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Lebanon - Levanon


Regia:Maoz Samuel

Cast e credits:
Sceneggiatura: Samuel Maoz; fotografia: Giora Beach; musiche: Nicolas Becker; montaggio: Arik Lahav Leibovitz; scenografia: Ariel Roshko; arredamento: Chen Ohayon; costumi: Hila Bargirel; effetti: Pini Klavir; interpreti: Yoav Donat (Shmulik), Itay Tiran (Assi), Oshri Cohen (Hertzel), Michael Moshonov (Yigal), Zohar Strauss (Jamil); produzione: Metro Communications, Ariel Films; distribuzione: Bim; origine: Israele, 2008; durata: 94’.

Trama:Libano, giugno 1982. Un carro armato carico di armi e quattro giovani soldati avanza solitario dentro un villaggio, bombardato e abbattuto dall'Aviazione Militare israeliana. Assi è un comandante che non ha mai comandato, Shmuel un artigliere che non ha mai colpito, Herzl un servente al pezzo che non ha mai caricato una bomba e Yigal un pilota di un carro corazzato che non conosce destinazione. Impressionabili ed inesperti piangono e resistono dentro il “Rinoceronte” sferragliante, contro una guerra che non hanno voluto e un nemico che non vogliono condannare…

Critica (1):È il 6 giugno del 1982, primo giorno della Guerra del Libano. Shmulik, Assi, Hertzel e Yigal, quattro ragazzi israeliani poco più che ventenni, sono l'equipaggio di un carroarmato inviato in una cittadina libanese già bombardata dall'aviazione ma ancora popolata da miliziani e combattenti nemici. Da quel momento in poi per l'intera durata della pellicola vivremo un'intera giornata di guerra attraverso lo sguardo dell'equipaggio, non soldati, non macchine da guerra, ma quattro ragazzi spaesati e impauriti che vivono la battaglia allo stesso modo degli spettatori, un inferno in cui si trovano proiettati praticamente senza preavviso alcuno e senza via d'uscita.
La grandiosità di questo
Lebanon sta tutta qui, nel riuscire a riprodurre alla perfezione le sensazioni dei quattro protagonisti all'interno del carroarmato, la stessa sensazione di pericolo e di claustrofobia, l'impossibilità di sapere cosa realmente succede al di fuori di quella mortale trappola di ferro se non attraverso il telescopio del cannone.
La straordinaria fotografia di Giora Bejach riesce a regalarci la stessa visione meccanica e limitata che ha Shmulik, l'artigliere: ad infrarossi quando è notte, fatta di brusche zoomate avanti e indietro quando è alla ricerca di un possibile nemico, con lunghi movimenti rotatori quando perlustra l'area; tutto quello che viene al di fuori del carro lo vediamo solo attraverso l'occhio di Shmulik, con tanto di mano tremolante e pause causate dal panico e dall'esitazione tipica dell'inesperienza.
Il nemico è fuori, ne sentiamo gli spari, le urla, e quando lo vediamo è sempre troppo tardi per agire, quello che succede all'esterno non è altro che un incubo da cui è impossibile svegliarsi; ma anche l'interno del carro nasconde le sue tensioni, con un leader incapace di farsi rispettare, un killer tibutante nel sparare, un pilota che non ha mai guidato se non in condizioni ottimali e il sergente che dall'alto dei maggiori mesi di servizio cerca di imporre il proprio volere discutendo ogni singolo ordine. Quattro personaggi ben definiti dalla sceneggiatura dello stesso regista Samuel Maoz che ha potuto basarsi sulla propria autobiografia, scavando nelle memorie che per lustri aveva cercato di rimuovere. (…)
Luca Liguori,
movieplayer

Critica (2):Come è stato fare un lavoro così personale?
L'intero film si svolge all'interno del carroarmato mentre la guerra è vista solamente attraverso il mirino ed è stata creata dalla mia mente con l'intenzione di usare le memorie del mio soggetto, questo è stato il filtro attraverso il quale ho voluto raccontare la mia storia. Non voglio che il pubblico comprenda solamente il sentimento, ma voglio che lo provi, perché in questo caso ho avuto bisogno di creare questa situazione in cui metto il pubblico all'interno del carroarmato per farlo identificare completamente con il personaggio: vedi quello che vedono, sai quello che sanno, perché l'idea è che si vuole uno spettatore oggettivo che guarda di fronte a sè e che lo provi.

È sicuro che le sue memorie non l'abbiano ingannata?
Parlando degli eventi per esempio, alcune cose sono accadute, altre no. Non c'è un sentimento personale nel contesto documentaristico ma ci si trova nell'esperienza emozionale. Il timone degli eventi è di provvedere o di stabilire attorno alla storia centrale quella dei quattro personaggi principali, si tratta di una memoria emozionale. Lebanon è un sentimento personale contro la guerra con un orribile dilemma personale sulla volontà di sopravvivere di fronte alla propria morte, una situazione in cui il conflitto tra i propri istinti primari di sopravvivenza dove la morale umana distrugge la tua anima e ti spinge a combattere per la tua vita e non hai tempo per pensare se è giusto o sbagliato.

Avete tradotto nella versione ebraica le parole degli ostaggi?
Si tratta di un grande dilemma e non abbiamo ancora preso una decisione a riguardo perché come ho detto voglio che il pubblico sia dentro il carroarmato e che sappia solamente quello che sa il personaggio, dall'altra parte questa è l'unica volta in cui questa informazione possa essere data al pubblico. Il nostro dilemma è di tradurre quello che dicono gli ostaggi in ebraico e il film uscirà in Israele questo ottobre, quindi abbiamo ancora tempo per decidere.

È da molto tempo che pensa di fare un film sulla guerra, perché lo ha fatto proprio adesso in questo particolare momento?
Perché avevo bisogno di distanziarmi da questi sentimenti come regista. La selezione degli eventi, l'ordine di apparizione, rifinire la comprensione e sopratutto la combinazione tra l'iperealismo, la coscienza e l'inconscio, tutti questi elementi sono prodotti della mia dolorosa memoria che ho usato e sono passato attraverso ad un processo molto articolato che è servito per lasciare far fare al pubblico un viaggio nella coscienza in cui l'ignara anima del bambino è riflessa attraverso la sua anima matura.
( da un’intervista al regista,
cinema-tv.corriere.it, 14/9/2009)

Critica (3):

Critica (4):
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