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Amore carne


Regia:Delbono Pippo

Cast e credits:
Soggetto: da testi di Arthur Rimbaud, Pier Paolo Pisolini, T.S. Eliot, Pippo Delbono; fotografia: Pippo Delbono; musiche: Michael Galasso, Alexander Balanescu, Laurie Anderson, Les Anarchistes; montaggio: Fabrice Aragno; interpreti: Bobò, Irène Jacob, Marie-Agnes Gillot, Margherita Delbono, Sophie Calle, Marisa Berenson, Tilda Swinton, Pippo Delbono; produzione: Pippo Delbono per Compagnia Pippo Delbono-Frederic Maire per Cinematheque Suisse-Fabrice Aragno per Casa-Azul; distribuzione: Tucker Film; origine: Italia-Svizzera, 2011; durata: 75’.

Trama:Nel corso dei viaggi, la piccola camera o il telefonino di Pippo Delbono catturano momenti unici, incontri ordinari o straordinari. Da una camera d'albergo a Parigi ad un'altra a Budapest, i percorsi intrecciano un tessuto del mondo contemporaneo. Insieme a tutti questi testimoni, alcuni famosi, altri no, che dicono o danzano la loro visione dell'universo. A volte la camera agisce di nascosto. A volte riprende gli attimi che precedono una catastrofe – come il terremoto de L'Aquila. Oppure il dopo, come a Birkenau. Gli incontri (con sua madre, gli amici, gli estranei) sono altrettante immagini del mondo di ieri, di oggi, di domani. Un mondo che qualcuno racconta attraverso la musica (come il compositore e violonista Alexander Balanescu) o il gesto (come Marie-AgnÈs Gillot, danzatrice Étoile de l'Opera di Parigi), oppure attraverso le parole (come l'attrice IrÈne Jacob) o il silenzio (come Bobò, lo storico attore sordomuto di Delbono, o come l'artista Sophie Calle e l'attrice Marisa Berenson). Da un'immagine all'altra, da un testo all'altro, da uno spazio all'altro, la camera ci parla dell'amore. Della poesia. E della carne.

Critica (1):Un viaggio tra un esperienza di morte e un desiderio di vita. Un viaggio che ho fatto portando con me un telefonino e una piccola camera, mezzi leggeri che mi hanno permesso di guardare e di essere guardato. Di usare la camera come un movimento degli occhi. Gli occhi che guardano camminando, si fermano, rallentano, cercano, sono insicuri, scoprono. C'e la memoria ancora presente di una carne malata ferita ma c'e anche il mio desiderio di trasformare la ferita in una nuova linfa. C'è il desiderio degli altri, il bisogno degli altri, c'è il mio cercare di cogliere con la camera quegli attimi irripetibili, veri. C'è il desiderio di raccontare attraverso un cinema che non vuole documentare la realtà ma guardarla diventare sogno, poesia. Per cercare quelle linee segrete che uniscono le cose che non capiamo. Per scoprire sceneggiature nascoste, trame nascoste che stanno dietro all'apparente casualità delle cose. (dalle note di regia)

Critica (2):Un quarto di danza, uno di letteratura, uno di reportage, uno di diario. E quattro quarti di rischio, di corporalità, di poesia. Se credete che il cinema sia moribondo e che l'unica salvezza ormai siano le serie tv con i loro tempi dilatati da romanzo ottocentesco, provate a immergervi in Amore carne di Pippo Delbono, finalmente in sala dopo lunga anticamera. (...) Anche se forse la sala non è nemmeno il luogo ideale per un'esperienza così intima, perché Amore carne è un viaggio nei recessi più oscuri del suo autore, regista di teatro prima che di cinema, girato quasi integralmente con il cellulare. Questo mezzo così piccolo e potente che sembra fatto apposta per quella che oggi si chiama autofiction. Bassa definizione, alta intensità: le immagini girate e talvolta 'rubate' da Delbono trasformano il mondo in spazio interiore, e viceversa. Con un passo apparentemente svagato che nasconde una coerenza ferrea. (...) Delbono è sieropositivo da anni e tutto il film è sospeso a questo dialogo con la malattia, con ciò che toglie e ciò che rivela. Dunque non smette di interrogare le presenze più care, i volti più familiari. (...) l'étoile della danza Marie Agnès Gillot, (...) in sottofinale ci regala un assolo perfetto per il film. Delbono infatti usa tutto, si appropria di tutto, ma tutto diventa nuovo, Eliot, Rimbaud, perfino un lungo e magnifico brano di Pasolini sulle madri, usato per coprire la vecchia madre che brontola in cucina, sembra nato apposta. Difficile andare più lontano, con mezzi così semplici. Il videofonino ha rivoluzionato l'informazione. Potrebbe creare anche una zona espressiva nuova. Ma deve trovare i suoi canali di diffusione.
Fabio Ferzetti, Il Messaggero, 11/7/2013

Critica (3):Un film girato col telefonino e con una piccola telecamera: ma non è questione di tecnologia, se non nel modo in cui Amore Carne ne modella le possibilità a un sentimento inquieto, e a una scommessa forse impossibile, che è cogliere l'imprevisto, e l'imprevedibile, le epifanie della vita, belle o brutte che siano poco importa. (...) Autore di teatro, e da qualche anno (...) attore di cinema (...), Pippo Delbono è anche regista che ha trovato finora una sua dimensione nell'indipendenza della tecnologia, girando i suoi film (...), con il telefonino. Ed è una dimensione in cui la scelta del mezzo dichiara una corrispondenza poetica e politica con la materia del racconto. Non si potrebbero immaginare i suoi film, infatti, in altro modo, ingabbiati nelle ripetizioni di un set, o con una troupe pesante, perché proprio come avviene in scena, nelle sue immagini Delbono inietta il corpo, la voce, il tumulto dei pensieri e delle parole, la libertà di una trama narrativa e visuale che dichiara un'idea di cinema forte e coerente. Amore Carne, che arriva in sala grazie alla Tucker dopo le uscite sparse in diverse città italiane (...) è una ballata struggente e appassionata in cui il regista, alla prima persona, percorre luoghi e figure passate e presenti che sono pezzi importanti della sua esistenza. Con un andamento ondivago, come i pensieri che fuggono guardando fuori dalla finestra in una giornata di pioggia. Ma il suo non è uno sguardo compiaciuto, tentato dal narcisismo di chi si mette al centro; al contrario è quasi un training, una sorta di danza in cui le immagini mettono alla prova la propria natura, la materia del loro essere nell'incontro/scontro col mondo, la realtà, la sfera privata e quella collettiva. (...) Trasportati dalla musica di Alexander Balanescu, e dai passi impalpabili, sospesi tra sofferenza e respiro, di Marie Agnes Gilliot, la stella dell'Opera di Parigi ... (...) Delbono urla, sussurra, si lancia in un galoppo di parole, come un ragazzino che cerca di affrontare qualcosa di spaventoso, e che nel gioco o in una messinscena, rende commedia anche le cose più dolorose. L'autofinzione è quasi impudica, malinconica e insieme attraversata dall'umorismo; si parla di vita, dunque di morte, e come un mago shakespeariano Delbono rischia e osa, e la realtà è già divenuta narrazione. (...) Non ci sono risposte e nemmeno certezze, Delbono ci cattura, ci fa ridere, piangere, depista le abitudini dei nostri sguardi. Ci interroga senza aggredirci, e interroga il suo mezzo, e la sua ricerca di artista.
Cristina Piccino, il manifesto, 4/7/2013

Critica (4):
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