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Spiaggia (La)


Regia:Lattuada Alberto

Cast e credits:

Soggetto: Alberto Lattuada; sceneggiatura: Luigi Malerba, Rodolfo Sonego, Alberto Lattuada; fotografia: Mario Craveri; scenografia e costumi: Dario Cecchi, Maurizio Serra; montaggio: Mario Serandrei; musica: Piero Morgan (Piero Piccioni); interpreti: Martine Carol (Annamaria Mentorsi), Raf Vallone (il sindaco Silvio), Mario Carotenuto (Carlo Albertocchi), Clelia Matania (la moglie di Albertocchi), Anna Gabriella Pisani (Caterina), Carlo Bianco
(il miliardario Chiastrino), Carlo Romano (Luigi), Valeria Moriconi (l’esistenzialista), Zina Racewsky (la "Contessa azzurra"); produzione: Titanus (Roma) - Gamma Film Française C.C.C. (Paris); distribuzione: Cineteca nazionale; origine: Italia, 1954; durata: 100'.


Trama:Estate 1953. Anna Maria, che nella vita esercita la professione di prostituta, è in vacanza al mare con la figlioletta Caterina nella cittadina di Pontormo. Creduta una vedova perbene, nell'albergo in cui alloggia e nello stabilimento balnare che frequenta è benvoluta da tutti, ma presto scoppia lo scandalo. Anna Maria rischia di essere messa al bando, ma ecco che interviene un miliardario che si è innamorato di lei...

Critica (1):(...) Nel panorama del cinema italiano degli anni ’50 La spiaggia, con la sua conclusione amara, sta a indicare la crisi di un momento culturale e politico e fissa sullo schermo l’impossibilità di una soluzione alternativa, proprio mentre in campo cinematografico le ingerenze politiche e le pressioni più o meno dirette sfociano in una serie di interventi censori (...). Ma il film di Lattuada rappresenta anche il tentativo di intraprendere una prima analisi nel solco di quello che Fernaldo Di Giammatteo, nella sua recensione al film, definisce realismo borghese (...). Il tenue sviluppo narrativo del film – un continuo rinvio di un processo di agnizione (l’identità di Annamaria) che esplode nel finale – disegna una struttura complessiva i cui spazi vuoti di azione sono colmati dalla definizione di un gesto, di una battuta, di un atteggiamento, con una tecnica che Lattuada definisce «divisionista» in quanto frammentazione estrema di uno schema narrativo che negli stessi anni è sviluppata, anche se su un altro piano, dal film a episodi. Questa struttura divisionista si rivela uno strumento particolarmente flessibile e funzionale per l’analisi di quella dicotomia tra mondo delle apparenze e mondo della realtà nel quale si consuma il dramma della protagonista. La prima apparizione di Annamaria mostra la donna mentre si toglie il trucco pesante dalle labbra, cancellando così i segni della sua condizione di prostituta; più tardi un altro segno, il vestito nero, le garantirà l’insospettabilità tra i villeggianti (si fa passare per vedova). Ciò è possibile proprio perché il mondo in cui vive è un mondo delle apparenze, dove la celebrazione dei riti della mondanità (i discorsi, l’abbigliamento, la passeggiata) si fonda sulla convenzionalità dei segni, cioè sul tacito accordo di tutti. La stessa dimensione spazio-temporale è modellata sull’opposizione tra «realtà» e «apparenza». Lattuada crea una «giornata ideale» raccontando di ogni giorno della settimana un momento rituale, comune però a tutti gli altri – l’alba, il pranzo, il riposo pomeridiano, il bagno, la passeggiata serale, la notte – e portando al massimo grado di definizione l’intreccio degli inganni e dei comportamenti sotterranei (i pettegolezzi, le vanità, i tradimenti, le vendette personali): questa « giornata ideale » si conclude con la domenica, quando il brusco richiamo alla realtà – la “scoperta” di Annamaria e l’esplosione del conflitto fino allora latente – riconduce di colpo i personaggi a un’immediatezza istintuale – l’attacco feroce delle villeggianti ad Annamaria, il senso di colpa di quest’ultima – salvo poi a ricomporre nel finale il gioco della finzione: il saluto alla prostituta, indotto dalla presenza al suo fianco del miliardario, reintegra quel mondo delle apparenze che per un attimo si era traumaticamente dissolto. (...) Un’ultima notazione va fatta sull’uso del colore (italiano: Ferraniacolor), cui Lattuada attribuisce una rilevanza significativa nel tradurre visivamente una vicenda in cui la volontà di «essere» è coperta quasi completamente dalla necessità di «sembrare» (...). Presa in affitto la spiaggia antistante l’albergo, il regista ridipinge con i «suoi» colori le cabine e gli ombrelloni, eliminando i rossi e facendo brillare i bianchi, i grigi, i verdi, i gialli, gli azzurri; affida la chiave cromatica di molte sequenze al risalto che ottiene un abbigliamento rispetto allo sfondo: il vestito nero di Annamaria sulla spiaggia luminosa e assolata e quello bianco nello stanzone squallido del bar; lo stesso corpo femminile – quello nudo di Valeria Moriconi e di Zina Racewski – diviene macchia di colore, pura sensazione visiva. Attraverso questa scelta «visibilista» Lattuada dà forma e corpo al mondo delle apparenze che governa gli sviluppi della storia e che ne precisa il senso profondo: la prostituta, rifiutata per ciò che è, viene accettata per ciò che sembra. (...)
Claudio Camerini, Alberto Lattuada, Il Castoro Cinema, 7-8/1981

Critica (2):Il 1953 è uno degli anni più operosi per Lattuada: dopo La lupa e Gli italiani si voltano, tra l'autunno e l'inverno porta a termine La spiaggia (1954). Il film nasce da una coscienza morale nel regista sempre viva (Giacomo l'idealista, Il bandito, Senza pietà, Il cappotto), ma che questa volta trova la ragione del suo risentimento in un episodio ben preciso: il racconto fattogli da una prostituta romana che durante una vacanza al mare con la figlioletta era stata crudelmente messa in disparte dai villeggianti. Il lavoro di sceneggiatura assieme a Sonetto e Malerba accumula attorno all'elementare sviluppo narrativo - incentrato sulla vicenda della prostituta Annamaria (Martine Carol) - una serie di dati significanti (dialoghi, comportamenti, gesti rivelatori) che orientano la rappresentazione della società borghese nella direzione di una condanna morale, riservando però alla protagonista quella simpatia verso gli outsider tipica di tutto il cinema di Lattuada.
L'intervento di Charles Spaak propone un ripensamento sullo schematismo della contrapposizione tra Annamaria e i villeggianti. L'esigenza è quella di ancorare il "conte morale" di Annamaria ad un principio superiore che sia in grado di superare la schematizzazione tra figure positive e figure negative, e che abbia la funzione di rendere più credibile i meccanismi narrativi - tradizionali nella letteratura "a tesi" morale - dell'esclusione di un debole da parte dell'intolleranza collettiva e della redenzione della "femme de vie". Nascono così i personaggi del sindaco progressista (Raf Vallone), che tenta inutilmente, con la sua buona volontà, di aiutare Annamaria, e quello del vecchio miliardario (Carlo Bianco), la cui autorità, derivatagli dal denaro, recupera Annamaria a quel mondo di convenzioni sociali borghesi da cui stava per essere esclusa. E' proprio dal sistema di relazioni che si vengono così a stabilire tra la donna e i due personaggi che la figura della protagonista riceve una dimensione completa, lontana dalla tipologia degli "umiliati e offesi" entro cui il cinema di Lattuada si trova spesso costretto. La lontananza dal suo ambiente e la vicinanza della figlioletta le fanno desiderare a poco a poco la normalità di una vita esemplificata dal lavoro e dalla casa che il sindaco tenta di procurarle; al tempo stesso, la frequentazione dell'ambiente della spiaggia e dell'albergo, dove ogni atto o parola è regolato da un rigido canone di vita borghese, le fa intravedere la possibilità di una esistenza non più ai margini della societa, ma dentro di essa. Nell'ultima sequenza Annamaria, una mano alla bambina e l'altra ai bagagli, abbandona l'albergo; la macchina da presa la segue con una lunga carrellata da destra verso sinistra mentre cammina per il lungomare, additata dalle signore di cui prima era amica, e con a fianco il sindaco imbarazzato per non averla potuta aiutare. Incrociano il percorso del miliardario che offre il braccio a Annamaria: dopo un attimo di esitazione la donna accetta di tornare con lui in albergo, decretando con l'abbandono il fallimento dei buoni propositi del sindaco. La macchina da presa, questa volta con una carrellata in direzione inversa alla precedente accompagna Annamaria sottobraccio al miliardario mentre riceve i saluti ossequiosi di coloro che un momento prima l'avevano disprezzata. La battuta finale rivolta alla piccola Caterina ('D'ora in avanti, ti saluteranno tutti!'), chiarisce il senso di un desiderio realizzato, espresso in una delle prime sequenze del film, quando Annamaria vede sfilare sotto la sua finestra le signore con il marito o l'amante a braccetto e si rivolge a Caterina dicendo: "Tu dovrai essere bella e rispettata, una signora vera". L'ingresso nell'albergo a fianco del miliardario reimmette Annamaria e la bambina in quel mondo di convenzioni borghesi da cui era stata momentaneamente estromessa in seguito alla scoperta della sua vera identità. La preoccupazione di Lattuada e degli sceneggiatori è quella insomma di sottrarre la protagonista al ruolo positivo quanto banale di "vittimadella-società-borghese", e quindi quello di presentarne la scelta finale come una decisione tormentata e sofferta, che attraverso la lucida accettazione di un compromesso rivela la volontà di continuare a vivere, in ogni caso, dentro quel mondo.
Claudio Camerini, Lattuada Il Castoro Cinema 1981

Critica (3):

Critica (4):
Alberto Lattuada
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