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Prigioniero del Caucaso (Il) - Kaukazski Plennik


Regia:Bodrov Sergei

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Arif Aliev, Boris Giller e Sergei Bodrov; direttore della fotografia: Pavel Lebeshev; musica: Yekaterina Popova-Evans; scenografia: Valery Kostrin; costumi: Vera Romanova; montaggio: Olga Grinshpun, Vera Kruglova e Alain Baril; interpreti: Olea Menshikov (Sacha), Sergei Bodrov jr (Vanja), Djemal Sikharulidze (AbdulMurat), Súsanna Mekhralieva (Dina), Alexei Zharkov (il capitano), Valentina Fedotova (la madre); produzione: Boris Giller e Sergei Bodrov per la B. G. Production/Caravan; distribuzione: Istituto Luce. Durata: 95'. Origine: Russia, 1996.

Trama:Nel Caucaso è in pieno svolgimento la guerra tra la repubblica della Cecenia e la Russia. Due soldati russi feriti vengono nascosti in un paesino di montagna da un pastore ceceno, Abdul-Murat, che vuole scambiarli con il proprio figlio prigioniero dall'esercito russo. Dopo un periodo di tranquillità, i due tentano la fuga ma uno resta ucciso. Sull'altro fronte arriva la notizia che anche il figlio di Abdul è stato ammazzato, lo scambio non può più avvenire. Il russo sopravvissuto viene tenuto in catene, e solo la figlia adolescente di Abul innamorata di lui, lo aiuta e lo fa fuggire. Abdul si rende conto della situazione, sa che il villaggio vuole l'uccisione del giovane soldato. Allora lo conduce in una zona deserta, lo fa allontanare ma alla fine spara in aria, lasciandolo vivere. Il giovane guarda atterrito gli aerei russi che stanno per andare a bombardare il paesino.

Critica (1):Sergej Bodrov, uno dei registi di punta del nuovo cinema russo (autore, fra l'altro, di due fra i film più importanti venuti alla luce nel periodo gorbacioviano Neprofessionaly, girato nell'85 e uscito solo due anni dopo nel circuito internazionale dei festival, e La libertà è il paradiso dell' 89) ha avuto il coraggio d'affrontare una realtà scomoda, colpevolmente rimossa, dei nostri giorni come la guerra in Cecenia evocando un tema universale (la convivenza e i conflitti fra individui appartenenti a mondi diversi) e rifacendosi ad una tradizione letterario-speculativa d'alto rilievo (da Pushkin al pacifismo tolstoiano), ma soprattutto ha dimostrato la capacità di trattare una materia impegnativa come questa in modo diretto sintetico, efficace, senza cadere mai nei tranelli dell'allegorismo di maniera o della retorica pomposa e declamatoria praticata troppo spesso dai cineasti europei. Bodrov (che ha lavorato a lungo come giornalista e sceneggiatore negli anni `80, subendo censure e scontrandosi con i rigori ottusi del regime) inventa qui i suoi personaggi basandosi sulla comune esperienza umana, elabora i loro caratteri con tratti credibili, osserva con attenzione la realtà fino ad individuare gli elementi fondamentali della situazione (la vita quotidiana nei villaggi di montagna del Caucaso, la cultura e la tradizione di quei popoli, l'estraneità dei soldati a tutto ciò) e quindi pone i due protagonisti in una condizione estrema, seguendone con curiosità e autentica dedizione i comportamenti fino all'epilogo della vicenda. Il film è stato girato a basso costo e fra molte difficoltà, durante le fasi più cruente del conflitto ceceno, a Rechi un villaggio del Daghestan, a pochi chilometri dai nuovi confini fra i territori caucasici.
La storia narrata è semplice: un giovanissimo soldato di leva impaurito (interpretato dal figlio venticinquenne del regista, alla prima esperienza di fronte alla macchina da presa) e un ufficiale istrionico e fracassone incappano in un'imboscata durante una missione militare in territorio ceceno, vengono catturati dai guerriglieri e trattenuti come ostaggi nella cantina di un anziano capofamiglia. Nella narrazione l'autore riesce a modulare insieme toni tragici e leggeri, rappresentando il rapporto fra guardiani e prigionieri come una relazione fra vicini-stranieri, fra persone estranee, non pregiudizialmente ostili ma costrette a condividere una situazione difficile partendo da condizioni di ineguaglianza e di comprensibile diffidenza reciproca. L'incubo della morte possibile è sempre presente nella coscienza dei carcerati, mentre al contempo si fa strada anche un processo arduo, frammentario, interrotto di conoscenza reciproca, che parte dal contatto quotidiano con la nipote del vecchio carceriere. Ciò che più colpisce è la matura sobrietà della regia di Bodrov e la sua sincera attenzione alle ragioni (alla cultura, alle convinzioni, alla vita) degli altri, dei "nemici", la cui immagine appare finalmente liberata dai consueti tratti caricaturali (volti ad evidenziare di volta in volta la ferocia, l'integralismo, la primitività e accettati troppo spesso acriticamente anche da noi) e resa in una più complessa e ragionevole articolazione.
Pierpaolo Loffreda, Cineforum n. 355, giugno 1996

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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