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Sacrificio - Offret


Regia:Tarkovskij Andrej

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Andrej Tarkovskij; fotografia: Sven Nykvist; musica: Johann Sebastian Bach (passione di San Matteo"), musica popolare svedese e giapponese; montaggio: Andrei Takovsky, Michal Leszczylowski; scenografia: Anna Asp; costumi: Inger Pehrsson; suono: Owe Svensson, Bosse Persson, Lars Ulander, Christin Loman, Wíkee Peterson- Berger, effetti speciali: Lars Höglund, Lars Palmqvist, per Svenska Stuntgruppen; interpreti: Erland Josephson (Alexander), Susan Fleetwood (Adelaide), Valérie Mairesse (Julia), Allan Edwall (Otto), Gudrun Gisladóttir (Maria), Sven Woliter (Victor), Filippa Franzén (Marta), Tommy Kjellqvist (il piccolo uomo), Per Kaliman e Tommy Nordahl (gli uomini dell'ambulanza); produzione: KatinkaFarago per Swedish Film Institute/Argos Films/Film Four International, Josephson & Nykvist, Sveriges Television/SVT 2, Sandrew Film & Teater; distribuzione: ITALNOLEGGIO; origine: Svezia/Francia, 1986; durata: 145'.

Trama:
Nella sua casa su un'isola svedese l'anziano intellettuale Alexander festeggia con i familiari il suo compleanno quando arriva per televisione l'annuncio di una catastrofe misteriosa. Ritrovando le parole del Pater Noster, Alexander lo invoca, offrendogli tutto quel che ha pur che tutto ritorni come prima. Dà fuoco alla sua casa, rinuncia al figlioletto, si vota al silenzio, accetta di essere scambiato per un folle.

Critica (1):"Dobbiamo dilatare l'anima da tutte le parti, come se fosse un lenzuolo dilatabile all'infinito" gridava il "matto" poco prima di sacrificarsi tra le fiamme, davanti ad una folla immobile, nel finale di Nostalghia. "Le strade del nostro cuore sono coperte d'ombra". Più che ombra, è una forma solida e opaca di luce quella che illumina la parte centrale di Sacrificio, l'ultimo filmpreghiera di Andrej Tarkovskij. Preghieravibrazione, come facevano i pellirosse, che si affidavano agli aquiloni al vento; preghiera-invocazione (il "Padre nostro" pronunciato da Alexander, che scopre Dio e gli si rivolge offrendo se stesso, il proprio silenzio, la propria coscienza in cambio della salvezza degli uomini dal disastro nucleare); preghiera-ascolto, la forma più vicina alla poesia. L'anima, dilatandosi, si confonde con il mistero del mondo, "con il tremore delle cose che ci circondano".
Sacrificio non è necessariamente il film più bello di Tarkovskij, ma senza dubbio il più importante. Un film che il destino ha voluto fosse il suo bilancio artistico, il suo messaggio definitivo. Ma l'importanza di Sacrificio va cercata oltre l'emozione ed il legame probabile che ha intrecciato con gli ultimi consapevoli mesi della sua vita. Sacrificio è forse l'albero piantato da Alexander sulla spiaggia del mare del Nord e affidato all' amore muto e personale del figlio, legame simbolico con la vita e con la morte' il film in cui Tarkovskij ha portato più in là la sua ricerca di una nuova dialettica tra l'io persona individuale che coltiva la propria anima a dispetto di tutti e l'io-uomo tra gli altri uomini, che cerca di condividerne il destino. La radice poetica di Tarkovskij si rivela, in questo suo ultimo film, fatta più di attese che di risposte. La prima persona singolare così fortemente pronunciata ne Lo specchio si muove verso il moi teorizzato da Valery: "il moi - scrive Antonio Prete proprio interpretando le teorizzazioni del poeta francese - (trova) nel silenzio la sua vera dimora, nello specchio delle acque correnti il suo paesaggio. Il moi è il primo ascoltatore della parola interiore, non quello che risponde ma colui che sta per rispondere. Dal momento in cui risponde cessa di essere il moi".
L'albero è piantato nella terra, concentrato di materia che può dal luogo a sensazioni inafferrabili, come il suono (vedi l'episodio della campana in Andrei Roublev); perchè stupirsi se dalla terra un albero morto, secco, che quindi ha già vissuto potrà ritornare alla vita? Perchè un uomo deve credere in questo miracolo? Perchè il miracolo non avvenire? Le domande, sovrapponendosi, dilatano il mistero. E' difficile, se non impossibile, rintracciare un legame tra le inquietudini private, personali e "vissute" di Tarkovskij-Alexander e l'incubo che circonda la noce vuota della terra: il pericolo nucleare, la catastrofe alla quale il regista allude genialmente con un passaggio d'aerei in alto, nel cielo, con la caduta di una brocca di latte da un tavolo, con l'oscillare di una tenda, tra ombra e luce.
Alexander è una superficie prismatica che riflette il disagio del poeta protagonista de Lo specchio, i dubbi degli uomini di sciena di Stalker e Solaris, l'imbarazzo di fronte alla perfezione dell'arte che ossessionava il professore russo in Nostalghia; solo che a queste angosce, a questo diverso "sentire" rispetto agli uomini comuni, che infatti non comprendono e in qualche caso lo umiliano ed egli trova nell' incubo nucleare la spiegazione-giustificazione. Le paure di Alexander sono le paure del mondo; a lui tocca raccoglierle e superarle attraverso il sacrificio personale. C'è una sproporzione tra un gesto così individuale, così inspiegabile, così, smisurato (per eccesso e per difetto) e le motivazioni che lo provocano. E' la stessa sproporzione, lo stesso sbilanciamento avvertibile nell'intero film: Tarkovskij - come Alexander - non è fatto per i discorsi corali, per le tematiche complessive e universali. Nel sociale egli si annulla e la volontà del suo personaggio di inserirsi in un dramma corale si concretizza nella definitiva solitudine individuale. Il dramma nucleare che come un incubo percorre il film è comunque sempre un po' esterno rispetto al vero problema de Alexander: accettare che il mondo non proponga risposte - a chi lo interroga - ma solo nuove domande. Poco prima dello splendido piano-sequenza finale Alexander, nascosto in una baracca che si trova nei pressi della villa, cammina nervosamente scomparendo e riapparendo dal buio. Da quelle incursioni nel buio, nel cuore del mistero, Tarkovskij ha riportato solo enigmi ed una speranza quantomeno disperata. Il film è dedicato al figlio "con fiducia e speranza", ma neppure l'insieme dell'opera del grande maestro sovietico spiega l'origine questa finale e sorprendente dichiarazione di speranza. La Fede non ha impedito a Tarkovskij di andare più a fondo di tutti nelle grotte inesplorate dell'animo. La sua geologia del sentimento non gli ha dato successi certi, ma ipotesi incompiute di senso. Tarkovskij in Sacrificio è consapevole - più che nei film precedenti - che la verità della poesia non può e non deve consistere nell'inventare un'armonia e una logica alle cose e alla vita (alle cose della vita), né tentare di restituirglierla. Non rimane che testimoniare un mistero impenetrabile, che "parlare dell'indicibile". Sono i gesti definitivi e gratuiti, l'atto di donarsi pochi uomini deboli l'unico segno, l'unica indicazione-risoluzione di armonia per il mondo. Uomini deboli come Alexander, deboli come Otto, il suo doppio deformato, che sembra ricomposto con tutti i suoi lati mancanti, portati all'eccesso. Deboli come il padre de Lo specchio. Sacrificio è un film unico, come pochi film contemporanei si spinge aldilà del cinema e chiede di diventare esperienza vissuta. Si assiste a Sacrificio come ad un rito che si rinnova, ogni volta irripetibile; a renderlo unico sono i colori genialmente inventati da Sven Nykvist, la sospensione tra l'alluvione di parole e la perfezione illusoria del silenzio, la "zona" neutra tra un mondo proiettato all'esterno e il suo avvenuto assorbimento in un universo interiore.

Paolo Taggi, Segno Cinema n. 29 Settembre 1987

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