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Incidente (L') - Accident


Regia:Losey Joseph

Cast e credits:
Soggetto: dal romanzo omonimo di Nicholas Mosley; sceneggiatura: Harold Pinter; fotografia: Gerry Fisher; musiche: John Dankworth; montaggio: Reginald Beck; scenografia: Carmen Dillon; costumi: Beatrice Dawson; effetti: George Humphries; interpreti: Dirk Bogarde (Stephen), Stanley Baker (Charley), Jacqueline Sassard (Anna), Michael York (William), Vivien Merchand (Rosalind), Delphine Seyrig (Francesca), Ann Firbank (Laura), Brian Phelan (sergente di polizia), Terence Rigby (poliziotto in borghese), Nicholas Mosley (Don Hedges), Alexander Knox (il rettore), Harold Pinter (Mr. Bell), Freddie Jones, Jane Hillary; produzione: Joseph Losey, Norman Priggen per Royal Avenue ChelseaLondon Independent Producers; distribuzione: Cineteca Lucana; origine: Gran Bretagna, 1967; durata: 105’.

Trama:Stephen, professore di filosofia all'Università di Oxford, sposato con figli, è attratto dalla bellezza di Anna, una studentessa d'origine austriaca fidanzata con un allievo di Stephen, William. L'attrazione che Stephen prova per Anna è più che altro determinata dal suo terrore d'invecchiare e perciò dalla disperata ricerca di aggrapparsi a qualcosa che lo faccia sentire ancora giovane. Questo stato d'animo di Stephen si trasforma gradatamente in livore e in invidia quando scopre che Anna è l'amante di Charley, un insegnante suo amico e coetaneo. Ma Anna e William decidono di sposarsi e una sera si recano in macchina da Stephen, rimasto solo in casa, per chiedergli un consiglio. Nei pressi della villa, l'auto esce di strada e William resta ucciso sul colpo. Stephen nasconde Anna in casa, dichiarando alla polizia che William era solo alla guida della macchina, poi, ormai sconvolto dalla passione che lo tormenta, approfitta di Anna, ancora in stato di choc. Il giorno dopo Anna lascia l'Università per tornare in Austria, e tutto, ma solo in apparenza, riprende la sua abituale fisionomia.

Critica (1):Mentre Broadway sta consacrando il successo di The Homecoming e i critici riconoscono in Harold Pinter il maggior commediografo inglese della sua generazione, arriva sui nostri schermi l'ultimo frutto della sua collaborazione con il regista Joseph Losey. L'incidente si potrebbe far rientrare in quel gruppo di commedie di Pinter che, come rileva il critico John Russell Taylor, «sono studi sulla vita coniugale tra gente ricca, colta ed educata, che trattano dell'ambiguità dell'esperienza, dell'impossibilità di conoscere a fondo una persona, dei misteri delle motivazioni individuali, della possibilità che le cose siano vere e false al tempo stesso...» L'aneddoto è semplice: riguarda la sbandata di due professori di mezza età, Dirk Bogarde e Stanley Baker, per una giovane studentessa amata anche da un coetaneo, Michael York. La ragazza è Jacqueline Sassard, silenziosa e ambigua, stupendamente fotografata. L'incidente è immerso in un colore che ne sottolinea i significati riposti, un po' come accade in Blow Up di Antonioni. Certo, non funzionerebbe allo stesso modo senza il vibrante pallore della Sassard, senza il tenero del paesaggio provinciale e i rossori d'aragosta sui volti dei borghesi pieni di alcool alla fine di un georgico weekend. Il colore di Losey ha una sua carica d'ironia eversiva, forse di compianto per un mondo dove i valori avevano una gradazione assoluta: entra nel discorso come un elemento risolutivo, rinvigorisce e svecchia gli aspetti consueti della vicenda. Premiato a Cannes con un riconoscimento speciale della giuria, laureato dalla critica internazionale, L'incidente è un film destinato a restare nel ricordo come un'opera perfettamente in equilibrio fra tradizione e novità, radicata con discrezione e ferocia nella zona d'ombra dell'animo umano.
Tullio Kezich, Il Millefilm 19671977, Ed. Il Formichiere,1977



La vicenda raccontata nell'Incidente verte sull'attrazione provata da tre uomini appartenenti all'ambiente oxfordiano, due professori e uno studente, per una studentessa straniera. Eppure questa ragazza non è dotata di una bellezza sconvolgente, è solo giovane, aristocratica (elemento che le conferisce naturalmente un'aura di particolare quanto vago prestigio), e ha un atteggiamento ambiguamente intrigante, invitante e distante nello stesso tempo. Ma, come in un gioco di specchi, il desiderio per l'oggetto aumenta quanti più soggetti desideranti sono coinvolti, e quest'oggetto assume un valore tanto più rilevante per il soggetto quanto più è elevato il prestigio che egli attribuisce al mediatore o ai mediatori che glielo contendono. L’attenzione di Stephen si punta ossessivamente su Anna solo dopo che i suoi modellirivali, prima William e poi (e soprattutto) Charley, ne fanno l'oggetto del loro interesse sessuale.
Ovviamente, Stephen, come tutti coloro che sono incapaci di desiderare spontaneamente, è un personaggio privo di stima di sé, incapace di mettersi in gioco e di esporsi alla perdita del suo benessere esteriore, delle sue conquiste borghesi, nonostante queste (la casa, la famiglia, il lavoro) non lo soddisfino veramente ed egli covi dentro di sé un bruciante senso di frustrazione.
Per quanto sottilmente provocato da Anna, egli non si lascia andare alla confessione dei suoi sentimenti per lei, non si mette in gioco contro i suoi rivali, ma si accontenta di assistere a questo gioco, e maschera la sua impotenza psicologica con una mancanza di coinvolgimento che è lontanissima dalla realtà. Così si presta a un ruolo di intermediario che gli altri gli affidano a turno, e che lui asseconda fino alla sera dell'incidente, quando la situazione favorevole gli permette di uscire allo scoperto (per modo di dire, poiché è da solo e nessuno saprà quello che succede) e di imporsi nel modo più vile alla ragazza.
Ma, ovviamente, l'importanza di questa condizione di affermazione è secondaria rispetto alla soddisfazione per la sconfitta subita dai rivali nella vicenda.
La morte di William rivela il peso dell'invidia, generazionale e sociale, nel rapporto che lega il professore allo studente. Morto William (ed è stato giustamente notato come l'incidente sembri una proiezione di un desiderio di Stephen, che insiste più volte col giovane sul legame tra gli aristocratici e la morte), Stephen riesce a mettere finalmente le mani sulla ragazza dei suoi sogni.
Ma la soddisfazione maggiore gli deriva dall'umiliante disfatta del suo principale modello-rivale, Charley, colui che nel corso di tutta la vicenda non esita a prendersi con protervia tutto quello che vorrebbe, e forse proprio perché lo vorrebbe, anche l'amico (che d'altra parte non esita a delegargli psicologicamente quella capacità di agire che lui, in condizioni normali, non sa trovare). Charley, alla fine, perde tutto quello per cui si era messo in gioco, sbattendo impietosamente la faccia sul nulla della propria conquista, e proprio davanti a Stephen. Il quale, invece, potrà tornare, dopo l'incidente e la notte con Anna, alle false sicurezze nonché al vuoto della sua situazione.
Quanto ad Anna, sembra per buona parte della vicenda un elemento passivo del gioco, finché ad un certo punto non rivela chiaramente la propria volontà e capacità manipolatoria: sottilmente ma inequivocabilmente provocatoria nei confronti di Stephen, ha una relazione con Charley mentre è legata a William, e anche se sembra coinvolta nella storia con il professore (che per lei ha abbandonato moglie e figli), scopriremo che non lo è affatto quando, comunicando a Stephen di essere in procinto di sposarsi, gli domanderà cinicamente di farle da messaggero, e di annunciare la notizia all'amante in vece sua. Dopo la morte di William, lei se ne tornerà da dove è arrivata senza neanche aspettare i funerali, e senza fornire a Charley alcuna spiegazione. Anna è una figura libera da coinvolgimenti emotivi reali con chicchessia, indossa il suo abito di indifferenza con determinazione, sparisce dopo aver seminato il disordine attorno a sé: esce di scena in qualche modo da "vincente", poiché si sottrae al gioco. (...)
Elisabetta Mustillo, “Il mondo secondo Losey e Pinter”, in Cinemasessanta n. 296, aprile/giugno 2008

Critica (2):Ricostruendo cronologicamente la fabula, il film prende l'avvio dall'arrivo nell'ambiente di una università inglese di una studentessa, Anna, nobile e di nazionalità austriaca. Si innamorano di lei, nell'ordine, William (giovane stu­dente aristocratico), Stephen (insegnante frustrato, "felicemente" sposato, con un figlio ed un altro in arrivo) e Charles (insegnante e donnaiolo di successo). Anna flirta con William, ha una relazione con Charles e infine (dopo l'inciden­te) viene quasi violentata da Stephen. Quando, dopo aver deciso di lasciare Charles, annuncia a Stephen il suo matrimonio con William, Stephen propone ai due di andarlo a trovare la sera stessa: è proprio davanti alla sua villa che avviene l'incidente in cui William perde la vita. Ed è qui che inizia il film.
Accident è il secondo film di Losey cui collabora Pinter e questo ripropone la questione di una attribuzione di "valori". In ogni caso premettiamo di non condividere assolutamente l'ipotesi per cui il miglior Losey sia prodotto da Pinter. Ma ciò non risolve la questione. Si può affermare, paradossalmente, che l'uomo di teatro Pinter contribuisce ad eliminare tutte le ansie declamatorie che, anche in tempi più recenti, hanno ingombrato e ingombrano l'opera di Losey: proprio con Pinter, infatti, viene a cadere il dominio della parola piena, distintamente scandita ed in sé univocamente significante. Con Pinter (ma senza che il merito sia necessariamente suo, trattandosi letteralmente di una coincidenza) si apre alla significazione tutto lo spazio del non detto, il riverbero che si dirama dalle parole, l'effetto di eco e di risonanza che si produce attorno alle frasi. allora sono i silenzi a parlare, i vuoti del discorso, i suoni che popolano le pause.
Ma fino a che punto agisce questa coincidenza e non quella, più ampia, che vede convergere l'opera di Richard McDonald, di Gerry Fi­scher, di Dirk Bogarde e di Stanley Baker? Il metodo loseyano è contro ogni logica di autore, non può dare i risultati migliori altro che attraverso una collaborazione attenta e profonda. In questo senso, il contributo dello sceneggiatore di Pinter è determinante, ma probabilmente non più degli altri. Tuttavia, ancora paradossalmente, la struttura di Accident è piena­mente teatrale: sia perché la connotazione claustrofobica di tanto cinema loseyano (qui suggerita nella moltiplicazione degli spazi) rinchiude i perso­naggi nel grigiore e nella fissità di ruoli sociali inevadibili; sia perché, dalla vacuità e dall'angustia dei rispettivi ruoli, ben al riparo all'interno di essi, ogni personaggio «appare ben deciso a trarre dalle situazioni il massimo vantaggio, cercando al tempo stesso di mantenere salva la propria dignità» (Zanarini): vale a dire, una storia di maschere e di scollamenti fra maschere e corpi.
L'agente responsabile di questi scollamenti è Anna, la studentessa­principessa austriaca. Funziona da elemento perturbatore di un ordine bene o male stabilito: è attorno alla sua presenza che si modellano i comportamenti e le patologie degli altri personaggi. Anna è nell'occhio del ciclone, ma non sembra preoccuparsene: in fondo, è solo un messaggero; porta il caos senza viverlo. Gli altri, che del ciclone subiscono le conse­guenze, finiscono per perdere le maschere che solitamente costituiscono l'ordine dei loro rapporti. Di fronte all'attraversamento quasi assente di Anna, un mondo si sgretola e a pagare sarà forse il più "innocente" di tutti, William. Le radici di questa deflagrazione (ancora una implosione, più che una esplosione) sono anche da ricercare nel sesso, come sottolinea Porro, ma solo in quanto il sesso compare e funziona come motore di rapporti più complessi e più ampi. (...)
I tre personaggi qui schematizzati compongono una situazione in sostanziale equilibrio: ciò che viene a cadere in Accident è la multiforme incertezza che trainava la fiction in The Servant. Qui la fissità dei ruoli non permette interscambi, il gioco tra i personaggi è sostituito dal gioco che ciascuno intesse con la propria immagine e che subisce una smarginatura solo per l'intervento, involontariamente seducente, di Anna.
Attorno a loro, lo spazio, l'ambiente: Oxford, grigia e costellata di bassorilievi inamovibili; il canale monotono sul quale i cigni vengono accostati al remo che penetra nell'acqua e alle ginocchia di Anna; la casa di Stephen, a due piani, conformista e ben difesa da un recinto, nella quale i quattro protagonisti del dramma si daranno incruenta battaglia, conservando ognuno la propria immodificabile posizione. Proprio in questa sequenza della partita a tennis si sottolinea la non scambiabilità dei ruoli; la rete del campo (ma anche quella esterna di recinzione), attraverso la quale la mdp inquadra i personaggi, è simbolicamente la rete che li avviluppa e li divide lasciandoli, uno per uno, inesorabilmente soli. Questa partita a tennis è del tutto diversa dal gioco sulle scale di The Servant, ma anche dall'Eaton Ball Game che Stephen è costretto a giocare sotto le pressioni di William. Nel rigore di un cerimoniale aristocratico e inflessibi­le, Stephen e William danno sfogo a tutta la violenza che proprio la ritualità ha il compito di nascondere, reprimere e accumulare. Le maschere saltano, ma solo in nome della festa, cioè di un'altra forma di mascherari­tuale: «la festa non significa, necessariamente, la sospensione dei divieti, e tuttavia durante la festa, in tempo di festa, si permettono o si esige che si compiano atti di regola vietati» (Bataille).
Veniamo, infine, all'incidente che dà il titolo al film. Si potrebbe anche pensare che non sia necessariamente quello " meccanico " in cui William trova la morte. In fondo quest'ultimo conclude la fabula e propizia lo scioglimento finale (Anna riparte e la monotonia della vita coniugale di Stephen riprende, con un carrello identico a quell'iniziale); ma, nella realtà del film, questo incidente non chiude, bensì apre il film, introducendo uno scarto cronologico che costituisce, probabilmente, il côté maggiormente inedito dell'opera (in tal caso il vero incidente sarebbe l'arrivo-intrusione di Anna). Il vero lavoro di scomposizione di Losey non si effettua infatti tanto sullo spazio, qui duplicato in microspazi equivalenti, seriali, quanto sul tempo, attraverso il recupero di frammenti temporali sfalsati e l'uso, apparentemente inessenziale, dei tempi morti (sono anche questi, del resto, che contribuiscono a fare del décor un personaggio, che rimane in scena dopo che gli attori ne sono usciti). Ed è questa dissoluzione della cronologia a sottrarre alla classificazione temporale proprio l'incidente: esso è in apertura e in chiusura (la costante della circolarità), ma costeggia l'intero film con soprassalti e ritorni improvvisi, di cui vediamo peraltro solo i resti, le immagini ravvicinate che isolano il frammento senza restituirci l'evento.
Siamo dunque non nel campo dell'esibizioneproduzione, ma in quello della seduzione, della sottrazione all'ordine del visibile: tutto ciò che è importante è taciuto o solo intravisto fra le pieghe del discorso (forma di mistificazione-provocazione che rimanda alla sequenza iniziale di Blind Date, che riproduce l'incapacità della visione). L'incidente stesso è inevitabilmente negato, mascherato, intravisto fra le pieghe della lamiera che contengono un corpo estraneo, un frammento anch'esso (come in un puzzle): l'unico resto che manca all'appello nella chiusura circolare del film, il segno che qualcosa è mutato, malgrado tutto, e che la trasforma­zione è comunque una perdita.
Giorgio De Marinis, Gualtiero Cremonini, Joseph Losey, Il Castoro Cinema, 3/1981

Critica (3):La vicenda raccontata nell'Incidente verte sull'attrazione provata da tre uomini appartenenti all'ambiente oxfordiano, due professori e uno studente, per una studentessa straniera. Eppure questa ragazza non è dotata di una bellezza sconvolgente, è solo giovane, aristocratica (elemento che le conferisce naturalmente un'aura di particolare quanto vago prestigio), e ha un atteggiamento ambiguamente intrigante, invitante e distante nello stesso tempo. Ma, come in un gioco di specchi, il desiderio per l'oggetto aumenta quanti più soggetti desideranti sono coinvolti, e quest'oggetto assume un valore tanto più rilevante per il soggetto quanto più è elevato il prestigio che egli attribuisce al mediatore o ai mediatori che glielo contendono. L’attenzione di Stephen si punta ossessivamente su Anna solo dopo che i suoi modellirivali, prima William e poi (e soprattutto) Charley, ne fanno l'oggetto del loro interesse sessuale.
Ovviamente, Stephen, come tutti coloro che sono incapaci di desiderare spontaneamente, è un personaggio privo di stima di sé, incapace di mettersi in gioco e di esporsi alla perdita del suo benessere esteriore, delle sue conquiste borghesi, nonostante queste (la casa, la famiglia, il lavoro) non lo soddisfino veramente ed egli covi dentro di sé un bruciante senso di frustrazione.
Per quanto sottilmente provocato da Anna, egli non si lascia andare alla confessione dei suoi sentimenti per lei, non si mette in gioco contro i suoi rivali, ma si accontenta di assistere a questo gioco, e maschera la sua impotenza psicologica con una mancanza di coinvolgimento che è lontanissima dalla realtà. Così si presta a un ruolo di intermediario che gli altri gli affidano a turno, e che lui asseconda fino alla sera dell'incidente, quando la situazione favorevole gli permette di uscire allo scoperto (per modo di dire, poiché è da solo e nessuno saprà quello che succede) e di imporsi nel modo più vile alla ragazza.
Ma, ovviamente, l'importanza di questa condizione di affermazione è secondaria rispetto alla soddisfazione per la sconfitta subita dai rivali nella vicenda.
La morte di William rivela il peso dell'invidia, generazionale e sociale, nel rapporto che lega il professore allo studente. Morto William (ed è stato giustamente notato come l'incidente sembri una proiezione di un desiderio di Stephen, che insiste più volte col giovane sul legame tra gli aristocratici e la morte), Stephen riesce a mettere finalmente le mani sulla ragazza dei suoi sogni.
Ma la soddisfazione maggiore gli deriva dall'umiliante disfatta del suo principale modellorivale, Charley, colui che nel corso di tutta la vicenda non esita a prendersi con protervia tutto quello che vorrebbe, e forse proprio perché lo vorrebbe, anche l'amico (che d'altra parte non esita a delegargli psicologicamente quella capacità di agire che lui, in condizioni normali, non sa trovare). Charley, alla fine, perde tutto quello per cui si era messo in gioco, sbattendo impietosamente la faccia sul nulla della propria conquista, e proprio davanti a Stephen. Il quale, invece, potrà tornare, dopo l'incidente e la notte con Anna, alle false sicurezze nonché al vuoto della sua situazione.
Quanto ad Anna, sembra per buona parte della vicenda un elemento passivo del gioco, finché ad un certo punto non rivela chiaramente la propria volontà e capacità manipolatoria: sottilmente ma inequivocabilmente provocatoria nei confronti di Stephen, ha una relazione con Charley mentre è legata a William, e anche se sembra coinvolta nella storia con il professore (che per lei ha abbandonato moglie e figli), scopriremo che non lo è affatto quando, comunicando a Stephen di essere in procinto di sposarsi, gli domanderà cinicamente di farle da messaggero, e di annunciare la notizia all'amante in vece sua. Dopo la morte di William, lei se ne tornerà da dove è arrivata senza neanche aspettare i funerali, e senza fornire a Charley alcuna spiegazione. Anna è una figura libera da coinvolgimenti emotivi reali con chicchessia, indossa il suo abito di indifferenza con determinazione, sparisce dopo aver seminato il disordine attorno a sé: esce di scena in qualche modo da "vincente", poiché si sottrae al gioco. (...)
Elisabetta Mustillo, “Il mondo secondo Losey e Pinter”, in Cinemasessanta n. 296, aprile/giugno 2008

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