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Cadaveri eccellenti


Regia:Rosi Francesco

Cast e credits:
Sceneggiatura: Torino Guerra, Lino Jannuzzi, Francesco Rosi dal romanzo "Il contesto" di Leonardo Sciascia; fotografia (technicolor): Pasqualino De Santi; scenografia: Andrea Grisanti; costumi: Enrico Sabbatini; musica: Piero Piccioni; montaggio: Ruggero Mastroianni; interpreti: Lino Ventura (ispettore Rogas ), Charles Vanel (procuratore Varga), Alain Cuny (giudice Rasto), Fermando Rey (Pattes), Tino Carraro (capo della polizia), Luigi Pistilli, Marcel Bozzuffi, Paolo Graziosi, Max Von Sydow, Tina Aumont, Maria Carta, Alfonso Gatto, Anna Proclemer, Renato Salvatori, Silverio Blasi, Renato Turi; produzione: Alberto Grimaldi per la Pea - Les Productions Artistes Associès; origine: Italia-Francia 1976; distribuzione: United Artista durata: 120'.

Trama:
Dal romanzo Il contesto (1971) di Leonardo Sciascia: in Sicilia e poi a Roma vengono uccisi alti magistrati; l'ispettore Rogas ipotizza che i delitti siano il frutto di un piano eversivo.

Critica (1):Due considerazioni si possono subito fare a proposito dell'ultimo film di Rosi. La prima riguarda il rispetto dimostrato da Rosi verso il breve romanzo di Sciascia da cui ha preso le mosse. La seconda concerne la sua fedeltà ad un modo di raccontare e, insomma, ad uno stile narrativo, che intende essere ed è assai vicino, come struttura e come scelta di immagini e quindi come costruzione dei personaggi e concatenazione dei fatti, al reportage. In questo, caso del resto, agevolato, giustificato addirittura, dalle cadenze del racconto letterario. Per Rosi la finalità di un film sembra essere soprattutto - e non direi che abbia torto - quella di documentare, di rendere edotti gli spettatori sul come vadano le cose, certe cose della vita; di chiarire il come e il perché di avvenimenti dei quali al pubblico, cioè ai cittadini, giunge, quando pure ciò si verifica, solo l'eco, oltre tutto distorta dalle manipolazioni operate da chi ha interesse a far sì che, se proprio non può più nasconderli, essi non rivelino le cause reali da cui sono scaturiti. La realtà che sta dietro alla realtà: mi pare che proprio questo stia a cuore a Rosi. E il suo impegno in tal senso è talmente severo che il dargliene atto, per dire in vernacolo burocratico, è davvero il meno che si possa fare, ormai, dopo le tante e ripetute prove da lui date. Si può solo aggiungere il plauso più incondizionato, anche se non è detto che i risultati poi corrispondono sempre alle intenzioni. E la divaricazione può nascere da contraddizioni di natura diversa. In Il caso Mattei, per esempio, le perplessità erano originate dalla sostanziale esaltazione di un uomo, al quale si potevano riconoscere tutte le possibili benemerenze di questo mondo, ma le cui azioni si uniformavano a quelle stesse regole cui ha dovuto alla fine soccombere, pagando con la vita il fastidio da lui arrecato all'ordine costituito. Dietro la realtà di un incidente aereo, c'era dunque un'altra realtà: ma quest'altra realtà fosse o no percepita dallo spettatore, e sicuramente lo era, non oltrepassava i limiti della denuncia di una faccenda poco pulita; la realtà ohe stava dietro la realtà della scomparsa drammatica di un uomo doveva coinvolgere, e ciò non avveniva, il significato profondo dell'attività di quell'uomo. Ma, tornando a Cadaveri eccellenti ed ai suoi rapporti con il testo, val la pena di attardarsi sul punto dal quale si è preso l'avvio, vale a dire sulla conformità del film al romanzo. E non per ribadirla e puntualizzarla nei particolari e decidere se e in quale misura questi abbiano alterato, migliorandolo o peggiorandolo, il racconto di Sciascia. Questi tipo di riscontro ognuno può farlo per proprio conto. Ma piuttosto per andare un tantino oltre e sostenere in un certo qual modo la necessità dell'adulterazione quale conditio sine qua non perché il film possa aspirare ad una vita artistica autonoma, ma subordinata. Ci sono - è chiaro - alterazioni ed alterazioni: restando al contenuto, esse possono aggiungere o sottrarre qualcosa all'originale. Ovviamente, l'ipotesi da prendersi in considerazione è però solo quella dell'intervento volto ad arricchire il testo preesistente; l'altra sembra proprio da tenersi in non cale. Che poi siffatta augurabile lievitazione dei significati si possa e si debba ottenere attraverso una forma acconcia, va da sè e non occorre spenderci parole. Ora l'unica "manomissione' operata da Rosi sembra da individuarsi in una certa quale esplicitazione del racconto svolto da Sciascia in chiave allegorica e metaforica. A Rosi piace stare al concreto, ai fatti dalla storia o dalla cronaca già acquisiti; mi pare anzi, salvo errore, che sia questa la prima volta in cui si sia avventurato sul terreno della fantasia, ma fino ad un certo punto, ché davvero di conforti reali potrebbe e se ne potrebbero agevolmente citare m abbondanza. La differenza di fondo tra il libro ed il film sta qui: nelle minori concessioni alla fantasia, in una sorta di costrizione alla quale è sottoposto lo spettatore perché afferri ogni riferimento e dia una precisa consistenza alle allusività del racconto sciasciano... Si tratta perciò di stabilire se siffatta esplicitazione costituisca un più a favore del film. Credo che si possa tranquillamente rispondere di no. E a dimostrarlo può servire l'episodio del segretario del partito rivoluzionario che si reca ad i n appuntamento segreto con l'investigatore. E identico a quello inventato da Sciascia, ma il film, proprio per averlo introdotto in una atmosfera meno rarefatta, ne mette in luce la scarsa attendibilità e lo svuota conseguentemente di significato. L'esemplificazione potrebbe essere arricchita. Ma si aggiungerebbe ben poco a quanto già evidenziato. Nei migliori dei casi, la riproduzione delle situazioni letterarie conserva i valori originarie naturalmente per quello che valgono. Alla fine si deve allora guardare dal punto di vista corrispondente agli intendimenti del regista, quali risultano e sono confermati dal complesso della sua attività. Di essi si è già fatto centro all'inizio. Si affaccia ora la necessità di individuare i destinatari della sua lodevole azione di denuncia e di chiarificazione. Rosi, a questo riguardo, rinverdisce i non pochi interrogativi suscitati dalla gran parte dei film che si suole raggruppare sotto l'impegnativa, ma talora generica, definizione di film militanti. Anche se, una volta impostato il confronto, occorre subito aggiungere che, con Rosi, si è ben lontani da ogni forma di improvvisazione e magari di sedicente - perché in realtà arcaico - sperimentalismo, le conclusioni cui si perviene sono sostanzialmente analoghe e si possono riassumere nella contraddizione esistente tra i fini perseguiti e il modo (cioè la forma) utilizzato per conseguirli. È una contraddizione dalla quale è arduo districarsi. Costa-Gravas, per esempio, ci ha provato applicando tali e quali le formule dello spettacolo che colpiscono le zone emotive più che quelle razionali dello spettatore. Il suo film - mi riferisco a Z (L'orgia del potere) - è giunto al pubblico più vasto del quale ha ottenuto il consenso, ma intanto il suo sguardo ha dovuto arrestarsi piuttosto al di qua della stessa realtà, eppoi se il film un moto di indignazione ha pur provocato, il meccanismo emozionale messo in movimento lo ha scaricato tra le quattro pareti del cinema. Alla ragione è rimasto solo di raccogliere qualche coccio. E quando ci ha riprovato (La confessione, L' amerikano) cercando, con l'uso un po' più parsimonioso degli effetti meccanici, di dare spazio alla ragione, non ha raccolto gli stessi frutti. Il circolo, come suol dirsi, è vizioso. E se il sostenere che è impossibile romperlo è sbagliato, è assai dubbio che Rosi sia riuscito a renderlo permeabile per quel tanto almeno indispensabile perché il suo messaggio avesse una qualche eco negli spettatori ai quali ha inteso rivolgerlo. Anche perché, se proprio si vuole andare a fondo, è stato lanciato quando già la coscienza dello spettatore aveva avuto dalla realtà avvertimenti di ben maggiore drammaticità e, aggiungerei, notevolmente più chiari, visto e considerato che un po' di confusione nel giuoco delle parti non manca. Sono nebulosità le cui origini sono da ricercarsi nel testo di Sciascia, ma accentuate nel film, a causa e perché in contrasto con i suoi intendimenti, che non tanto vogliono svelare di che lacrime grondi e di che sangue il potere, bensì un certo potere: salvo abbagli, naturalmente. Il che comunque andrebbe a confermare le riserve che sul piano dei risultati sembra di poter formulare, senza entrare nel merito di tutte le altre qualità che al film è possibile riconoscere. Ma delle quali Rosi, e non da oggi, è assolutamente al di sopra.

Lorenzo Quaglietti, Cinema 60 Gennaio-Aprile 1976 n. 107-108

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