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Christian - Christian

Regia:Axel Gabriel
Cast e credits:
Sceneggiatura: Gabriel Axel; fotografia: Morten Bruus; montaggio: Nils Pagh Andersen; musica: Nikolaj Christensen; Beethoven; interpreti., NiKolaj Christensen (Christian), Nathalie Brusse (Aicha), Preben Lerdoff Rye (il nonno), Jens Arentzen (Johnny), Nadine Alari (Françoise), Bernard Pìerre Donnadieu (l'ospite) ; produzione: So en Staermose, Ole Sondberg, Leo Pescarlo per Victoria Film, Ellepi Film, Chrysaltde Filtra; distribuzione: Titanus; origine: Danimarca-Italia 1989, colore; durata: 105', Dolby stereo.
Critica (1):Viaggio dell'adolescente Christian dagli occhi azzurri e dai capelli biondi e setosi, chitarra in spalla dal Nord al Sud del mondo. Dalla Danimarca linda e ordinata agli orizzonti ventosi del deserto marocchino, in fusa da (o in cerca di) se stesso. Scandinava occasione per il miraggio del sud, passione per il Bildungsroman, il romanzo di formazione, dei popoli anglosassoni. E' una polemica implicita verso la sua Danimarca pulita, ordinata, comoda ma arida, disseccata di valori umani, in favore di un Sud del mondo povero ma vivo. Ecco i motivi di fondo che devono aver spinto Gabriel Axel, settantadue anni, una gloria tardiva maturata in vecchiaia (un Oscar con Il pranzo di Babette), a raccontare questa storia di un ragazzo, alla quale pensava da diciotto anni. E a raccontarla riempiendola di speranza, di fiducia; di ingenuità, anche.
Christian suona la chitarra nei locali di Copenaghen; vive nella ricchezza, ma vive male. Scivola verso i margini dell'illegalità; abbandona la famiglia, perde la ragazza, si mette a rubacchiare, viene condannato. Il riformatorio è in perfetto stile scandinavo: tutti gentili, educati, rispettosi, quasi un luogo piacevole. Ma Christian scappa, e attraversa l'Europa, fino ad arrivare in Marocco che, pur nella polverosa povertà, è una succursale del paradiso: accoglienza ospitale, pranzi abbondanti, persino un amore che sboccia. Finalmente Christian può spedire la cartolina promessa al nonno che la attende nell'ospizio. Ma quando la cartolina arriva, il nonno è morto. Christian viene così a diventare, pur nella tenerezza come tono di fondo e nella tenuità del dramma, un atto di accusa che può suonare retorico. La tristezza dei ricchi e l'allegria dei poveri. Tutto fin troppo chiaro, fin troppo ottimista, ingenuo, da sembrare quasi misterioso. Ma è proprio il regista a sciogliere questo mistero, se è vero che nel corso di un'intervista è scoppiato a piangere, dicendo: "Più che ottimista, i miei quattro figli mi trovano molto naif... mi sembra di restare sempre lo stesso, di non essere mai cresciuto..." Un bambino di settantadue anni, e lo sa. Per trovare qualche briciola del suo ingenuo candore, potrebbe valere la pena di vedere questo film.
Anche se la bontà, al cinema, provoca in chi ha avuto l'anima scorticata e indurita, una diffidenza istintiva.
(Per i cinéphiles, una curiosità preziosa: nel ruolo del nonno di Christian c'è, con gli stessi occhi ardenti e la faccia ieratica, Preben Lerdorff Rye, indimenticato protagonista di Ordet di Dreyer).

Lisa Ades, VIVI IL CINEMA n. 19-21 gennaio-marzo 1990
Critica (2):INTERVISTA A GABRIEL AXEL
Sono diciott'anni che lei si porta dentro la storia di Christian. Come è nato questo personaggio?
Guardano i miei figli ed i loro compagni. Quando avevano pi o meno l'età di Christian, ne ho visto alcuni incamminarsi verso la delinquenza. Anche i ragazzi di buona famiglia. Ho cominciato a interrogarmi su questo fatto. Sono andato in diversi istituti di rieducazione e ho parlato a lungo con i ragazzi, per cercare di capire. Nello stesso periodo, mentre ero in Marocco come turista, ho passato qualche giorno in un piccolo villaggio berbero, dove sono stato accolto con calore e generosità. E cosa è nata in me l'idea di legare le due cose: parlare dell'esperienza marocchina, che mi aveva profondamente colpito, e fare un film sui ragazzi che avevano l'età dei miei figli e che erano in cerca di una soluzione per la loro vita.
Il suo è un film sul confronto/scontro tra culture diverse?
Christian non è un film a tesi. E' semplicemente un racconto, nel quale non mi preoccupo di dimostrare niente, ma dal quale si possono certamente trarre delle conclusioni. E' un film che ho diretto con il cuore, e che andrò a vedere, finito, con il cervello... E' chiaro che lo spettatore sarà portato a fare il confronto tra i paesi della nostra cultura, dell'Europa, che hanno un po' perso il senso dei veri valori, e i paesi di un'altra cultura, quella dei contadini berberi ad esempio, che, invece conservano il senso di quei valori. Ma, ripeto, il film è prima di tutto una storia, che può interessare perchè ci tocca da vicino per più versi.
Corre voce che lei abbia pianto più di una volta sul set. In quali occasioni?
Io soffro un ' di una sensibilità troppo acuta. Essendo anche attore, mi immedesimo molto nelle situazioni e, quando la scena è triste, piango anch'io. Ma non sono un tipo triste. Sé la scena è comica mi scappa da ridere. Stéphane Audran una volta mi ha detto: il pubblico ride e piange esattamente là dove tu hai riso e pianto... Non bisogna aver paura di piangere. Piangere è una liberazione. Tra le lacrime e un blocco allo stomaco, preferisco le lacrime.
Vedendo Il pranzo di Babette, si capisce che lei dà una grande importanza alla composizione dell'inquadratura e all'uso del colore.
Senz'altro. Il cinema è vedere attraverso una lente d'ingrandimento. Bisogna stare molto attenti a non disperdere l'interesse, a non distrarre l'attenzione dell' essenziale. Io sostengo che la messa in scena deve essere cucita con fili invisibili. Perciò evito gli effetti, preferisco che la macchina da presa si muova verso gli attori piuttosto che utilizzare lo zoom. Perché l'essenziale è l'attore, con il quale lo spettatore si identifica. Lo spettatore sceglie un personaggio nel film e attraverso di lui segue la vicenda. quindi tutto è concentrato sull'attore, tutto deve convergere verso di lui. Per quanto riguarda il colore, Babette era girato in studio, in ambienti ricostruiti. Quindi era più facile controllare il colore. Christian quasi tutte le scene sono in ambienti naturali, ed è stato più difficile. Ma ho avuto la fortuna di lavorare con una troupe .di tecnici di grande classe. Anche prima che il colore esploda nella scena ella festa araba, ho voluto una dominante grigia. La gamma dei grigi è quella che valorizza meglio l'espressione degli occhi. Bisogna rinunciare alle tentazioni "decorative" per dare tutta la forza al viso degli attori.
La pittura e la tradizione figurativa in genere l'aiutano in questo lavoro?
Certo. Io penso che i grandi pittori sono i più grandi fotografi, con le loro sorgenti di luce, il tono dei colori... Spesso faccio vedere al direttore della fotografia le opere dei grandi pittori, le studiamo insieme. C'è già tutto: l' inquadratura, le proporzioni, la disposizione dei personaggi, le sorgenti di luce, l'accostamento dei colori. È la scuola migliore.

Invervista di Cesare Biarese Roma, 13 luglio 1989
Critica (3):
Critica (4):
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