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A ciascuno il suo


Regia:Petri Elio

Cast e credits:
Soggetto
: dall'omonimo romanzo di Leonardo Sciascia; sceneggiatura: Elio Petri, Ugo Pirro; fotografia: Luigi Kuveiller; musiche: Luis Enriquez Bacalov; montaggio: Ruggero Mastroianni; scenografia: Sergio Canevari; interpreti: Gian Maria Volonté (Paolo Laurana), Irene Papas (Luisa Roscio), Gabriele Ferzetti (avvocato Rosello), Salvo Randone (prof. Roscio), Luigi Pistilli (Arturo manno, il farmacista), Maria Laura Nucci (madre di Paolo), Mario Scaccia (curato di Sant'Amo), Leopoldo Trieste (deputato comunista), Luciana Scalise (Rosina), Gianni Pallavicino (Ragana), Franco Tranchina (dottor Antonio Roscio), Anna Rivero (signora Manno), Orio Cannarozzo (Ispettore di polizia), Carmelo Olivero (arciprete); produzione: Giuseppe Zaccariello per la Cemofilm; distribuzione: Cineteca Lucana; origine: Italia, 1967; durata: 99’.

Trama:In un paese della Sicilia vengono uccisi due uomini: il farmacista Manno e il dottor Roscio. Le indagini della polizia concludono che gli assassini hanno agito per motivi di onore nei confronti di Manno e che Roscio è stato ucciso in quanto aveva assistito all’omicidio. Paolo Laurana, un professore di liceo, giunge invece alla conclusione che le persone incriminate sono estranee al fatto e che la vera vittima da colpire era Roscio e non Manno. Confida pertanto le sue deduzioni all’avv. Rosello, cugino della moglie di Roscio, ed a Luisa, la vedova del dottore. Laurana, coadiuvato da Luisa, prosegue nelle indagini e scopre un diario di Roscio nel quale si legge, tra l’altro, che questi voleva denunciare Rosello per alcune attività illegali. A queste rivelazioni Laurana comprende di aver confidato i suoi sospetti proprio al mandante dell’omicidio, ma non immagina che Luisa, innamorata di Rosello sin da bambina, sia complice nel delitto. Egli decide di denunciare Rosello, ma Luisa, apparentemente d’accordo con lui, lo tradisce e lo abbandona in un luogo solitario dove alcuni sicari lo raggiungono e lo uccidono. Finalmente al sicuro, Rosello e Luisa si sposano con grande fasto nella chiesa del paese.

Critica (1):Il film di Elio Petri, A ciascuno il suo, di risentito impegno civile, è del 1967; il romanzo di Leonardo Sciascia, cui il film si riporta, è dell’anno prima. L’ambiente e la storia affondano nel clima sinistro della mafia siciliana, in un piccolo paese dell’interno, nelle afose giornate dell’estate 1964. In un breve arco di anni si rinserrano, precise, stringate, cronaca tra realtà e fantasia, scrittura letteraria con un senso di partecipazione diretta, pessimistica e dolente, a ruota di una puntigliosa documentazione, e traduzione cinematografica, nel segno di una austera, rabbiosa concretezza. Il giudizio critico sui delitti di mafia, sulle componenti sociali ed economiche del fenomeno, sono già nel libro di Sciascia, a continuazione e conferma di uno studio assiduo e documentato che prende avvio dai racconti siciliani di Le parrocchie di Regalpetra (1956), ma irrompe e matura soprattutto agli inizi degli anni Sessanta con Il giorno della civetta. Dopo cinque anni Sciascia è ancora là, addosso alla mafia, dentro ai suoi tenebrosi disegni e risvolti. La reazione morale e la struttura narrativa sono dunque già in Sciascia, ma è tutta di Petri la dinamica forma espressiva, la tensione sociale al di là del pittoresco e del folclorico, il gioco suggestivo tra suspense e polemica, tra dramma e ideologia. Come nel suo film d’esordio, L’assassino (1961), anche qui il soggetto nasce dal torbido clima di un «contesto» sociopolitico legato ad alcuni fatti mafiosi, vischiosamente torpidi e crudeli, frutto di omertà, di silenzi, di intrallazzi, di camarille borghesi.
A ciascuno il suo è una «tranche de vie», su una Sicilia non letteraria, arcaicamente ferma a consuetudini di prepotenza borbonica e di privatismo assoluto, dove anche i morti, anche gli adultèri, sono strumentalizzati da una forma paternalistica di potere. Un farmacista, Manno, e il suo amico, Roscio, vengono assassinati: Manno era un donnaiolo, riceveva di frequente minacciose lettere anonime, forse gli hanno voluto fare la festa. Nessuno, tanto meno la polizia, sospetta che Manno era solo un paravento: si voleva invece uccidere proprio il suo compagno, e lo si è fatto. La cronaca nera parla piuttosto di donne, di corna, di gelosie, e la gente comodamente asseconda le dicerie. Soltanto un professorino, Paolo Laurana, un po’ astratto, un po’ nevrotico, un po’ curioso, vuole vederci chiaro, andare sino in fondo. Crede di essere un crociato, un pioniere della verità, ma al primo incontro con la vedova Roscio, è già dentro nella trappola. La donna, elegantissima, con la morbida grazia matura dei suoi quarant’anni, sembra promettere tenerezze e piaceri d’amore, ma è solo un’esca. Dietro, vigila un cugino, avvocato, pieno di relazioni politiche, di prebende, di cariche, di stima collettiva. Il professorino ci lascia la pelle, come un cretino, e l’avvocato si sposa la cugina vedova, in una festosità aperta, pomposa, serena. Le posizioni gerarchizzate si rimettono in sesto, il bruscolo è stato eliminato, senza fatica, e il sole torna a battere, dolce e intenso, sui paesaggi e sugli uomini.
Elio Petri insiste con ossessiva tensione su questa luce, ci insinua la morte, il nero tragico che si avviluppa attorno agli ingenui che non sanno ragionare e pensano che gli uomini possano aver camminato insieme alla storia. II ritmo del film è affannoso, rabbiosamente attento sui volti, sui dettagli, sui colori; la fotografia lavora intensamente vivida, con gli zoom che si scaraventano sulle cose e vi si slontanano quasi smagati, con i teleobiettivi che si illudono di captare a distanza un guizzo, un estro, di una verità che scotta. E dentro questo clima, la recitazione è superba, di tutti, dei comprimari, delle figurine di contorno che non dicono una battuta ma sanno tutto sulla morte di un uomo, dei protagonisti, una Irene Papas malinconicamente magnifica e attraente, un Gabriele Ferzetti mafioso borghese di proterva sicurezza, un Gian Maria Volonté nevrotico, febbrile, quasi un emblema di civiltà nuova, in progress ma ancora troppo fragile e debole per non conoscere, inevitabilmente, la sconfitta e la morte.
Alberto Pesce, Cineproposte, La Scala, 1978

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Elio Petri
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