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Bene mio (Il)


Regia: Mezzapesa Pippo

Cast e credits:
Sceneggiatura: Pippo Mezzapesa, Antonella Gaeta, Massimo De Angelis; fotografia: Giorgio Giannoccaro; scenografia: Michele Modafferi; costumi: Sara Fanelli; interpreti: Sergio Rubini (Elia), Sonya Mellah, Teresa Saponangelo, Dino Abbrescia, Francesco De Vito, Michele Sinisi; produzione: Cesare Fragnelli per Altre Storie con Rai Cinema; distribuzione: Altre Storie; origine: Italia, 2017; durata: 94’.

Trama:Da dieci anni, da quando ha conosciuto la devastazione del terremoto, Provvidenza è un paese fantasma. Elia è rimasto l'ultimo ad occupare quelle case senza anima. Si è sempre rifiutato, infatti, di trasferirsi nel 'paese nuovo', fatto di casermoni di cemento costruiti ai piedi della collina, dove tutti gli altri sono stipati. Elia vive in una delle poche case rimaste in piedi e, nel corso degli anni, è diventato custode della memoria di quel borgo. Per l'illusione di poter riportare la vita tra quelle pietre morte, per l'incapacità di liberarsi dal ricordo di sua moglie Maria che proprio tra quelle pietre ha perso la vita. Una scelta, la sua, non condivisa dagli abitanti del paese di sotto che vorrebbero portarlo giù e, finalmente, spegnere l'ultima luce accesa di quel che un tempo era Provvidenza. Il ricordo di Maria e il suo compito di custode della memoria di una comunità perduta tornano a far sentire la loro forza ed Elia si troverà di fronte a una scelta.

Critica (1):Già con il doc sul becchino di Bitonto Pinuccio Lovero sbarcato alla Mostra del cinema di Venezia nel 2008 accompagnato dallo splendido slogan: “Porterò la morte a Venezia” il regista pugliese Pippo Mezzapesa aveva trovato la notorietà.
Fama poi ribadita con un altro film sull’ascesa di Pinuccio in politica, presentato alla Festa del cinema di Roma nel 2014. Adesso con Il bene mio, grazie anche al bravo protagonista Sergio Rubini nelle vesti di un eremita indaffarato, Mezzapesa si riconferma un talento regalandoci un film delicato, commovente e a suo modo unico.
Non può esserci un futuro senza conoscere il proprio passato. È questo il monito del suo secondo lungometraggio di finzione dopo Il paese delle spose infelici. E di fatto questo è un film sulla memoria.
Elia (Rubini) è l’ ultimo abitante di Provvidenza, paese distrutto da un terremoto. È un uomo che resiste. Argina l’oblio. Rifiuta di adeguarsi al resto della comunità, che trasferendosi a Nuova Provvidenza, ha preferito dimenticare. Lotta contro la rimozione del ricordo, prendendosi cura di quello che il tempo distrugge, aggiustando oggetti rovinati e ridandogli nuova vita.
Come il robot Wall-e, unico abitante del pianeta Terra, che raccoglieva tutto quello che trovava in giro. Saranno proprio quegli oggetti – un vecchio carillon a forma di pesce, uno skateboard, un disegno – a pacificare gli animi della comunità perché solo conciliandosi con il passato si può affrontare e attraversare il futuro. Non a caso il percorso verso la rinascita di Elia inizierà quando finalmente riuscirà ad oltrepassare il cancello della scuola elementare dove ha perso la vita sua moglie.
La sua personale rivoluzione passerà anche attraverso l’inatteso incontro con una donna in fuga dalla sua terra, una migrante di nome Noor (Sonya Mellah), che per motivi differenti condivide la sua stessa sofferenza. Mezzapesa non mostra né il passato (il terremoto), né il futuro (la ricostruzione). Ci immerge nel presente di un paese fantasma abbandonato e avvolto nel silenzio. Sottrae e allo stesso tempo crea.
Ci lascia in un tempo sospeso dove tutto è possibile, dando libero spazio all’immaginazione. Ed è questa la forza del film. Nonché il vero potere del cinema. Allo stesso tempo muovendosi continuamente sul doppio binario della fiaba e della realtà ribadisce la necessità di recuperare una memoria storica. Si deve ricostruire ciò che è crollato, non rifare tutto ex novo. Uno sguardo al passato che diventa estremamente attuale con le notizie che arrivano da Riace, paese rinato grazie all’accoglienza di immigrati.
Giulia Lucchini, cinematografo.it, 3/10/2018

Critica (2):Ancora il vento e la terra. Da Il paese delle spose infelici a Il bene mio il cinema di Pippo Mezzapesa fa sentire sulla pelle la materia fisica della sua terra. Stavolta nelle zone di Provvidenza, paese distrutto dal terremoto dove c’è rimasto solo un ultimo abitante, Elia. Il Sindaco cerca in tutti i modi di costringerlo ad abbandonare il paese. Lui però non ne vuole sapere soprattutto quando all’improvviso inizia ad avvertire una strana presenza.
Una ghost-story, un cinema popolato da spettri. Con l’illusione iniziale di un pannello in apertura con la piazza di Provvidenza prima del terremoto che nasconde in realtà soltanto le sue macerie. Un ottimo Sergio Rubini sembra quasi un fantasma ‘burtoniano’ tipo Beetlejuice di un luogo abbandonato, un non-morto. Tutti gli altri personaggi invece potrebbero essere delle sue proiezioni soggettive.
Il suono della terra, come in tutto il cinema di Mezzapesa, ha un’importanza fondamentale. Qui ribadito anche dalla citazione/visione di Balla coi lupi di Costner. Un altro film parallelo che rimbomba nella testa. I rumori del vento (ancora un velo portato via) ma soprattutto quelli delle oscure presenze prima della scoperta della giovane ragazza in fuga diventano una traccia fondamentale e rendono Il bene mio un film sul lutto astratto, che fonde l’allucinazione con la realtà, che s’innalza verso il cielo ancora come traiettoria western. Al tempo stesso sembra anche di avvertire le presenze nella città dei morti a cominciare da Maria, la moglie del protagonista. E le uniche figure reali sembrano essere soltanto quello dei turisti che, con Gesualdo (Dino Abbrescia), vecchio amico di Elia, vengono a visitare il luogo.
Il cinema di Mezzapesa parla ancora di morte con un’immediatezza sorprendente come nell’ultimo bellissimo corto La giornata su Paola Clemente, la bracciante pugliese di 49 anni morta di fatica sotto il sole del 13 luglio del 2015. E si sofferma su due termini-chiave dell’elaborazione del lutto: ricordare o dimenticare. Tutto lo scarto tra Provvidenza distrutta dal terremoto e il nuovo paese. Ma mescola sapientemente anche situazioni comiche come in Pinuccio Lovero – Yes I Can. Con Sergio Rubini che sembra leggero come l’aria. Che cambia anche faccia. Corpo. Dal giorno alla notte. Gli occhiali ritrovati, rotti e poi aggiustati, potrebbero essere uno squarcio. E quando cala l’oscurità, ecco alcuni dei momenti più belli del film: l’arrivo dei ragazzi in motorino. Con quei fari nella notte come i motociclisti sul racconto in Roma di Fellini. Altra traiettoria di un cinema illusionista e imprendibile.
Simone Emiliani, sentieriselvaggi.it, 5/9/2018

Critica (3):

Critica (4):
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