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Class Enemy - Razredni sovraznik


Regia: Bicek Rok

Cast e credits:
Sceneggiatura: Nejc Gazvoda, Rok Bicek, Janez Lapajne; fotografia: Fabio Stoll; montaggio: Janez Lapajne, Rok Bicek; scenografia: Danijel Modrej; costumi: Bistra Borak; interpreti: Igor Samobor (Robert), Natasa Barbara Gracner (Zdenka), Tjasa Zeleznik (Sasa), Masa Derganc (Nusa), Robert Prebil (Matjat), Voranc Boh (Luka), Jan Zupancic (Tadej), Dasa Cupevski (Sabina), Doroteja Nadrah (Mojca), Spela Novak (Spela), Pia Korbar (Marusa), Dan David Mrevlje Natlacen (Primoz), Jan Vrhovnik (Nik), Kangjing Qiu (Chang), Estera Dvornik (Sonja), Peter Teichmeister (bidello); produzione: Aiken Veronika Prosenc, Janez Lapajne Per Triglav Film, in coproduzione con Slovenski Filmski Center; distribuzione: Tucker Film; oigine: Slovenia, 2013; durata: 112’.

Trama:In un liceo sloveno, le relazioni tra il nuovo professore di tedesco e i suoi studenti si complicano quanto più vengono a galla le diversità inconciliabili fra i loro modi di intendere la vita. In seguito al suicidio di una studentessa, i compagni accusano l'insegnante di avere una forte responsabilità nella morte della ragazza. Il clima di tensione generato dalla grave accusa dà così vita a opposte dinamiche dai confini sempre più sfuggenti.

Critica (1):In una scuola slovena a sostituire la professoressa di tedesco incinta arriva un docente molto formale, appassionato di Mozart e Thomas Mann. Con la classe "migliore" il rapporto è subito difficile, finché una studentessa si suicida. I compagni prendono di mira il professore, lo accusano di nazismo e sadismo, mettono in atto ritorsioni passive e attive che finiscono per coinvolgere la scuola tutta e le famiglie. Diretto da un regista ventottenne, Rok Bicek, Class Enemy ha fatto discutere per come affronta frontalmente, con qualche schematismo, problemi pedagogici universali. Il prof di tedesco incarna l'insegnamento antico, austero, formale, algido; per contro la sostituta, la preside e il resto del corpo docenti sono il "nuovo che avanza", un po' insegnanti e un po' amici, accondiscendenti rispetto alle intemperanze identitarie di studenti adolescenti. A sorpresa, la cosa più interessante del film riguarda la Storia con la maiuscola: Slovenia, ex Jugoslavia, l'imprinting del conflitto che affonda nella Seconda guerra mondiale (la dura occupazione tedesca) e si rivela oggi nella sua più chiara metafora (alla fine gli studenti si scannano tra loro, e il solo lucido pare essere il... cinese). Sullo studio dei caratteri pesa invece una certa programmaticità (l'insegnante di tedesco, molto ben interpretato da Igor Samobor, è fin troppo esemplare), perdonabile in un'opera prima (corti a parte) di notevole forza.
Mauro Gervasini, filmtv.it

Critica (2):Apparenze. Pregiudizi. Ellissi. Ruoli e funzioni definite. È attorno a questi termini che ruota Class Enemy, opera prima di Rok Bicek, sloveno, 28 anni e una maturità sobria e sorprendente. Pellicola ambientata in una scuola. Meglio ancora: in una sola aula,
come Cantet. Pur eccedendolo. Cantet raccontava il contrasto scavando sulla realtà dei volti. Bicek racconta il vuoto facendo interagire le maschere indossate da ognuno (anche di fatto). Se la risultante di Cantet era lo scoramento della frustrazione, Bicek giunge all'elaborazione di un lutto nella riaffermazione egoistica delle proprie priorità. Quasi gattopardescamente: cambiare traumaticamente per accorgersi che tutto rimarrà esattamente com'era. Schiuma intensa formatasi al passaggio di un natante che il mare riassorbe senza alcuna traccia, come suggerito nell'ultima indicativa immagine del film.
Un insegnante rigoroso sostituisce per maternità una collega molto amata dagli allievi. I suoi metodi sono dapprima mal digeriti, poi patiti, così come la sua algida rigidità. Sabina, una delle allieve, in seguito a un confronto con l'insegnante si toglie la vita. In seguito o a causa? Il problema è tutto qui: la successione è temporale o causale? Apparenze che si rincorrono, pregiudizi che si alimentano, etichette di comodo che si appiccicano indelebilmente e si trasformano in altrettanto comodi alibi. La chiave è in un aforisma di Thomas Mann proposto come tema dall'insegnante. Thomas Mann come correlativo culturale per penetrare nel muro di dolore dei ragazzi e principio scardinatore di un sistema didattico ed educativo controverso che, da un lato, si suppone selettivo e pressante, mentre, dall'altro, funge da incubatrice per studenti e famiglie. Clienti da coccolare e soddisfare brandendo il bastone ma concedendo solo la carota.
"La morte di un uomo è meno affar suo che di chi gli sopravvive". Potrebbe essere il viatico per un melodramma, il luogo in cui si muore esclusivamente per chi rimane in vita. Ma Bicek rimuove qualunque eventualità empatica e rende oscillante il criterio della ragione, così come le possibilità di scoprire la verità. La morte diventa quindi un contenitore che ognuno tende a colmare in modo improprio, secondo le proprie esigenze, le mancanze, la grettezza. "Non tutto è bianco o nero": Class Enemy sviluppa la sua conflittualità nelle varie nuance del grigio, cibandosi delle espressioni dei personaggi, di volta in volta smarrite, dubbiose, rabbiose, ribelli, infine irrimediabilmente disorientate, e affondando in silenzi carichi di senso, ingigantito da una macchina da presa perennemente a ridosso delle figure.
Un nichilistico gioco al massacro (autoindotto) in cui non si salva nessuno e tutti appaiono colpevoli. La sceneggiatura procede per false piste che si rivelano tutte fallaci: la positività incarnata da un personaggio vira in meschinità e in miseria, la condanna morale di un altro diventa intransigenza incompresa. E ancora: l'entusiasmo premuroso si trasforma in superficialità compiacente, mentre le regole apparentemente ferree si modellano sull'eccezionalità dei singoli casi, mostrando la loro fragile validità.
Una gigantesca pira il cui orrendo fuoco brucia non solo il sistema scolastico, ma l'ipocrisia dei rapporti, l'educazione familiare e la Slovenia tutta (fulminante la battuta dello studente cinese Chang ai suoi compagni che si stanno azzuffando: «Voi Sloveni: se non vi ammazzate da soli, vi uccidete l'un l'altro»).
Ceneri che tuttavia si rianimano come un'araba fenice, come se niente fosse successo. Non proprio un'elaborazione, quanto il trionfo del proprio ego.
Giampiero Frasca, cineforum.it, 11/10/2014

Critica (3):

Critica (4):
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