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Sweet movie - Sweet movie


Regia:Makavejev Dusan

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Dusan Makavejev; fotografia: Pierre Lhomme; musiche originali: Manos Hadjidakis; montaggio: Janne Dedet; adattamento italiano: Pier Paolo Pasolini e Dacia Maraini; interpreti: Pierre Clementi (Luv Bakunin), Anna Prucnal (Anna Pianeta), Carole Laure (Miss Mondo), Sami Frey (EI Macho), John Vernon (Mr. Dollars), Jane Mallet (Martha Aplanalp), Roy Caliender (Geremia Muscolo) e i membri della Therapiekommune; produzione: Vincent Malie per la V.M. Production, Paris - Mojac Milm, Montreal - Maran Film, Munich, con la collaborazione dell'industria canadese per lo sviluppo del film; distribuzione: Cineteca dell'Aquila; origine: Francia - Canada - Germania, 1974; durata: 87'.

Trama:Al concorso di Miss Mondo 1984, organizzato dalla Associazione Cintura di Castità, vince la candidata canadese che immediatamente viene sposata dal miliardario texano Mr. Kapital. Nel frattempo Lev Bakounine, marinaio superstite del Potemkin, affondato nel 1905, sale sulla Nave Suryival ad Ansterdam, dove conosce e si innamora di Anna Planeta, che ha un passato compagna rivoluzionaria delle Brigate Internazionali. Miss Mondo, sfuggita al texano insieme a Mr. Muscolo, arriva a Parigi dove viene sedotta dal messicano El Macho prima di tentare una purificazione presso la Therapie Komune di Vienna. Sulla Survival, intanto, Anna attira con lo zucchero dei fanciulli e li corrompe; quindi massacra Bakounine. Quando interviene la polizia, scopre una serie di cadaveri e trasferisce l'ex rivoluzionaria in un manicomio criminale. Miss Mondo, disgustata dalle pratiche della Komune, ne esce e viene subito ingaggiata per pubblicizzare la cioccolata.

Critica (1):Il cinema di Makavejev, non fosse altro che per la distanza, l'abisso, che lo separa dal cinema dei paesi socialisti, merita il generico appellativo di cinema nuovo. Ogni suo film vive tendenzialmente dei riflessi del presente, interroga l'attualità politica. È una scelta etica e culturale allo stesso tempo. Makavejev confessa di amare il cinema documento di Vertov e il cinema epico di Eisenstein. La sua è una scelta a favore del cinema politico dal quale lancia un anatema contro il cinema "fisico" americano. Fedele all'asserzione secondo cui il realismo non è uno stile, ma una famiglia di stili, spiega: "Ho già detto che il mio film preferito è la lettura dei giornali" e aggiunge: "Voglio mantenere lo stesso sentimento di confusione tra ciò che è reale e ciò che è irreale, tra il passato, il presente e il futuro. Non vorrei lavorare con materiale astratto di finzione, come Resnais, ma partendo da materiali concreti. Vorrei realizzare film veramente antichi o veramente documentari per sviluppare il gioco in una situazione molto concreta, perché se in un film di finzione si gioca con il tempo questo diventa una specie di fantascienza o di gioco intellettuale. Ma se si prendono documenti reali, il primo livello del materiale è garantito: uno è costretto a credere, perché sa che il rappresentato è veramente successo, e, nello stesso tempo, subisce la sensazione misteriosa di una confusione dei tempi, di una specie di insicurezza" (da una citazione in "Hablemos de Cine", Lima, marzo-aprile 1969). Dai giornali al collage, al cinema pop il passo è breve. Qualsiasi elemento informativo passato, qualsiasi azione fotografabile o elemento documentaristico presente possono comporre un film conoscitivo, condizionatamente alla loro obiettività storica, alla loro arte narrativa, alla qualità della loro concretezza. Il montaggio di elementi di differente matrice distrugge la nozione idealista di una trasparenza del mondo, frammenta il reale, opera una turbativa sistematica che provoca l'attenzione. L'organizzazione del concreto nel montaggio aggiunge concretezza alla concretezza della ripresa. Più che di montaggio, occorrerebbe parlare, come suggerisce lo stesso regista, di assemblaggio. .
Interrogato a Cannes, dopo la presentazione di W.R., se il suo prossimo film sarebbe stato più documentaristico o più di fiinzione rispose: "L'uno e l'altro contemporaneamente. E questo già ora mi diverte moltissimo". L'impegno non è stato mantenuto, ma la cifra stilistica nei due film appare identica. La parte documentaristica o d'archivio non ha in Sweet Movie la rilevanza fisica che aveva in W.R.; la sua immissione costituisce un'interpolazione; ma l'assunto, ancora una volta, emerge dal collage. La commedia vive solo in apparenza; la riscostruzione unitaria approda alla tragedia.
I quadri documentaristici inseriscono valori pluridimensionali. Qualche esempio. Sulla Survival la capitana Anna dice: "Questa nave è piena di cadaveri". Segue il film d'archivio sul ritrovamento delle fosse di Katyn (eccidio che evidentemente Makavejev imputa allo stalinismo, inteso come deviazione, ma anche come espressione storica, della rivoluzione comunista di cui la donna è vessillifera), poi interviene la didascalia: "Pensiamo sempre a queste cose e non parliamone mai", che nega di fatto, in parte almeno, l'opportunità di quanto prima mostrato. II secondo inserimento del documentario di Katyn sembra rivelare invece un ulteriore interrogativo sulla paternità dell'eccidio. Martha Aplanalp infatti premette: "Che tutto si venga a sapere, che tutto sia pulito". Il secondo frammento di cinegiornale, quello sulla ginnastica per neonati, svolge un'altra funzione. È introdotto dopo l'illustrazione, attraverso la condotta della Therapiekommune di Vienna, la teoria di Reich sul ritorno all'infanzia carnale, come strumento per abbattere ogni sovrastruttura ideologica, e, quindi, ogni repressione politica. Il suo ruolo è almeno duplice: contrapposizione di una pratica prussiana, vera espressione di repressione politica sui neonati, alla gioiosa creatività della Therapiekommune; monito, ironico e grottesco, a sfuggire ovunque alle tentazioni del dogma.
Gli esempi offerti dal montaggio pop non si arrestano nell'aggrovigliare materiali differenti, ma affiorano pure nella parte a soggetto. I quadri vivi pornografici (i "blue movies" - come sono chiamati negli Stati Uniti i pornofilm - di questo Sweet Movie) sono delle ellissi di situazioni apparentate con l'arte moderna, surrealista anzitutto, mostrando sullo schermo ciò che in realtà già è: il desiderio naturale che unisce l'uomo e la donna. Questa plurivalenza di referenti risulta un po' mortificata nell'edizione italiana del film. (I cartigli apposti dal tandem Pier Paolo Pasolini - Dacia Maraini, responsabile dell'adattamento italiano, propongono considerazioni univoche laddove l'autore mira alle più ampie: davvero un brutto servizio reso al regista e al pubblico intenzionato pazientemente a capirlo). II cinema di Makavejev in effetti si sostanzia più che con la teoria, con l'inventiva, sia nella ripresa che nel montaggio. È già scavato nei sotterranei, e ogni sforzo ulteriore di delucidazioni agisce solo sulle apparenze. Le parti del film si appoggiano mutuamente: la rivoluzione ha qualcosa a che vedere con l'amore e l'amore con la rivoluzione.
La chiave di lettura di Sweet Movie è la stessa che Makavejev fornì a "Positif" a proposito del precedente W.R.. Anzi nel film più recente, grazie ad una sorta di costruzione sinottica, è meglio avvalorata. "Noi jugoslavi - ha detto -, cercando ideologicamente ed emozionalmente di far parte del Terzo Mondo, viviamo ancora praticamente negli altri due". A differenza di quanto avveniva in W.R., questa volta il parallelo tra i due mondo è creato attraverso due storie di finzione, composte in una grande allegoria dove si ritrova quella famiglia di stili che, secondo Makavejev, dà vita al realismo. Il socialismo come entità anche statale non esiste più. La Jugoslavia, presente negli altri film qui, è cancellata. La critica non avviene così all'interno, ma è trasposta su modelli comportamentistici. La negazione, presente, come abbiamo visto anche in Un affare di cuore, da determinata divente indeterminata. Anna Pianeta, presentandosi al marinaio, invece di riassumere una vita elenca dei distinguo: "AI comandante della guerra ho detto: "Il nostro scopo oggi non è quello di morire sul campo dell'onore. Chi muore è un fesso". Al segretario della mia cellula ho detto: "Non faremo la rivoluzione con le bugie"". I passeggeri del Survival sono votati al dolore e alla disperazione. Anna ama un marinaio del Potemkin, il rivoluzionario della rivoluzione sconfitta. La sua nave è colma di zucchero, ma nello zucchero lo castra e l'uccide. L'uomo, morendo con un sorriso, mostra di accettare il suo ruolo di eroe e di vittima.
Tutto il discorso si articola solo sul negativo. L'unica azione rivoluzionaria, ovvero contro la norma, risulta essere il plurimo omicidio. Ma questa rivoluzione è criminale, come Katyn, e destinata alla sconfitta, perché uccide i suoi figli migliori. I bambini e il marinaio - è vero - risorgono, ma più per una concessione all'happy end, anche se giustificato poeticamente ("Isabella e Ahmed, lei uccisa, lui in prigione si ritrovano insieme sottobraccio nell'ultima scena di Un affare di cuore, perché nella loro storia, l'omicidio non è stato, alla fine, che un attimo transitorio", ha detto Makavejev), che per un'esigenza narrativa trasparente. Più spietata perché disumana la storia capitalista. I rapporti interpersonali sono merce di scambio. I sentimenti sono sostituiti dalle lagrime, e ogni possibilità di fuga (Parigi) o di riscatto (la Comune) è preclusa.
Il regista è tuttavia attento a calibrare i dati caratteristici dei personaggi delle due storie. Una verifica empirica la offrono i protagonisti maschili. Il marinaio agisce secondo l'istinto, che è natura. Con la sua bicicletta segue festosamente l'imbarcazione. Ricorrendo alla mimica, chiede di salire a bordo. Fa subito l'amore, impetuosamente, "da vero proletario sessuale". Mr. Dollars vive invece secondo un precetto; ha un dogma che non può ignorare. Illustra le ragioni del suo matrimonio: "Dove ho trovato il tempo per il matrimonio? Il matrimonio è economia di tempo, e il tempo è denaro. Ho comprato un sistema sanitario di purificazione". Intende consumare la prima notte solo dopo aver espletato tutte le pratiche sanitarie. Deterge il corpo della donna con l'attenzione che si presta ad un oggetto appena acquistato. Gravato da queste premesse il contratto non sarà perfetto.
I due mondi sono incomunicabili. Il marinaio, risorto, osserva Miss Mondo mentre consuma il suo sacrificio nella cioccolata, la osserva per un attimo e prosegue il suo cammino. Tra i due mondi esistono anche le alternative, ma ad esse il regista non dà peso determinante. La Comune è unica e irripetibile, non fa proseliti. Miss Mondo l'attraversa, non partecipa alle sue funzioni. La contestazione è arida, al più una pratica di liberazione che coinvolge un gruppo, mai una società, anche se Makavejev sottolinea l'azione con l'"Inno alla gioia" della IX sinfonia di Beethoven. Il gruppo, per di più, è prigioniero di un solo locale.
Quest'apparente estraneità delle componenti intende costringere lo spettatore ad operare una sintesi. L'interrogativo, cui lo schermo non dà risposta, si prolunga nella sala. Non siamo lontani, nell'apparenza, dall'effetto brechtiano di distanziazione. Sweet Movie non coinvolge lo spettatore in una azione scenica, ma ne fa un osservatore; non ne esaurisce l'attività, ma la stimola; non gli consente dei sentimenti, ma lo stringe a prese di posizione, non crea tensioni riguardo all'esito, ma solo all'andamento. La lezione di Brecht tuttavia si arresta qui. Makavejev non imbriglia gli effetti ipnotico-emotivi, anzi gli dà libero corso, contrastando, in ultima istanza, ogni possibilità di concreto intervento delle facoltà razionali. Le suggestioni si sostituiscono agli argomenti. L'ipotesi non è mai posta in confronto con il fattuale. L'allegoria rifiuta la contraddizione e diventa tautologia. Fissa una mastrazione della realtà e non lascia spazio alla dialettica. Jodorowski, Arrabal, Jakubisko non sono tanto lontani. Ogni differenza con questi autori finisce per misurarsi sull'autenticità con cui si esprime l'ansia di rivolta. E questa è tanto maggiore in Makavejev quanto più gli obiettivi del suo moralismo - capitalismo, revisionismo, consumismo, contestazione - ne vengono travolti.
Non si tratta di rifiutare la mancanza di dogmatsimo, che è il prodotto di un'ideologia sclerotizzata, né quella del pragmatismo, che è la coscienza del nulla dopo la perdita delle illusioni, ma l'uso fatto della problematicità. Un uso che, per la sua astrazione, non innesta i germi del dubbio, non mette in crisi il reale. Un uso che mira più all'ambiguità che al dibattito. La scelta di un tema così totale come la contrapposizione delle ideologie - una sorta di dialogo sopra i massimi sistemi - non consente che questa venga trattata con la sola coerenza nei riguardi di una cifra stilistica. L'opzione esercitata da Makavejev è sterile, i risultati ripetitivi. L'una e gli altri vanno respinti.
Giorgio Rinaldi, Cineforum n. 143, 4/1975

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Dusan Makavejev
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