e, a un esilio di nove anni, era seguita una ricomparsa assai amara con Pola X. Poi praticamente nulla fino all'attuale Holy Motors, presentato con buon riscontro a Cannes 2012. Chi è dunque Léos Carax (anagramma di Alex e Oscar, in omaggio alla mitica statuetta): una promessa mancata o un talento, in ogni senso, raro? Holy Motors potrebbe definirsi una surreale fantasia sul tema delle multiple identità dell'artista, in quanto facitore di forme e sogni nei quali ogni volta corre il rischio di annullarsi. Monsieur Oscar (è Denis Lavant, attore feticcio di Carax sulle cui spalle poggia l'intera storia) attraversa Parigi a bordo di una limousine guidata dalla fidata e matura Celine (la veterana Edith Scob). All'interno l'auto è attrezzata come un camerino in cui l'uomo si cambia di abiti e trucco per recarsi ai suoi appuntamenti in vari luoghi della città, dove ogni volta si comporta secondo un copione scritto (o da lui improvvisato?) su misura per il personaggio di turno: banchiere, donna mendicante, lurido mostro, vecchio morente, vittima, assassino. Oscar potrebbe essere un attore costretto a rimbalzare da un set all'altro, però non ci sono macchine da presa in giro: cosicché la sua personalità resta fantasmatica quanto il film, che si svolge come un gioco di scatole cinesi fino a una conclusione, forse non più reale di quanto la precede. In qualche modo è come se lo schermo fosse al contempo l'impenetrabile rifugio dell'autore e il riflesso dei suoi sogni; e d'altronde anche Oscar girovaga da un'esperienza di vita all'altra (il cinema non fa questo?) nascosto dietro i vetri opachi della sua spettacolare limousine, la quale fa parte integrante del viaggio, di qui la sua 'santità'. Giocato su un registro grottesco intriso di malinconia, Holy Motors, a seconda dell'inclinazione dello spettatore, può risultare irritante o affascinante, ma senz'altro possiede un'ossessiva coerenza poetica.
Alessandra Levantesi Kezich, La Stampa, 6/6/2013

Critica (2):«La copia della copia della copia»: così Verónica, moglie di René, il pubblicitario che in No di Pablo Larrain dà la svolta alla campagna referendaria contro il regime di Pinochet, definisce la dinamica di uno scontro che da politico si è trasformato in mediatico. Siamo alla fine degli anni Ottanta, il postmoderno è in marcia, la pubblicità definisce l'idea di realtà e ogni messaggio può tranquillamente coincidere con il suo opposto, poiché a contare non sono le cause o le conseguenze di un'azione, ma l'attimo, l'infinito tempo presente della comunicazione.
Holy Motors di Leos Carax, in maniera inattesa e sorprendente, arriva alle stesse conclusioni ampliando ai concetti di esistenza, di percezione del reale, e naturalmente di cinema, la ripetitività come unica forma di rappresentazione contemporanea. La riproducibilità dell'esistente, che già in Alps di Lanthimos superava la morte con la semplice sostituzione di corpi con altri corpi, qui diventa un lavoro scandito da orari precisi: grazie alle presenza un ur-personaggio che vale come primo e ultimo uomo sulla Terra (non a caso resuscita e vive coi primati), il mestiere di vivere tradotto in forma letterale genera una catena di esistenze che si susseguono, si sdoppiano, si accavallano, per dare come risultato una somma zero in cui ciascuna vale un'altra e al tempo stesso emerge come unica e irripetibile.
Di vita in vita, di episodio in episodio, Carax trasforma porzioni minime di durata e messinscena in pillole di rappresentazione assoluta, al passo con la contemporanea e vorace richiesta di emozioni e vicino all'essenza di un linguaggio, il cinema, che si esprime per quadri e frammenti. Ogni appuntamento del protagonista, che viaggia in limousine e cambia trucco e costumi di continuo, è ripetibile e superabile; soprattutto, ogni corpo è riconducibile all'unico esistente, quello dell'attore Denis Lavant, che stravolto, mutato e plasmato sembra il risultato della performance di motion capture che si vede all'inizio: uno che vale per tutti, nessuno che vale per centomila. Nella fluida successione di singoli film seguiti da altri film, Holy Motors realizza la rifrazione del molteplice nell'uno, del tutto nel niente, e diventa la rappresentazione più chiara ed estrema del mondo, forse del modo, in cui viviamo. Come una sequenza continua, è colto in corso d'opera, comincia con il mattino e finisce con la notte, ma solo per presentare l'andatura costante di una ripetitività senza fine: ogni giorno una vita diversa da interpretare, eppure nessuna vita da vivere veramente.
Episodi sommati ad altri episodi, che proprio in virtù della loro artificiosità si aprono alle infinite profondità del cinema come espressione di emozioni. Dal massimo dell'artificio al massimo dell'autenticità: il miracolo dell'arte, insomma, in una sequenza di musical sui tetti di Parigi, in una discussione crudele tra un padre e una figlia, in un dialogo in punto di morte tra un uomo e la nipote, nel saluto tra i due "interpreti" per una volta fuori dalla parte.
Holy Motors segna l'incontro del cinema con l'anima del mondo, al di là di ogni modernità, postmodernismo o surrealtà. Ed è soprattutto un'elegia grottesca e contraddittoria, tragica e insieme comica, per il cinema e i suoi spettatori, uomini e donne che a pensarci bene non fanno altro che ripetere il mestieraccio di Denis Lavant: e cioè sedersi, guardare e aspettare di vivere altrui. Sarà per questo che comincia con un pubblico intento a guardare un film e lo stesso Carax che guarda tutti dall'alto. Chi di noi può dire di essere libero, unico e solo?
Roberto Manassero, Cineforum n. 515, 6/2012

Critica (3):

Critica (4):
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