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Quando eravamo re - When We Were Kings


Regia:Gast Leon

Cast e credits:
Fotografia: Maryse Alberti, Paul Goldsmith, Kevin Keating, Albert Maysles, Roderick Young; montaggio: Leon Gast, Taylor Hackford, Jeffrey Levy-Hinte, Keith Robinson.; interpreti: Muhammad Ali, George Foreman, James Brown, B.B. King, Don King, Norman Mailer, George Plimpton, Spike Lee; produzione: Das Films, David Sonenberg Production, Polygram Filmed Entertainment; distribuzone: Cineteca di Bologna???; origine: Usa,1996; durata: 89’.
Restaurato da Criterion

Trama:La sfida tra Muhammad Alì e George Foreman a Kinsasha, nel 1974, più che un evento sportivo irripetibile è un pezzo importante della storia del Novecento. C’è l’eroismo di un uomo perfetto per diventare simbolo della riscossa black, l’artificio pilotato dai media e dai manager, il profilo straniante di un’Africa ancora lontanissima. Oscar sacrosanto per il miglior documentario. “Quando eravamo re in realtà è due film in uno: è la descrizione seria e talvolta inquietante di uno scontro di culture e di moventi di varia natura ed è anche un film originale e pittoresco su una magnifica avventura africana. In fin dei conti, un film che ritragga Ali con la sua inarrestabile parlantina giovanile non può non mancare del tutto di elementi comici, e quello che piace di questo film è in parte il modo in cui evoca il ruolo buffonesco e impertinente che Ali sceglieva di interpretare anche quando era impegnato in qualcosa di pericoloso come un match contro George Foreman.
Kelefa Sanneh, da ilcinemaritrovato.it

Critica (1):(...) È troppo bella, contraddittoria, emozionante e simbolica la parabola di Muahammad Alì, alias Cassius Clay, per non commuoversi nel ripercorrerla. E oggi nei cinema italiani arriva il film che ha vinto l'Oscar, Quando eravamo re: dura 88 minuti e negli ultimi 20, non c'è niente da fare, l'emozione ti prende alla gola. Sono i minuti del match, quel match : Alì-Foreman, mondiale dei massimi, a Kinshasa, il 30 ottobre del 1974. nella boxe si parla spesso, e quasi sempre a vanvera, di «match del secolo»: ebbene, a distanza di vent'anni, e di fronte al film di Leon Gast, viene da dire che probabilmente il match del secolo fu quello, e non per motivi strettamente pugilistici. È una storia che racchiude troppe contraddizioni, troppi simboli del nostro tempo. Alì e Foreman andarono a sfidarsi in Africa perché Don King, manager-gangster di entrambi, convinse il dittatore dello Zaire Mobutu a sborsare 14 milioni di dollari (di allora) per finanziare l'incontro. Per Mobutu fu un colossale investimento promozionale. Alì e Foreman furono strumenti di questa spudorata propaganda. Ma se Foreman visse il tutto in modo silenzioso e obbediente (solo dopo anche lui sarebbe diventato un grande personaggio), Alì sfruttò il tutto per propagandare, a sua volta, se stesso e il ritorno all'Africa, alle radici, dei neri americani. La cosa più straordinaria di Quando eravamo re è proprio l'impatto dei campioni con la madre Africa. Basta vedere le scene dell'arrivo all'aeroporto dei due: per Alì ci sono folle osannanti, per Foreman sì e no 100 persone. Nelle settimane che precedettero il match, Alì divenne il Mito di tutta la popolazione zairese, mentre Foreman, poveretto, si trovò a incarnare tutta l'odiata prosopopea dello zio Sam. E nacque il grido «Alì, boma ye», Alì ammazzalo, che accompagnò i due per tutta la permanenza zairese. Dice il regista Spike Lee, uno dei personaggi intervistati da Gast: «Prima di quel match, se chiamavi "africano" un nero americano dovevi prepararti a fare a botte con lui. Era un insulto. Alì insegnò a tutti noi ad essere orgogliosi delle nostre radici». E l'Africa fu altrettanto orgogliosa di lui, adottandolo. (...) Il film forse è un po' enfatico, ma bellissimo. Da vedere. È forse un po' ingiusto con Foreman, che poi sarebbe diventato un predicatore e sarebbe tornato sul ring a 40 anni suonati spaccando la faccia a tanti giovanotti che avrebbero potuto essere suoi figli: anche Foreman è un grande mito americano, e la sua presenza vicino ad Alì, la notte degli Oscar, è stata bella e commovente. Ma è inutile dire che Alì spicca nel film come un divo assoluto, un geniale manipolatore dei media, un inarrestabile, logorroico, simpaticissimo press-agent di se stesso. Capace di battute fenomenali, fino al paradosso, come quando gli chiedono perché Foerman gli stia tanto antipatico. Prima gli vomita addosso i soliti insulti di prammatica, infine, sguardo sornione, gli dà la stoccata finale: «E poi, parla troppo!». Detta da Alì, il colmo dei colmi. Chapeau, vecchio campione.
Alberto Crespi, l'Unità, aprile 1997

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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