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Celluloide


Regia:Lizzani Carlo

Cast e credits:
Soggetto: Ugo Pirro,Furio Scarpelli; sceneggitura: Ugo Pirro, Furio Scarpelli, Carlo Lizzani; montaggio: Alberto Gallitti; fotografia: Giorgio di Battista; scenografia e costumi: Luciano Sagoni; musica: Manuel De Sica; interpreti: Massimo Ghini (Roberto Rossellini), Giancarlo Giannini (Sergio Amidei), Anna Falchi (Maria Michi), Lina Sastri (Anna Magnani), Massimo Dapporto (Peppino Amato), Antonello Fassari (Aldo Fabrizi), Milva (contessa), Chri­stopher Walken (il tenente USA), Fran­cesca Ventura (Jone Tuzi), Francesco Siciliano (Federico Fellini); produzio­ne: Dean Film, Production Group, Isti­tuto Luce, Tele+l, RAI; distribuzione: Istituto Luce; origine: Italia, 1995; durata: 108'.

Trama:Nel 1944 a Roma appena liberata dagli Alleati, il produttore Peppino Amato commissiona a Sergio Amidei la sceneggiatura di una commedia, "Borsa nera". Ma il regista Roberto Rossellini, amico di Sergio, che invece ha idee di ben maggiore spessore e intuisce già il significato di testimonianza di un film di più drammatico respiro, trova tramite amici una contessa disposta a concedere il primo finanziamento. Poi si vuole includere la figura di un eroico sacerdote, e i due pensano al comico Aldo Fabrizi e all'attrice di varietà Anna Magnani. Dileguatasi la contessa, Amidei e Rossellini tornano da Amato che preferirebbe l'attrice Clara Calamai ad Anna Magnani, che però lo convince con un provino. Per girare il film sono costretti ad "allacciarsi" alla corrente elettrica di un dancing degli Alleati e un incidente sul set, disertato da Rossellini che corre in soccorso di Anna, alle prese con la malattia del figlio, causa una lite tra Amidei (che decide di girare comunque) e l'attrice e sua amante Maria Michi. Amato, infuriato per lo stravolgimento del copione in senso drammatico e perché non si vuol togliere la fucilazione del prete, abbandona la produzione del film. La pellicola scarseggia e si deve acquistarla in Vaticano. Si procede a sbalzi, fino a quando un ufficiale americano non scopre il furto di corrente, ma per fortuna è figlio di un distributore cinematografico in America e li lascia fare, promettendo che interesserà il padre a cose fatte. La Magnani litiga con il compagno Massimo sul set, e la sua corsa dietro l'automobile dell'uomo suggerisce a Rossellini la mirabile sequenza nel film della morte della protagonista. All'anteprima il pubblico rimane indifferente mentre il film sconcerta la critica.

Critica (1):Qualche anno fa, l'Unità pubblicò una serie di "film nel cassetto", ovvero di brani di sceneggiatura inedite che una serie di prestigiosi registi italiani sogna­va di realizzare. Carlo Lizzani ci regalò, ovviamente, un brano di Celluloide, copione pronto già da anni, firmato anche da Ugo Pirro e Furio Scarpelli e da anni - già allora - in vana attesa di un pro­duttore compiacente. Erano scene che oggi possiamo, finalmente, vedere sullo schermo, e sembra un sogno: Rossellini che chiede al giovanissimo Fellini di aiutarlo a convincere Fabrizi (il futuro maestro scriveva allora la scenetta del popolarissimo comico, che di fronte a un film drammatico come Roma città aperta recalcitrava e chiedeva fior di quattrini); il produttore Peppino Ama­to, proverbiale autore di strafalcioni, che alla prima proiezione del film si dichia­ra «compresso» («vorrai dire perples­so», gli risponde Rossellini) e alla fine sbotta: «Questo film fa venire i cognati di vomito!».
Insomma, Celluloide finalmente esiste, e l'affascinante storia della lavorazione di Roma città aperta rivive sullo scher­mo. Ma è veramente incredibile, che realizzare Celluloide nell'Italia anni Ottanta e Novanta sia stato ancora più laborioso e difficile che mettere in piedi Roma città aperta nell'Italia del '45. Storie d'Italia di ieri e di quella di oggi, sicuramente più ricca e più tranquilla, ma non meno codina e per certi versi, probabilmente, meno coraggiosa, meno orgogliosa della propria identità.
Sì, perché Roma città aperta, e il modo avventuroso in cui nacque, sono pro­prio un ritratto dell'Italia, della sua pro­digiosa inventiva e della sua irrimediabile vocazione al compromesso. E Rossellini, genio del cinema e impareggiabile "sòla", come dicono a Roma, sembra proprio l'italiano modello, ben prima che spuntasse Alberto Sordi a ritrarci in modo così fedele ed impietoso. Tutto ciò emerge assai bene, dal film di Lizzani: che è scrupoloso nella ricostruzione storica e spesso avvincente nel ripercor­rere i mille intoppi ai quali Rossellini e i suoi complici - in primis, il grande, iroso, sulfureo sceneggiatore Sergio Amidei - si trovarono di fronte. Si parte dall'oggi, dagli attori che pro­vano il trucco nei locali di Cinecittà e che sporgendosi dalla finestra "vedo­no", come per magia la Cinecittà del '44: gli studi erano popolati di sfollati, ovviamente non si giravano film da tempo, e l'arrivo degli americani è pri­ma un'emozione violenta, poi una festa che si propaga in tutta Roma. Tutto rivive, e rivive anche il cinema: Rossellini, già autore di film di successo (e di propa­ganda) come La nave bianca e L'uomo della croce cerca un nuovo soggetto e Amidei gli propone di raccontare una storia sui romani durante l'occupazio­ne. Il progetto si chiamerà prima Borsa nera, poi si trasformerà pian piano in ciò che ben sappiamo, coinvolgendo due star del varietà come Aldo Fabrizi e Anna Magnani, imbrogliando a fin di bene i produttori sulla vera natura del film e rubando la corrente necessaria alle riprese da un vicino dancing fre­quentato dai militari Usa. Un'avventura entusiasmante, con un finale provviso­riamente triste, perché nessuno volle distribuire il film in Italia e ci volle il successo a New York (21 mesi di fila in un cinema!) perché il neorealismo diventasse un fenomeno popolare anche in Italia. Del film di Lizzani, fatto con un amore che sfiora l'eroico, si ricorderà, soprat­tutto il valore di testimonianza, e il ri­tratto efficace di un'amicizia virile: quella fra Rossellini e Amidei, due geniacci capaci di dichiararsi il reciproco amore a suon di litigate. Resta invece lieve­mente in ombra il contesto, ovvero quella Roma del '45 così piena di slanci e di tragedie, ma in questo senso si vede benissimo che i limiti del film sono soprattutto produttivi: gli americani, per un film così, avrebbero speso miliardi e avrebbero ricostruito l'epoca in stile Forrest Gump, Lizzani e soci hanno dovuto fare i salti mortali e gli esterni di Roma - che è cambiata non poco, si sa! - sono giocoforza pochi e tutti al risparmio. Resta da dire degli attori: il migliore in campo è "ovviamente" Giannini che oltre a essere un fuoriclas­se aveva il compito più facile, rendere un Amidei di cui pochi, nel pubblico ricordano il volto. Ma se la cava bene anche Ghini nei panni di Rossellini e fa miracoli Lina Sastri nello sfidare un mito come quello della Magnani. Insomma, chi c'era si emozionerà e chi non c'era imparerà qualcosa: Celluloide era una scommessa impervia, Lizzani l'ha vinta almeno al 70 per cento.
Alberto Crespi, l'Unità

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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