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Marx può aspettare


Regia:Bellocchio Marco

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Marco Bellocchio; fotografia: Michele Cherchi Palmieri, Paolo Ferrari; musiche: Ezio Bosso; montaggio: Francesca Calvelli; scenografia: Andrea Castorina; costumi: Daria Calvelli; interpreti: Alberto Bellocchio, Letizia Bellocchio, Marco Bellocchio, Maria Luisa Bellocchio, Pia Bareggi, Elena Bellocchio, Pier Giorgio Bellocchio, Francesco Bellocchio, Gianni Schicchi, Giovanna Capra, Virgilio Fantuzzi, Luigi Cancrini; produzione: Kavac Film, IBC Movie, Tender Stories con Rai Cinema
distribuzione: 01 Distribution; origine: Italia, 2021; durata: 95'.

Trama:Camillo muore nel 1968. Quasi cinquanta anni dopo, Marco riunisce tutta la sua famiglia per un pranzo. Con i suoi familiari si interroga su Camillo, il suo gemello scomparso a soli 29 anni.
I fratelli. I nipoti. La sorella della fidanzata del tempo. Uno psichiatra. Un prete. Parlando con ognuno di loro, rievocando quegli anni e quei fatti, Marco ricostruisce i tasselli del passato, dando finalmente corpo a un fantasma con cui ha fatto i conti per tutta la vita.
Marco Bellocchio, attraverso la sua famiglia, fa rivivere la storia di suo fratello, senza filtri o pudori, quasi una indagine, che ricostruisce un'epoca storica e tesse il filo rosso di tanto suo cinema.

Critica (1):Le immagini di Marco e Camillo bambini, poi adolescenti, ritratti separatamente oppure insieme, quindi giovani uomini, Camillo con la sua bellezza un po’ triste, Marco sempre nervosamente sull’attenti, alcune fotografie a colori (sminuiti dal tempo), altre in un bianco e nero o seppia sbiadito… E poi Marco che continua a vivere: invecchia, sbiadisce in un altro senso, guadagna nello sguardo qualcosa di simile a una saggia pacatezza; Camillo, invece, resta lì, fermo sulla soglia dei trent’anni, inchiodato a quelle immagini che sono doppiamente lontane, fossili più che memorie, visibile e irraggiungibile, un segno trattenuto di vita incompiuta: nell’ultimo dialogo, il Marco di oggi, ottantenne, osserva il fratello dalla sinistra dello schermo, mentre Camillo, ancora 29enne, rivolge lo sguardo verso lo spettatore.
I titoli di coda di Marx può aspettare sono il passaggio più commovente di un film che, pur ricostruendo grazie ai ricordi e alle testimonianze dei fratelli e delle sorelle Bellocchio (Piergiorgio, Alberto, Maria Luisa, Letizia) la dolorosa vicenda del gemello del regista morto suicida il 27 dicembre 1968, non indulge mai, neppure per un istante, al facile sentimentalismo; del resto, l’incedere del racconto non è brutalmente investigativo, né l’obiettivo è quello – troppo vicino ai desideri religiosi della madre, che nel film è una parola che suona sempre con la “m” maiuscola – di pesare e attribuire colpe e responsabilità.
Come per ogni finale, vita o cinema che sia, poco o tanto tragico, non può che esserci un dubbio, e forse Marco avrebbe potuto occuparsi di più di quel fratello fragile e quindi salvarlo (ma era scappato a Roma, e i suoi primi film raccoglievano spettatori, apprezzamenti critici, premi), forse avrebbe potuto aiutare Camillo a realizzare il desiderio, peraltro vago, di provare anche lui con il cinema (voleva fare l’attore?), forse, nel loro ultimo incontro, a un anno circa dal suicidio, Marco avrebbe fatto meglio ad ascoltare il fratello, diventato nel frattempo istruttore Isef, anziché riempirgli la testa di utopie marxiste (di qui il titolo, che è la risposta che Camillo diede a Marco). Forse.
Ma in quel finale, sulla musica in crescendo di Ezio Bosso, grazie alle immagini e attraverso le immagini, Bellocchio scantona tutto – i fatti, i ricordi, le impressioni, le opinioni: in breve, le parole, che fino a quel momento ha raccolto con il rigore del documentarista, puntando in alcuni passaggi la camera anche su di sé – e racconta di nuovo, da capo, la storia di quei due gemelli facendo ciò che sa fare meglio (e che fa come nessun altro): far dire alle immagini ciò che solo le immagini possono dire, raccogliere la loro verità, contemplare la loro evidenza e, al tempo stesso, il loro profondo mistero; far spiegare loro che cosa significa morire e, insieme, continuare a vivere.
E in questo esercizio silenzioso non c’è nulla di pacifico, o di rappacificante – altro che immagini ricordo, altro che immagini conforto. Appena prima di questa sequenza, sul modello del finale di Buongiorno, notte (2003), Bellocchio si è ritratto, al crepuscolo, mentre passeggia sul ponte Gobbo o “del Diavolo” di Bobbio, solo; improvvisamente, nell’inquadratura entra un giovane uomo: tuta da ginnastica con la scritta Isef, gli corre accanto veloce, non lo degna di uno sguardo, continua dritto verso il paese; Marco si ferma, lo guarda, i suoi movimenti incerti traducono il bagliore titubante di un riconoscimento. Nulla di pacifico, per l’appunto: nelle immagini ma anche per chi, quelle immagini, le guarda, sperando che sia finita lì, che tutto sia finito lì.
Ma questo finale che è, insieme, un rapido, commovente, straordinario trattato di amore (tragico, anzi melodrammatico) per il cinema e per un fratello incompreso (Luigi Cancrini specifica: «mai visto», ma è una pista interpretativa che questo Bellocchio non ha davvero voglia di seguire, e che il Bellocchio di cinquant’anni fa ha già tradotto nella cecità della Madre de I pugni in tasca), somiglia anche a una radicale, svelta ma non frettolosa dichiarazione di poetica: alla fine, è tutto qui, nelle immagini nella famiglia, – nel sangue del mio sangue, nel nome del padre, nel sorriso di mia madre… – e nelle infinite, sorprendenti possibilità di giunzione – congiunzione, disgiunzione – tra i due termini.(...)
E si tratta anche, infine, di consegnarsi all’immagine – in questo, e solo in questo, Marx può aspettare è anche un film autobiografico. Per ora, però, a un movimento lento e incerto, irrisolto tra l’istante della fotografia e la durata del cinema: è a questa velocità che Bellocchio si ritrae accanto ai fratelli e alle sorelle, ai figli e ai nipoti, sfuggendo di fatto, con un gesto insieme beffardo e funebre, un ritratto finito di se stesso e della sua famiglia.
Luca Malavasi, cineforum.it, 21/7/2021

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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