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Falls (The) - Falls (The)


Regia:Greenaway Peter

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Peter Greenaway; fotografia: Mike Coles, Tex Ledote, John Rosenberg, Erica Stevenson, Francine Winham; musiche: Brian Eno, John Hyde, Michael Nyman, Keith Pendlebury; montaggio: Peter Greenaway; interpreti: Peter Westley, Aad Writz, Michael Murray, Garry Morris, Alice Skilling, Aet Nyman; produzione: British Film Institute-Pb; distribuzione: Lab 80; origine: Gran Bretagna, 1980; durata: 181’.

Trama:Un mondo in un anno immaginario popolato da personaggi stravaganti e dominato da tematiche ossessive. Novantadue protagonisti - i cui nomi cominciano tutti per "Fall" e che hanno in comune la paura di volare e l’amore per i volatili - sono state vittime del misterioso "Violent Unknown Event", l’ Evento Violento Non Identificato, una ignota catastrofe che si è abbattuta sull’umanità tra il 12 e il 13 giugno di un anno imprecisato. L’evento ha causato nelle vittime mutamenti fisici, che sembrano preparare l’umanità alla trasformazione in uccelli, e cambiamenti psicologici positivi e negativi, come l’identificazione con gli uccelli attraverso l’ossessione del volo.

Critica (1):Con i suoi 186 minuti, l’approccio enciclopedico, l’insolita struttura-catalogo e i contenuti bizzarri delle biografie, The Falls può essere considerato la summa e la conclusione di tutto il periodo artistico precedente. Una sorta di punto di arrivo dei propositi sperimentali, l’ultima e più imponente operazione formalista del decennio. Proprio per questo è un film denso e intricato e tentare di comprenderne i diversi significati vuol dire addentrarsi nel variopinto e multiforme universo personale di Greenaway. Un mondo immaginario popolato da personaggi stravaganti, dominato da tematiche ossessive e governato da paradossali regole del gioco. Protagonisti dell’articolata organizzazione enciclopedica di The Falls sono 92 persone, i cui nomi cominciano per «Fall», che hanno in comune la paura di volare, l’amore per gli uccelli e il fatto di essere state vittime del misterioso «Violent Unknown Event», un Evento Violento Non Identificato (EVNI). Le 92 vite sono i frammenti di un mondo immaginario proiettato in un futuro stranamente sereno, dettagliatamente ricostruito, rigidamente organizzato ma oppresso da oscure profezie: la minacciosa eredità dell’EVNI.
L’EVNI è un’ambigua quanto ignota catastrofe universale che si è abbattuta sull’umanità nella notte tra il 12 e il 13 giugno di un anno imprecisato. Ha provocato nelle sue vittime dei mutamenti fisici che sembrano preparare il genere umano all’evoluzione in uccelli, e dei cambiamenti psicologici, sia positivi che negativi, come l’identificazione con gli uccelli attraverso l’ossessione del volo.
Il film mette in luce le cause scatenanti dell’eccezionale fenomeno e gli effetti provocati sulle persone con un’indagine a campione. Di ognuno dei 92 personaggi viene quindi tracciato un breve profilo biografico e, ove possibile, sono indicati gli elementi salienti che possano spiegare i motivi per cui è stato colpito e quali sono state le conseguenze più immediate. Ad esempio, Melorder Fallaburr, il protagonista della terza biografia, è specialista di storia comparativa del volo. Colpito dall’EVNI, si fa sterilizzare per non ingravidare la moglie, Constance Ortuist Fallaburr, anche lei vittima del medesimo evento. È stato osservatore ufficiale dell’EVNI prima di pubblicare una Storia enciclopedica del volo e realizzare un Museo dell’aviazione a Rishangles. La malattia di cui soffre, la «Patagium Fellitis», lo ha persuaso a mettere in pratica le sue conoscenze storiche e pratiche del volo umano. Invece, la vittima numero 56 si chiama Appropinquo Fallcatti. Colpito dall’EVNI e sposatosi con una cameriera italiana, si è trasferito a Torino, dove ha lavorato come cassiere in un teatro, recensore di libri con lo pseudonimo di «piuma di Querquedula» e regista teatrale di drammi di carattere «ecologico» che gli hanno attirato il disprezzo della critica teatrale e dei biologi. Attualmente è in Inghilterra, dove sta preparando una versione drammatica dell’EVNI.
Due esempi già sufficienti a dimostrare che l’umanità sembra aver iniziato una parziale trasformazione in uccello, sia fisica che psicologica. La malattia più comune è la «Patagium Fellitis» o «ipertrofia dell’estradosso», un morbo che causa ipertrofia ai muscoli delle braccia, spalle e schiena, acutezza visiva e abbassamento dell’udito, ma molte altre sono le forme di malformazioni corporali che suggeriscono la lenta e inesorabile evoluzione umana.
Al di là delle numerose ed evidenti deformità fisiche (per la maggior parte sconosciute), sono i cambiamenti a livello di identità e personalità ad aver trasformato le condizioni di vita delle vittime. La stessa comunicazione verbale è sprofondata in un indistinto balbettio di differenti linguaggi appena coniati. Ogni personaggio parla una delle 92 lingue ufficialmente riconosciute dalla Commissione EVNI, il gruppo di ricerca formatosi per studiare gli effetti dell’EVNI sulle persone. Gli stessi nomi delle lingue sono impronunciabili: Castel Fallboys ha appreso il «Dekis istantaneo», «una lingua che si parla meglio con il becco che con la bocca»; la linguista Vyanine Fallaspy insegna 1’«Hartileas B» all’Istituto Francese di Ornitologia di Parigi; sull’argomento, Bwythan Fallbutus ha scritto il libro intitolato Dopo Babele, dimostrando che i nomi degli uccelli sono il denominatore linguistico comune a tutte le lingue. Anche la difficoltà a comunicare pone quindi in relazione la frammentazione linguistica e la presunta responsabilità degli uccelli come fautori dell’EVNI.
Ma tutte le vittime sembrano essersi rinchiuse volontariamente in loro stesse per coltivare le loro più grandi aspirazioni e ossessioni ornitologiche. Per emulazione, fissazione scientifica o semplice interesse divulgativo, i personaggi sono spinti dal loro stato a una continua ricerca di contatto, relazione, identificazione col mondo degli uccelli.
La simbologia del «volo» e la metafora della «caduta» sono infatti presenti a vari livelli nel film. Anche se non è mai detto esplicitamente, i cambiamenti nell’uomo hanno stretti legami con l’ascensione religiosa: gli esseri umani si stanno lentamente trasformando in creature volanti e pare che le vittime attendano un altro evento che completi la loro ascesi. Inoltre l’EVNI ha reso le sue vittime immortali tramutandoli in esseri sovrumani, angeli dolorosamente terreni.
Lo stesso titolo The Falls allude alla caduta, al precipitare e all’abbattersi al suolo dopo un volo, all’autunno del mondo, al tramonto dell’umanità, fino al fenomeno della ricaduta radioattiva dopo una catastrofe atomica 33. Anche gli oggetti e i dati più comuni della vita quotidiana assumono particolari valenze «ornitologiche» attraverso semplici giochi linguistici o particolari allusioni concettuali che fanno pensare alla predestinazione di alcune vittime. Bwythan Fallbutus è investito da un camion bianco, immatricolato N113 92, su un passaggio pedonale in via dell’Aquila d’Oro; uscita dall’ospedale per un incidente stradale in via degli Uccelli, Vyanine Fallaspy ha una ricaduta in strada del Passero e muore in ambulanza in via Aptero, ufficialmente davanti al Bar delle Rondini, ufficiosamente di fronte al Caffè Volpe.
Ma la prospettiva del volo e l’attrazione per gli uccelli si manifestano soprattutto nelle attività e nelle nuove occupazioni preferite dalle vittime. Max Fallcaster, fotografo di elementi architettonici, una volta colpito dall’EVNI, inizia a studiare ornitologia e fotografia di nidi e a lavorare alla stesura di un libro sulla simbiosi tra uomo e uccello; Pollie Fallory, cantante, ha scritto l’inno dell’EVNI e ha registrato la versione definitiva di Bird List Song, una canzone il cui testo è formato da un elenco di uccelli; Afrocious Fallows, segretario della fantomatica Società Ornitologica Audubon di Abersoch, cura gli uccelli di mare malati e li classifica secondo un personale sistema tassonomico fondato su acrostici, anagrammi, citazioni letterarie e associazioni geografiche.
Sono metafore «ornitologiche» che sottintendono con allusioni a volte evidenti, altre volte velate, la nozione di assurda apocalisse che percorre tutto il film: tra il terrore e il disordine quotidiani e le cosmiche paure esistenziali, l’avvento del Giudizio Universale è appena mimetizzato nelle rappresentazioni neutrali di dossier burocratici. Apparentemente il genere umano è come predisposto all’evoluzione in creature volanti e, per questo e per tutti gli altri elementi che legano gli uomini agli uccelli, esiste il forte sospetto che l’E.V.N.I. sia stato ispirato o architettato dal regno degli uccelli. Proprio sulla presunta «Teoria della Responsabilità degli Uccelli» si fonda una buona parte dell’oscura impenetrabilità dell’EVNI e del dibattito all’interno del film". Nascono Enti e Istituzioni con lo scopo di studiare, classificare e definire il ruolo degli uccelli nella metamorfosi del genere umano, come la «Società Mondiale di Protezione degli Uccelli» e la «Federazione Ornitologica di Sterminio» (la cui sigla inglese, FOX, evoca la volpe, nemica degli uccelli).
Le vite delle 92 vittime dell’EVNI, al di là della variopinta diversità delle singole esperienze, hanno dunque in comune la presenza ossessiva degli uccelli in modi e forme ogni volta diversi. Le 92 biografie risultano pertanto varie ed eterogenee nello spirito che le anima, nel tipo di informazioni contenute e anche nel materiale visivo a disposizione. Proprio perché sono il frutto ingegnoso del «fantastico» incidente cosmico, le storie sono saturate da un’atmosfera di volta in volta ironica, farsesca, patetica o tragica. Le descrizioni possono essere lunghe e dettagliate nel fornire particolari oppure necessariamente brevi; ma non mancano casi in cui il dossier biografico è inconsultabile per motivi di censura. Le immagini sono composte dal materiale più vario e stravagante perché, al di là delle soluzioni ottimali (l’intervista alle vittime, il parere di esperti o la testimonianza
di familiari), sono molti i casi in cui non si dispone neanche di una fotografia della vittima e pertanto la documentazione visiva è formata da materiali d’archivio, riprese dei luoghi frequentati dalle vittime o rappresentazioni delle loro azioni. L’estrema varietà della componente visiva è da una parte la necessaria conseguenza della particolare struttura enciclopedica del film (altrimenti sarebbe apparso troppo monotono nello svolgimento), dall’altra il risultato di una precisa scelta da parte di Greenaway che ha la possibilità di «riunire in un solo luogo quei materiali che non avevano trovato posto nei precedenti film».
Proprio per la gigantesca mole di informazioni assurde da giustificare, di dati improbabili da proporre e di materiale già parzialmente confezionato da gestire, Greenaway ha sviluppato The Falls come un «work-in-progress», determinando e caratterizzando nel corso della realizzazione del film il modo in cui legare insieme le tessere del gigantesco mosaico. Ma imprevedibilità e libertà creativa non significano caos organizzativo. La pluralità e l’eterogeneità dei materiali sono infatti da Greenaway inserite e costrette in una cornice-struttura configurata in tre diversi ordini: la progressione numerica 1-92, il rigoroso ordine alfabetico (da Orchard Falla ad Anthior Fallwaste) e lo sviluppo accrescitivo della musica. La «musica-catalogo» scritta da Michael Nyman per il film è infatti composta da 92 variazioni delle quattro battute 58-61 tratte dalla Sinfonia concertante di Mozart: una variazione per ogni biografia secondo una progressione musicale accrescitiva data dalla differente orchestrazione orizzontale e verticale del frammento d’origine. Ogni biografia viene quindi introdotta dal nome, dal numero e dalla sigla musicale e inserita nell’apposito scomparto del film-contenitore.
D’altronde, The Falls è «il tentativo di creare un’enciclopedia filmica più completa possibile, partendo dall’idea che la storia del mondo debba essere la storia di ogni singolo abitante». Un’impresa chiaramente impossibile, che dimostra con questo film come le diverse metodologie umane di descrizione e catalogazione del reale, se portate alle loro estreme conseguenze per aderire perfettamente all’autenticità della rappresentazione, sono destinate a fallire. A meno che non si limiti il campo d’interesse elevando di conseguenza il grado di arbitrarietà dell’operazione rappresentativa. Per questo, dei 19 milioni di vittime accertate e incluse nell’Annuario Generale dell’EVNI, le 92 vite repertoriate nel film sono solo una limitata selezione. Ma è una selezione fatta non in base ai sintomi, all’attività professionale o alle condizioni sociali delle vittime, ma in base a uno dei sistemi di catalogazione più neutri: il principio alfabetico. Pertanto la struttura del «film-catalogo», cioè l’organizzazione numerico-alfabetico-musicale dei materiali in 92 sezioni, oscilla tra un alto grado di arbitrarietà e una ferrea impostazione preordinata. La pratica archivistica determina lo sviluppo della narrazione e la frammenta in 92 punti di vista soggettivi, 92 prospettive autonome.
La stessa scelta del numero è un esempio di arbitrarietà controllata: è il risultato della selezione alfabetica, ma anche un chiaro riferimento a una precedente opera di Greenaway (le mappe di A Walk Through H) e al «numero degli elementi della terra che si trovano in natura». E il numero compare numerose volte all’interno della finzione cinematografica, quasi per volere sancire, nell’apparente casualità delle apparizioni, un valore e un potere superiori.
Questo tipo di organizzazione del materiale, presente anche in altre opere di Greenaway, è in tal caso ispirato a un brano di John Cage dal titolo Indeterminancy. Nel pezzo composto nel 1958 dal «padre» della musica sperimentale americana, 90 storie sono lette in un determinato lasso di tempo: sessanta secondi per ogni storia. Una storia breve è quindi letta lentamente, mentre una vicenda lunga e complessa molto velocemente. La narrazione viene strutturata in base al tempo prefissato. Pur mantenendo pressoché invariato l’intento di fondo, cioè il tentativo di risolvere il binomio forma/contenuto, Greenaway prospetta soluzioni opposte. Alla durata temporale costante e alla variabilità del flusso narrativo di Indeterminancy, sostituisce l’indeterminatezza temporale (le biografie durano dai cinque secondi ai cinque minuti) e la variazione delle modalità di racconto. La rigida struttura enciclopedico-tassonomica di Greenaway presenta quindi meno vincoli e limitazioni al dispiegamento dei materiali visivi, verbali e musicali rispetto al sistema «indeterminato» di Cage, che può contare sulla sola componente musicale.
Ma questo ordinamento strutturale che consente lo sviluppo delle singole biografie con estrema libertà, produce il risultato esattamente opposto a livello di fruizione: il più alto grado di ovvietà. L’approccio enciclopedico-strutturalista è infatti descritto sin dai primi minuti del film, la vicenda è annunciata dalla voce fuori campo, la lista delle 92 vittime scorre nei titoli di testa, per cui lo spettatore sa già quello che vedrà e, soprattutto, sa già quando il film finirà. Non c’è narrazione, nel senso di sviluppo di una storia, ma singole variazioni di micro-eventi (gli avvenimenti individuali) inserite in un più ampio processo compositivo. La definizione dell’universo immaginato da Greenaway avviene quindi per «accumulazione» perché ogni biografia non è altro che un singolo e isolato frammento dell’esperienza individuale di fronte al fenomeno EVNI, che fornisce però informazioni e dati significativi alla comprensione del quadro complessivo.
Sono infinite storie possibili inserite in un processo di accumulazione «anti-narrativo», frammentario e aneddotico. Come la lettura di un dizionario o di una guida telefonica, «l’informazione si somma all’informazione» e i dati si succedono senza novità o sviluppi drammaturgici perché il contenuto e la struttura del film sono già annunciati nei titoli di testa, con l’elenco delle 92 vittime e la spiegazione dell’EVNI. La fruizione di un’opera «enciclopedica» così concepita può quindi anche non essere necessariamente continuativa e, avverte lo stesso Greenaway, «mi sono ripromesso di riprendere questa forma per la televisione nel 1990, cioè dieci anni dopo la prima versione e, se sarò ancora al mondo nell’anno 2000, ne farò un libro, visto che tutti i dizionari debbono essere aggiornati».
In realtà, il processo «additivo» utilizzato in The Falls, costituito dal lento e ripetitivo succedersi di variazioni su un unico soggetto, produce molto di più della semplice addizione narrativo-matematica di eventi o della giustapposizione di inquadrature. Il risultato è infatti un’aggregazione di mondi paralleli, o correlati fra loro, che presi singolarmente sono autonomi, ma inseriti in un processo diventano frastagliature potenzialmente infinite di un unico universo immaginario.
Il rimando più immediato è ai sistemi ripetitivi, additivi e ciclici della musica dei compositori minimalisti americani, di cui Nyman e Greenaway avevano imparato a conoscere le tecniche compositive e gli effetti a livello di fruizione. Invece, i riferimenti culturali principali di questo tipo di prospettiva tassonomica, oltre alla tradizione enciclopedica degli illuministi francesi e al più recente Whole Earth Catalogue, una sorta di Bibbia hippy che repertoriava gli aspetti più significativi del XX secolo secondo la contro-cultura alternativa degli anni 70’, sono ravvisabili in precise fonti letterarie.
In Celestial Emporium of Benevolent Knowledge, Borges ha suddiviso gli animali in quattordici categorie, due delle quali, la categoria otto (che enumera gli animali «inclusi in questa classificazione») e la categoria dieci («innumerevoli») raccolgono il sapere zoologico universale. Questo intento sistematico e classificatorio «totale» e «paradossale» di Borges si ritrova in The Falls filtrato attraverso il «persuasivo metodo investigativo di Thornton Wilder ne Il ponte di San Luis Rey, uno scrupoloso studio biografico scritto per giustificare la coincidenza fortuita per cui cinque persone, che non avevano nulla a che fare l’una con l’altra, morirono nel crollo di un ponte di corda peruviano».
Difatti, nell’ampia catalogazione enciclopedica di dati fittizi di stampo borgesiano, è introdotto il Violento Evento Non Identificato, un disastro improvviso simile a quello del ponte di corda di Wilder, che pone in stretta redazione i destini di un gruppo di individui che non hanno alcuna redazione fra loro. Un tale metodo di creazione genera un numero potenzialmente infinito di vittime, illimitate variazioni biografiche e innumerevoli possibilità di relazioni, storie e destini individuali. Proprio come in Il castello dei destini incrociati di Italo Calvino, dove il rimescolarsi del mazzo dei tarocchi suggerisce prospettive, percorsi e storie sempre nuove.
L’atto della creazione artistica, per Greenaway, opera saldamente in territori fantastici, artificiosi, infinitamente (im)possibili. Ma come per il destino dell’ornitologo di A Walk Through H (…) anche per le vite delle vittime dell’EVNI, Greenaway mette in atto tutti i mezzi per rendere autentici e veritieri gli improbabili racconti. Le sorti delle 92 vittime dell’EVNI sono infatti rappresentate secondo le convenzioni televisive del genere documentario: per i toni prudentemente oggettivi del commento delle voci fuori campo (i testi sono letti da un gruppo di professionisti del «genere»); l’occasionale apparizione del commentatore mentre in studio di registrazione legge il bollettino biografico; le interviste; le testimonianze degli esperti; i reportage con camera a mano; le riprese del luogo stesso di cui si parla secondo lo stile del telegiornale e l’utilizzo di materiale filmico d’archivio. Le immagini costantemente confermano, come ci si potrebbe appunto aspettare da un «genere» come questo, la descrizione risolutamente precisa e oggettiva del commento. In tal modo gli eventi fantastici, frutto dell’immaginario del regista, sono proposti secondo tutte le regole della trasmissione di accadimenti reali.
L’approccio documentaristico, oltre che apparire paradossale per l’inattendibilità del contenuto del film, è inoltre filtrato attraverso le due prospettive con cui Greenaway si distacca dalla materia trattata: la struttura evidente e l’ironia del suo sguardo. Lo sguardo ironico del regista si manifesta soprattutto quando sottolinea il carattere «fiction» del contenuto del film e la natura artificiosa del mezzo cinematografico. L’episodicità della narrazione ma soprattutto le coincidenze ornitologiche diventano talmente evidenti in alcune esperienze delle vittime da svuotarle di qualsiasi significato «scientifico». A parte alcune biografie riconosciute dallo stesso Annuario dell’EVNI come frutti della fantasia, il caso più interessante è certo la «trilogia hitchcokiana», ovvero, la presenza di Hitchcock nelle vite di tre vittime: la 10ª, la 67ª e la 68ª.
Nella prima, Squaline Fallaize, non volendo comparire col proprio nome nell’Annuario dell’EVNI, sceglie come pseudonimo Tippi Hedren, il nome dell’attrice americana che ha interpretato il ruolo di vittima nel film Gli uccelli di Hitchcock. Proprio per questo, e per altri elementi biografici fantasiosi, si avanza l’ipotesi che sia un personaggio di finzione.
Le altre due biografie sono maggiormente collegate fra loro e con Hitchcock. Bird Raspara Fallicutt aveva due interessi: i motori degli aerei e il sesso. La visione del film Gli uccelli le ha cambiato la vita, spingendola a cercare le origini filmiche dell’EVNI insieme al marito, seppure con meno convinzione di lui.
Osbian Fallicutt, marito di Raspara, aveva una teoria: «L’EVNI era una frode dispendiosa e raffinata perpetrata da Hitchcock per dare qualche verosimiglianza alla fine inquietante e poco soddisfacente de Gli Uccelli». La malattia di cui è affetto, che non gli consente di esporsi ai raggi del sole, lo aveva spinto a coltivare con ossessione la passione per il cinema e per le buie sale cinematografiche. Impiegatosi presso un laboratorio cinematografico, ha iniziato le ricerche sui film d’argomento ornitologico stilando una lista che comprendeva, tra gli altri, Il corvo, L’aquila a due teste, I tre giorni del condor, Dove osano le aquile e Il canarino giallo. Tutto questo per prepararsi alla ricerca più importante: un esame definitivo del film di Hitchcock. Dopo aver visitato i luoghi in cui il film è stato girato, Osbian è giunto a identificare una specie di uccello, presente nel film, che non rientra in nessuna catalogazione scientifica: un incrocio tra il gabbiano e il corvo, da lui battezzato «Alfred». Ha scritto alla Fondazione Hitchcock per avere chiarimenti e la moglie dello sceneggiatore del film, vittima anch’egli del VUE, gli ha risposto che negli Studi avevano chiamato quell’uccello «Corvus frugilegus atlanticus» e che suo marito, per conto di Hitchcock, era anche andato nella penisola di Lleyn per fare degli avvistamenti. Incoraggiato da quella risposta, Osbian si è trasferito in California senza la moglie e ha ottenuto una sovvenzione per continuare le ricerche dalla rivista L’upupa, finanziata dalla Fondazione Hitchcock.
Dunque, nell’ipotesi più fantasiosa, l’EVNI può essere un tardivo tentativo di Hitchcock per rifare la fine poco soddisfacente del suo film. Per Greenaway invece l’EVNI è il nome della sua casa di produzione londinese.
Domenico De Gaetano, Il cinema di Peter Greenaway, Lindau, 1995

Critica (2):Il lavoro intrapreso da Greenaway in A Walk through H trova la sua continuazione ideale nel ben più lungo The Falls, all’apparenza un trattato sugli effetti del Violent Unknown Event (Evento Violento Sconosciuto), una sorta di fenomeno epidemiologico con effetti «catastrofici» di diversa natura nei soggetti colpiti. Le affinità tra i due lavori sono molteplici, a parte le riapparizioni nel secondo di alcuni «dati» già conosciuti nel primo: Tulse Luper, il contatore di uccelli, il frutteto roccioso, la balbuzie sulla lettera H, il numero 92 relativo ai casi presi in esame ed al numero dei pionieri del volo, l’interesse e il parossismo ornitologici, il fascino del volo, l’ossessione dell’acqua... The Falls porta alle estreme conseguenze il gioco di A Walk through H; se qui si può parlare di un processo di accumulazione condotto sul filo di una trama linearmente ipotizzabile (la linea rossa come indicazione direzionale) là l’accumulazione trapassa nella ridondanza ed il rimando si fa fitto, la reiterazione quasi necessaria, il cumulo dell’informazione al limite del contenimento linguistico. In The Falls la mania della catalogazione va di pari passo con la potenziale inesauribilità del processo di raccolta dei singoli casi e delle notizie sugli stessi; le condizioni della ricerca sono determinate dalla scelta di campo (in questo caso le lettere iniziali dei cognomi), ma in realtà non esiste un limite al ramificarsi delle conoscenze. La temporalità messa in atto da Greenaway è essa stessa indice di infinità; l’elenco dei casi, dei sintomi, degli effetti potrebbe continuare all’infinito, così come l’intreccio delle descrizioni e delle spiegazioni. Così pure l’accumulazione delle immagini, legate tra loro dalle «combinazioni» dell’inchiesta, ma passibili di qualsiasi ordinamento. Il regista definisce il film come un vaso della spazzatura dove ha ficcato tutto quello che non era riuscito ad utilizzare precedentemente; il tutto viene compattato anche qui secondo una logica di apparente coerenza. In effetti c’è largo uso nel film di uno stile quasi telegiornalistico, con accostamenti parola immagine di pura referenzialità, all’interno dei quali domina la voce autoritaria e monocorde dello speaker, spesso visibile all’interno di una cabina di doppiaggio – un ulteriore svelamento poco credibile – e da dichiarazioni/interviste, nonché filmati di repertorio e spezzoni girati dalle persone coinvolte. L’impasto lievita in modo incalzante e pletorico e mette lo spettatore in una condizione di stordimento percettivo, nell’impossibilità di verificare quanto viene esplicitato, quasi a cercare nella progressione ritmica un’approvazione tanto sbalordita quanto ignara.
In realtà l’apparecchiatura serve per tenere in piedi l’imbroglio, col rivestirlo di affermazioni apodittiche, che in questo modo aggirano la verosimiglianza e solo a posteriori – ma siamo già oltre il film, e poi quale spettatore è disposto ad accettare la partita? – mostrano la loro «inconsistenza». L’ironia che pervade tutta la costruzione sta proprio nella possibilità di credere alle cose dette e mostrate, di pensare che gli eventi si siano potuti verificare concretamente, di dar fede quindi all’induzione e ai risultati dell’indagine. In questo modo Greenaway si muove con scaltrezza tra i modi dell’inchiesta, del documentario, della ricostruzione fedele, della simbiosi di realismo e finzione, del cinema-verità, della congiunzione cinemaistoria ribaltandone completamente i presupposti di credibilità e di garanzia scientifica. Avendo a disposizione quantità di immagini prive di legame tra loro è possibile dar forma ad un insieme dove ogni parte sembra strettamente collegata all’altra.
L’idea di manipolazione è ancora più forte se si pensa all’enorme lavoro di ricostruzione operato dal regista inglese, sul piano specialmente dell’elaborazione linguistica e quindi della mobilitazione e della commistione dei diversi elementi cinematografici. È come se la finzione si riproducesse ininterrottamente su se stessa, moltiplicando senza sosta i piani di ambiguità, ma insieme realizzando un continuum che regge alla stessa prova dei fatti, ed anzi fa della mistificazione ad oltranza la sua ragion d’essere.
Il meccanismo funziona ancor meglio per il fatto che Greenaway infittisce la trama con un concerto di ossessioni che, al di là della curiosità ermeneutica, attraverso una riproposizione a sua volta ossessiva, si determinano come oggetti sistematici, fino a giustificare, da soli, l’intera costruzione o addirittura a far sì che questa appaia come mezzo che ne permette la manifestazione. Sta qui uno degli elementi costitutivi del cinema del regista inglese, nella ideazione di una vera e propria architettura mentale, dove disporre in ordine tanto apparente quanto precario le turbolenze di una sensibilità e di un’immaginazione altamente invasive.
Tutto in The Falls è ridondante, ma questa ridondanza è come prosciugata dalla prevalenza del disegno e dello schema e, in fondo, è il solo tramite per rappresentare la forza, nonché la complessità culturale della propria formazione artistica. Le ossessioni dispiegano in tal modo non un senso di prevedibile reiterazione maniacale, bensì una multiforme espressione di possibilità estetiche e di soluzioni drammaturgiche. È possibile prelevare alcune di queste presenze, momenti rituali di particolare pregnanza, fondamentali di una visione del mondo, categorie della messa in scena. L’uso della parola ad esempio, il linguaggio come affabulazione e come chiacchiera, come imbonizione e come mascheramento, come gioco e come paradosso. Uno degli effetti più «comuni» – così almeno si deduce dal film – dell’Evento Violento Sconosciuto è che i soggetti colpiti cominciano a parlare lingue nuove; uno studioso, a sua volta colpito dall’EVU, compare di frequente nel film a descrivere i vari tipi di espressione linguistica che si ripetono nei diversi individui, compreso il caso limite di un soggetto il quale ha prodotto una lingua che non è stata osservata in nessun altro. È significativa questa insistenza sulla capacità umana di produrre sistemi regolati di comunicazione; ma anche in questo caso il gioco delle combinazioni e delle invenzioni mette a nudo la precarietà della convenzione, conferma che la costruzione della torre di Babele è sempre in atto, e insieme rivolta lo specialismo scientifico in un formalismo che potrebbe dire qualsiasi cosa. Potrebbe essere in fondo un rispecchiamento interno del marchingegno elaborato da Greenaway stesso, l’ennesima autoriflessione ironica sui propri poteri di imporre alla credulità dello spettatore universi immaginari. Altra ossessione: l’acqua. In un personaggio l’EVU ha aumentato la sensibilità per le grandi distese d’acqua, nella sua sottospecie di EVU marino provocava nella persona affetta un’intensa espulsione di acqua dal corpo sotto forma di goccioline, un altro individuo è morto annegato in una vasca, immagini di nubi, corsi d’acqua, mare, inondazioni ricorrono nel film. L’elemento liquido è decisamente dominante e invitante ed ha un forte potere di attrazione; contemporaneamente avvolge, fino ad eliminare con la sua capacità di infiltrazione qualsiasi spazio vuoto, ed inesorabilmente uccide, unendo in sé il comfort della sospensione prenatale con l’ansia soffocante del risucchio. Il liquido poi vuol dire umidità, umore, evaporazione, sudore, secrezione, disagio, allergia, gonfiore, dilatazione, squilibrio, malattia, repulsione. L’acqua è un pozzo di senso: meccanicamente vuol dire galleggiamento, immersione, spostamento, scorrimento, trasporto, erosione, energia; biologicamente vuol dire origine, vita, fecondazione, linfa, nutrimento, crescita; catastroficamente vuol dire alluvione, allagamento, distruzione, trasformazione; umanamente vuol dire regressione, sogno, inconscio, smarrimento; mitologicamente vuol dire caos, creazione, oltretomba, prosperità, fecondità, ricchezza, purificazione, paradiso, esorcismo, battesimo, grazia, rinascita. E detto nel film che due sono gli elementi più ricorrenti nei sogni: l’acqua e il volo. E gli uccelli sono le creature del volo, ma anch’essi hanno una carica simbolica incontrollabile. C’è in Greenaway come un piacere morboso per gli oggetti che si schiudono a miriadi di possibili interpretazioni, tanto da rendere ancora più complicato - e sicuramente inverosimile – il gioco dei rimandi e delle interferenze. Si assiste in tal modo ad un lavoro di costruzione e insieme di distruzione; vengono rivelate a piene mani presenze ricche di senso e contemporaneamente si toglie spazio alla metafora. Alla ridondanza si unisce la ripetizione e la sovrapposizione, le parole divengono semplici nomi, come quelli scanditi dalle persone interrogate, mentre le immagini si accostano come le tessere del domino. Greenaway fa già uso di quell’eccesso, di quel sovraccarico visivi e sonori che, invece di estendere la combinazione dei significati, muovono i
n profondità i principi stessi dell’artificio; come in una composizione di Escher nulla è lasciato al caso e alle figure riconoscibili si sovrappongono le linee del disegno, che a quelle si impongono fino a ribaltare e rivoltare le linee dello schema e la convenzionalità del punto di vista, nonché a mutare la figura stessa in altra cosa, tanto differente nella connotazione quanto possibile nell’artificio. Lo svuotamento fenomenico va di pari passo con la sopravvalutazione del meccanismo rappresentativo messo in atto; ancora una volta è il cinema a guardarsi allo specchio, ma nel caso di Greenaway i riflessi si moltiplicano a dismisura, costituendo una sorta di enciclopedia dell’immagine e, soprattutto, nell’immagine, dove i richiami, le citazioni, i furti, ma anche i falsi, le rifrazioni, le aberrazioni, le mostruosità danno alla visione una ricchezza ed una capacità di scoperta ormai divenute rare.
E per finire i numeri, questione ancor più complicata per le questioni che si portano dietro: la magia, l’armonia, l’archetipo, la metrica, la periodicità, la simmetria, la dualità, la triade, il tempo, il mistero, la regola, il calcolo, la formula... Anche in questa regione è facile ritrovarsi in un pozzo senza fondo, in un labirinto di significati, di simboli e di interpretazioni. Ma è ancora più facile pensare che il cinema sia per Greenaway un immenso serbatoio, in cui mettere i depositi della propria curiosità intellettuale, in cui far agire i furori della fantasia con le presunzioni della ragione, le manie narcisistiche con i pregiudizi della conoscenza. Oppure pensare la stessa cosa di uno dei personaggi citati in The Falls che dice, a proposito di A Walk through H, che questo film venne utilizzato per rafforzare l’idea che Tulse Luper non sapesse distinguere le barzellette allegre da quelle noiose e un altro lo descrisse «un film da escrementi». Anche la presa in giro, se fatta con arte, è degna di rispetto e di ammirazione. In A Walk through H e in The Falls si possono ritrovare già tutti i temi delle opere successive, come la pittura, il doppio, il cibo, la teatralità, la scrittura nel senso che, se non sono ancora motivo di messa in scena diretta, sono leggibili tra le pieghe del discorso cinematografico. Siamo già introdotti in un universo in ebollizione, in un museo fantastico dove ogni oggetto è sul punto di prendere vita ed anche, a volte, di rompersi irrimediabilmente.
Angelo Signorelli, Cineforum n. 311, 1-2/1992

Critica (3):9/3/2009

Critica (4):
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