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Accatone


Regia:Pasolini Pier Paolo

Cast e credits:
Regia e soggetto: Pier Paolo Pasolini; sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini, con la collaborazione di Sergio Citti; fotografia: Tonino Delli Colli; montaggio: Nino Baragli; scenografia: Flavio Mogherini; interpreti: Franco Citti (Vittorio Cataldi detto Accattone), Franca Pasut (Stella), Silvana Corsini (Maddalena), Paola Guidi (Ascenza), Adriana Asti (Amore), Romolo Orazi (suocero di Accattone), Massimo Cacciafeste (cognato di Accattone), Adriano Mazzelli (cliente di Amore); produzione: Arco Film/Cino Del Duca; distribuzione: Cineteca di Bologna; origine: Italia, 1961; durata:116'.

Trama:Vittorio, soprannominato Accattone, è un delinquente che vive nello squallore della periferia romana. Quando si innamora di una giovane donna, l'uomo decide di ravvedersi e vivere onestamente, ma per lui non sembra esserci possibilità di riscatto.

Critica (1):Mi sono affacciato a guardare quello che succedeva dentro l'anima di un sottoproletario della periferia romana (insisto a dire che non si tratta di una eccezione ma di un caso tipico di almeno metà Italia) e vi ho riconosciuto tutti gli antichi mali (e tutto l'antico, innocente bene della pura vita). Non potevo che constatare: la sua miseria materiale e morale, la sua feroce e inutile ironia, la sua ansia sbandata e ossessa, la sua pigrizia sprezzante, la sua sensualità senza ideali, e, insieme a tutto questo, il suo atavico, superstizioso cattolicesimo di pagano.
Perciò egli sogna di morire e di andare in paradiso. Perciò soltanto la morte può 'fissare' un suo pallido e confuso atto di redenzione.
Pier Paolo Pasolini

Il mondo di Accattone è un mondo precedente al linguaggio. Un sottoproletariato di uomini non ancora entrati nella esistenza e nella coscienza. È il mondo delle borgate, accampato attorno alla città, in attesa eterna di entrarvi, respinto nel suo limbo dalle cose, dalla loro violenza ed offesa, e da se stesso, dalla sua estrema debolezza, prima e fuori dei drammi della libertà. La parola espressiva, che è libertà e coscienza, non esiste ancora in questo mondo. Di qui la necessità, nei libri di Pasolini, di creare una lingua, che non è veramente un dialetto ma, in forme dialettali, un modo di pre-espressione, limitato, qualunque sia la sua apparenza verbale, al grido, alla interiezione, alla manifestazione della pura vitalità non ancora articolata e organizzata.
Questo mondo di "rumore e furore" (per usare la terminologia shakespeariana di Faulkner), o, se si vuole, di "rabbia" (per usare quella di Pasolini), non può possedere una lingua, ma solo le parole del rumore e del furore o della rabbia.
Ma ha un aspetto, una apparenza, un discorso di gesti, di facce, di atteggiamenti, di stereotipie, di costumi, di magliette, di motociclette, di baracche e casupole, di fontanelle, di spiazzi, di polvere, di prati stenti, e il grigio del fango, della miseria, della malattia, e insieme una sua energia vitale, anarchia e desolata, non mai spenta nella destituzione, nell'uso strumentale del corpo; irrazionale e pura, a volte esplosiva.
Questi aspetti sono evidenti all'occhio di chi guarda, sono l'espressione completa e diretta di quelle cose nel loro vivere e essere reali, nel pericolante crepuscolo, assai più delle parole, delle imprecazioni, del ragionamento, del dialogo. In questo senso si potrebbe forse sostenere che Pasolini abbia trovato nel film Accattone, ancor meglio che nei suoi libri, la forma propria di quel mondo, che è più di cose e atti che di immagini verbali.
Carlo Levi, da cinetecadibologna.it

Critica (2): "Dopo due romanzi ambientati nelle borgate romane, Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959), Pier Paolo Pasolini iniziò a lavorare a un terzo, Il Rio della Grana, ma lo lasciò incompiuto e preferì continuare a raccontare quel mondo con il cinema. Esordì nella regia con un film incentrato (come il secondo romanzo) su una storia individuale ma dove alla dimensione di bildungsroman che caratterizzava i due libri, subentrò la narrazione dell'oscuro malessere di vivere che segna come un destino tragico un 'ultimo uomo', Vittorio detto Accattone, un lenone privo della volontà e del cinismo di esserlo fino in fondo. La diversità di Accattone rispetto agli altri papponi di borgata è descritta da Pasolini senza idealizzare il suo personaggio ma lasciandogli tutte le sue contraddizioni più stridenti e inconciliabili, nel quadro calcificato e bruciato dal sole di una borgata chiusa come un carcere.
La fotografia di Tonino Delli Colli, che seguì fedelmente le intenzioni del regista debuttante, ha un bianco e nero fortemente contrastato che imprime al film una dimensione funebre, particolarmente evidente nella bellissima sequenza del sogno dove Accattone immagina di assistere al proprio funerale e chiede al becchino di farsi scavare la fossa al sole. L'inconscia corsa del protagonista verso la morte è continuamente prefigurata da episodi anticipatori (un pericoloso tuffo nel Tevere, uno svenimento all'osteria, tre violente scene di lotta, un pestaggio, l'immersione del volto fradicio nella sabbia, che lo trasforma in una maschera mortuaria etc.) e assurge a paradossale, trasgressiva via crucis laica, sottolineata dall'uso di una musica sacra (la Passione secondo Matteo di Bach).
Fin dal primo film, Pasolini mescolò fra loro interpreti presi dalla strada (come l'esordiente Franco Citti) a professionisti (Adriana Asti) ma nel doppiaggio del protagonista ricorse all'attore Paolo Ferrari. Accattone avrebbe dovuto essere prodotto dalla Federiz, la società di Rizzoli e Fellini, ma i provini furono giudicati insoddisfacenti e subentrò il giovane e (allora) audace Alfredo Bini. Questi organizzò un dibattito alla mostra di Venezia, coinvolgendo molti scrittori importanti e poi una serata contro la censura (cui partecipò anche Fellini) quando il ministero cercò di boicottare e danneggiare il film prorogando strategicamente ogni decisione sul nulla-osta."
Roberto Chiesi, da cinetecadibologna.it

Critica (3):

Critica (4):
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