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ACAB


Regia:Sollima Stefano

Cast e credits:
Soggetto: dal romanzo omonimo di Carlo Bonini;sceneggiatura: Daniele Ceserano, Barbara Petronio, Leo­nardo Valenti; fotografia: Paolo Car­nera; montaggio: Patrizio Marone; musica: Mokadelic; scenografia: Paola Comencini; costumi: Veronica Fragola; interpreti: Pierfrancesco Favino (Cobra), Filippo Nigro (Negro), Marco Giallini (Adriano detto Mazinga), Andrea Sartoretti (Carletto), Roberta Spagnuolo (Maria), Nick Nicolosi (il direttore di scuola). Produzione: Riccardo Tozzi, Giovanni Stabilini, Marco Chimenz per Cattleya/Babe Films/ Fastfilm/Rai Cinema; distribuzione: 01; origine: Italia/ Francia, 2012; durata: 90'.

Trama:Cobra, Negro e Mazinga sono celerini e ‘fratelli’ dentro gli stadi, lungo le strade e intorno alle piazze che ‘ripuliscono' la domenica dagli ultras e i giorni in avanzo dai clandestini, dagli sfrattati, dai delinquenti e dalle prostitute. I tre agenti provano sul campo cosa vuol dire essere odiati - A.C.A.B. è infatti l'acronimo di 'All Cops Are Bastards' (tutti gli sbirri sono bastardi), motto del movimento skinhead inglese degli anni 70, diventato negli anni un richiamo universale alla guerriglia urbana. (Co)stretti tra le logiche dello Stato e l'odio della comunità, i poliziotti del Reparto Mobile assorbono dosi di rabbia e producono violenza legalizzata contro la violenza cieca dei tifosi dei sassi e delle lame. Uomini invisi, mariti congedati, padri inadeguati, Cobra, Negro e Mazinga provano a dimenticare il privato dolente nella cosa pubblica, picchiando duro chi minaccia l'ordine e la nazione. Dentro la divisa e dietro la visiera guardano la miseria del mondo e i miserabili che la abitano senza intenzione se non quella della prepotenza e della sopraffazione. Compromessi dalla ‘spedizione genovese' e perduta l'anima nella scuola Diaz, sei anni dopo cercano il riscatto nell'azione e nell'istruzione alla fratellanza di un giovane agente individualista e ribelle. Spina, eccitato dal sangue e iniziato col lacrimogeno, seguirà gli anziani sul confine, decidendo per sé e per la divisa che indossa un domani meno celere. Sulla strada restano i fratelli maggiori. Assediati dal buio, impugnano il manganello e sollevano gli scudi, sfollando le ombre e ricacciando i fantasmi. Attraverso le loro storie vengono ripercorsi importanti episodi della cronaca italiana degli anni 2000 in un cortocircuito che si rifletterà nel lavoro e nelle vite private di tutti loro.

Critica (1):Quel «Celerino figlio di puttana...», scandito in crescendo, nell'incedere della notte, da un motociclista nella periferia romana, è da leggersi a mo' d'invocazione come l'epica vuole e comanda. Siamo in presenza di un proemio, dove, attraverso un serrato montaggio alternato, facciamo la conoscenza dei principali personaggi e del tema che dovranno supportare. Un incipit in medias res, strutturato su una disgiunzione quasi episodica; frammenti che, assemblati, restituiscono l'immagine di un'umanità marginale, avente a che fare con chi, per obbligo o per scelta, ha oltrepassato la soglia della legalità. Dopo il proemio e prima di iniziare la narrazione degli eventi, sulle note di Seven Nation Army lungo i titoli di testa, i personaggi precedentemente presentati – Negro, Mazinga e Cobra –, vengono riproposti in un contesto e con una divisa che permette, ora, la loro immediata riconoscibilità: membri del Reparto Celere. La scelta del modello epico da ado­perare come riferimento strutturale risulta valido anche per il prosieguo del film. ACAB – ispirato al libro-­inchiesta del giornalista di «Repub­blica» Carlo Bonini – è una narrazione epica perché riguarda un'im­presa che nel suo sviluppo assume via via i contorni della guerra, dell' anabasi, della lotta per la sopravvivenza, sempre però all'interno di conflitti più vasti, riguardanti le sorti di un'intera Nazione. Ciò che emerge è il ritratto di un paese lacerato, afflitto da una povertà che avanza, scoraggia e alimenta tensioni xenofobe. Condannato alla deca­denza; sorte rintracciabile nel crescente degrado etico ed estetico. A fare da argine a una tensione mon­tante, sfociante in molteplici articolazioni – episodi di guerriglia urbana al di fuori degli stadi; occupazioni abusive e conseguenti sfratti coatti; fenomeni di microcriminalità con­nessi a casi di immigrazione clandestina –, ci sono loro, i celerini. I servitori dello Stato, traditi dalle istituzioni, perché incuranti delle loro necessità; che trovano forza solo all'interno di dinamiche cameratesche aventi come fine unico la difesa del gruppo cui si appartiene, la fedeltà ai propri fratelli, e l'annichilimento materiale di coloro che li minacciano. Per evidenziare questa logica autoconservativa il regista, Stefano Sollima, ci mostra i celerini procedere compatti come una testuggine per meglio sopportare gli attacchi mossigli contro da più fronti. ACAB è leggibile come un'epopea perché è una narrazione collettiva, che prende a prestito il punto di vista di un "Io" molteplice. È la sommatoria di tante storie secondarie confluenti in un unico coro. Le vicende personali dei protagonisti non sono mai al centro di tutto, ma influiscono sull'azione generale in modo sghembo. Questo ripiegamento sul privato è però un'operazione eticamente scorretta, perché porta a rivalutare personaggi dalla morale pubblica discu­tibile. Attraverso il racconto delle loro difficoltà quotidiane si arriva a concedere un'attenuante agli episodi di abuso di potere di cui questi si rendono responsabili. Un'operazione controversa che diventa addirittura deplorevole nel momento in cui la stessa tolleranza non viene concessa a chi, di volta in volta, viene a rappresentare la controparte della celere. Il "nemi­co" è una figura delineata senza sfumature, disegnato con nettezza, proposto da Sollima in maniera monodimensionale. Stilisticamente non c'è polarità, contrappunto, diversità di punti di vista. Con eguale pressapochismo il film abbozza tentativi di riflessione cronachistica. Continui riferimenti a fatti recenti – lo stupro e l'omicidio di Giovanna Reggiani per mano di un romeno, gli omicidi Raciti e Sandri durante gli scontri negli stadi – potrebbero far credere che ACAB voglia star dentro la densità del presente, nei luoghi dello scontro sociale, per raccontarne le contraddizioni e i lati oscuri. Ma è tutto tristemente risolto per mezzo d'una greve battuta in romanesco: «La Diaz... la più grossa stronzata della nostra vita, 'na macelleria messicana».
Matteo Marelli, Cineforum n. 511, 1-2/2012

Critica (2):Come tritolo a forma di matrjoska che contiene, l'una dentro l'altra, tante grandi e piccole polveri per potenziali deflagrazioni. La scintilla è ovunque, lo scoppio un attimo. La società e i suoi sottoinsiemi, i poteri forti e le frange estremiste, l'ordine e il disordine, i tonfa della polizia, manganelli come acciaio con impugnatura a forma di T, e le catene, le bombe carta i coltelli e i sampietrini dei ribelli. L'Italia del crimine organizzato, degli ultras da stadio, del nerbo a volte sanguinario dei tutori dell'ordine. La Grande Matrijoska dei Cen­tri Sociali, dei movimenti politici giovanili, delle periferie degradate si declina in una parola, Acab, che trattiene in sé il mondo visto davanti e dietro la visiera trasparente del casco di un celerino: da una parte chi deve tutelare, dall'altra chi nella tutela non crede perché la vita è già disordine costituito. Acab come All Cops Are Bastards cioè Tutti i Poliziotti Sono Bastardi, grido di battaglia dei vecchi rocker skin anni '70 poi mascherati da skinheads nelle periferie cementate e da hooligans e ultras nostrani negli stadi violenti, diventa un film in uscita il 27 gennaio con Pierfrancesco Favino, Marco Giallini e Filippo Nigro diretto da Stefano Sollima. Si tratta della vera storia dei «celerini bastardi, Drago, lo Sciatto e del loro capo, il vicequestore Michelangelo Foumier» raccontata dal giornalista Carlo Bonini nel suo roman­zo Acab, appunto, uscito nelle librerie nel 2009 edito da Einaudi. (...) «In nessun modo né il libro né il film hanno intenzione di giustificare la violenza – sottolinea Favino –. Piuttosto vogliono mostrare il sentimento di impotenza e di immobilità in cui viviamo che viene alimentato da tante cose: dai media e probabilmente anche dalla situazione economica ma in generale da una insofferenza nei confronti dell'altro, della nostra cultura individualista». E allora è possibile che il potente diventi succube, il forte debole e il rivoluzionario una sorta di conformista d'accatto. Drago il celerino, neofascista del Terzo Millennio, la domanda infatti se la pone: «A noi il culo chi ce lo parerà se le cose andranno storte?» così come, dall'altra parte della visiera, il rapper Saga, una volta detto Saga er Secco di Tor Bella Monaca, cantava in Roma per bene: «E noi? Nel quartiere tra palazzi e botte, tra spaccio e mignotte, paura quando è notte, ma poi a chi è che fotte?». Nel libro e nel film si ripercorrono fatti di cronaca che hanno segnato a sangue l'Italia degli ultimi anni. Perché dunque lasciare fuo­ri la macelleria del G8 di Genova, la notte dei coltelli e della guerra all'Olimpico nella giornata dell'omicidio, da parte di un agente, del tifoso laziale Gabriele Sandri, l'assalto militare degli ultras ad una caserma della capitale, la caccia al romeno nelle periferie, gli scontri della discarica di Pianura, i Cpt per immigrati clandestini carne di nessuno? «Acab è un punto di vista – spiega Bonini – forse addirittura scomodo ma necessario per entrare in uno dei mali della nostra civiltà: lo scontro ormai costante tra ordine costituito e gioventù, tra forze dell'ordine e aggregazioni giovanili». Ma c'è molto di più in Acab. In una parola, il bisogno di sbattere in faccia al lettore e allo spettatore la violenza di una società senza più regole che cerca di tenersi a galla come può. (...) Favino ha il suo punto di vista: «Ho sempre creduto – dice l'attore – che la cultura possa fare molto per l'individuo. In realtà sociali difficili è utile costruire delle persone attraverso la consapevolezza di sè. La cultura – conclude Favino – può farti scegliere ciò che ti piace e che non ti piace, farti diventare consapevole di quello che sei e che non sei e soprattutto di ciò che non vorresti mai essere».
Leonardo Jattarelli, Il Messaggero, 16/1/2012

Critica (3):Cobra» e «Mazinga» da oggi hanno i volti familiari di Pierfrancesco Favino e Marco Giallini (che abbiamo già visto insieme nel film-cult ispirato al romanzo di Giancarlo De Cataldo e diretto da Michele Placido, Romanzo criminale). I due attori sono infatti due «celerini» protagonisti del film Acab - All Cops Are Bastards (tutti i poliziotti sono bastardi), tratto dall'omonimo romanzo del giornalista Carlo Bonini (...), per la regia di Stefano Sollima, che al suo attivo ha il successo della serie tv Romanzo criminale. (...) Dodici anni di storia italiana violenta, quella che va dai fatti del G8 di Genova nel 2001 all'uccisione di Raciti in Sici­lia, del tifoso Sandri, fino agli scontri con gli ultras romani, vista attraverso gli occhi di tre poliziotti del reparto speciale mobile di Roma (con Favino e Giallini è anche Filippo Nigro). «II film è perfettamente rispondente al mio libro» – ha detto l'autore, mentre il regista ha precisato di non aver voluto fare un film da cui trarre una morale e stabilire chi sia il buono e chi il cattivo, ma semplicemente un film di genere, come quelli che si face­vano negli anni Settanta o che sono all'ordine del giorno nel cinema americano, «infatti non credo che qualcuno possa pensare di emulare i protago­nisti una volta visto il film».
«Il film non tifa per nessuno – ha evidenziato Favino, sottolineando la sua completa divergenza rispetto a comportamenti e ideologie del suo per­sonaggio – ma vuole raccontare quello che accade, senza preconcetti e senza altri fini». Un film che invece, ancor prima di uscire in sala ha susci­tato diverse polemiche, solle­vate sia dagli organi di polizia, che dai tifosi ultras, ma anche da alcuni esponenti dei centri sociali, mondi lontanissimi tra loro, eppure questa volta uniti dalla volontà di non essere indagati, raccontati. Mondi che sia il regista che gli attori hanno ammesso di non aver co­nosciuto (salvo le notizie che appaiono quotidianamente in cronaca) fino a quando non ne sono entrati a stretto contatto per girare il film.
«Giusto o sbagliato che sia, noi abbiamo davvero toccato con mano cosa significa lo "spirito di corpo", stando al loro fianco per intere settimane» – ha detto Favino, e Giallini ha aggiunto: «Per farci entrare veramente nei personaggi i poliziotti che hanno fatto adde­stramento con noi prima delle riprese, ci lanciavano i petardi sotto i piedi». (...)
Maria Grazia Rongo, La Gazzetta di Bari, 27/1/2012

Critica (4):È uno dei film più attesi dell'anno, Acab – ma per motivi diversi, non tutti gradevoli. È atteso perché è il primo lavoro importante per il cine­ma di un regista, Stefano Sollima,
che è un figlio d'arte (suo padre è il grande Sergio di Sandokan, di Faccia a faccia, di Corri uomo corri) e negli ultimi anni ha sfondato dirigen­do la serie tv Romanzo criminale, divenuta ancora più cult del film di Michele Placido. Ma è atteso anche perché l'acronimo A.C.A.B., che sta per «all cops are bastards» (tutti i poliziotti sono bastardi), viene dagli ambienti giovanili inglesi e in Italia ha preso piede soprattutto nelle curve degli stadi. È lì che si creano, ogni domenica, alleanze trasversali contro gli «sbirri», ed è lì che il film di Sollima è atteso con astio, perché si è sparsa la voce (scorretta) che sia un film «dalla parte» dei celerini. Tanto che alcune testate calcistiche hanno deciso di boicottarlo e in alcune curve sono comparsi striscioni che lo attaccano a prescindere. Tutto, ovviamente, senza averlo visto. Il che, in Italia, è normale.
Voi non fatevi fregare. Vedetelo. Prima di tutto perché è un bel film. E poi per poter argomentare un vostro eventuale dissenso. Acab, trat­to dal libro omonimo di Carlo Bonini, è un film che racconta la vita dei poliziotti «dal di dentro». Ma in modo tutt'altro che elogiativo o politicamente corretto. I protagonisti sono uomini duri, che vivono il servizio domenicale allo stadio come una nuova frontiera; che sviluppano una solidarietà reciproca virile ed estrema, sconfinante nella logica del branco; ma senza divisa sono soli, fragili, violenti – e del tutto incapaci di confrontarsi con gli affetti, le donne, i sentimenti. Il film li rappresenta per quello che sono, senza giudicarli: sono fascisti in senso antropologico più che politico, ma non possono sopportare che il figlio di uno di loro frequenti l'estrema destra perché questo lo rende automaticamente un nemico.
Marco Giallini, Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro e Domenico Diele interpretano questi celerini antieroi con un'adesione fisica e psicologica totale. Acab è l'interes­sante tentativo di fare un film di genere italiano con ritmi e stile americani. Tentativo riuscito. Non piacere agli ultras, poi, può essere una medaglia.
Alberto Crespi, L’Unità, 27/1/2012
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