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Commissario Pepe (Il)


Regia:Scola Ettore

Cast e credits:
Soggetto: Ruggero Maccari, Ettore Scola (liberamente tratto dal romanzo omonimo di Ugo Facco De Lagarda); sceneggiatura: Ruggero Maccari, Ettore Scola; fotografia: Claudio Cirillo; scenografia e costumi: Gianni Polidori; musica: Armando Trovajoli; montaggio: Tatiana Casini Morigi; interpreti: Ugo Tognazzi (il commissario Antonio Pepe), Silvia Dionisio (Silvia), Gaetano Cimarosa (l'agente Cariddi), Marianne Comtel (Matilde), Véronique Vendeli (Maristella), Dana Ghia (suor Clementina), Elena Persiani (la contessa Norma), Gino Santercole (Oreste), Elsa Vazzoler (la vecchia prostituta), Giuseppe Maffioli (il mutilato), Rita Calderoni, Umberto Simonetta, Michele Capnist, Giorgio Casanova, Antonio Cazzola, Anna Gaboardo, Achille Girotto, Arnaldo Geremia, Anacleto Lucangeli, Virgilio Scapin, Ampelio Sommacampagna, Giovanni Venezia, Mirko Vucetich, Paola Natale; produzione: Pio Angeletti e Adriano De Micheli per la Dean Film/Juppiter Generale Cinematografica (Roma); origine: Italia, 1969; durata: 98'.

Trama:Antonio Pepe, commissario in una cittadina tranquilla, ha l'incarico di indagare su alcune dicerie messe in giro da un bizzarro invalido che scorrazza per la città in carrozzella. Nel corso dell'inchiesta scopre così che la religiosissima città non è affatto perbene: sotto un velo di ipocrisia vengono commessi reati che vanno dal favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione alla pedofilia alla pederastia coinvolgendo persone di tutte le classi sociali: popolani e ricchi, nobili e religiosi, notabili di provincia e anche persone a lui vicine. Integerrimo e deciso ad andare sino in fondo prepara un corposo dossier per il quale viene lodato in "alto loco", ma allo stesso tempo viene invitato dal questore a stralciare le posizioni dei personaggi più in vista tirando nella rete solo quelli piccoli per non far nascere "inutili" scandali. Inviti pressanti, vere e proprie ingerenze, dinanzi alle quali il commissario non sa cosa scegliere.

Critica (1):[...] la Commedia all'italiana, alla fine degli anni Sessanta, trova una maggiore identità e dignità affondando il bisturi su una realtà osservata assai più da vicino e in profondità. È questo anche il caso dei film di Scola che, con Il commissario Pepe, getta i primi embrioni di un articolato discorso sulla vita e sullo stato delle istituzioni nazionali, iniziando a focalizzare la propria indagine sul tema dei diversi, degli emarginati, dei non-garantiti, sempre più spesso protagonisti di una prolifica filmografia. A suo nodo, il commissario di Pubblica Sicurezza Gennaro Pepe è un diverso nel panorama degli stereotipi della letteratura poliziesca. È un antieroe in quanto uomo normale; è un emarginato in quanto tollerato dalle istituzioni poliziesche contro cui prende nettamente posizione; è un non-garantito sulla sua professione che lo disgusta per i compromessi a cui viene "dall'alto'' assoggettato. [...]
Il film, per l'epoca, era molto coraggioso, anche perché mette alla berlina la realtà medioborghese marcia e corrotta di una delle regioni economicamente più avanzate, ma eticamente più retrograde d'Italia: il cattolicissimo Veneto. Di qui, la dura condanna da parte di una critica legata a doppio filo al potere, e tuttavia costretta a registrare il fenomeno Scola come uno tra i più interessanti della emergente cinematografia nazionale.
Il commissario Pepe, sceneggiato da Scola insieme a Maccari e ispirato al romanzo omonimo di Ugo Facco Di Lagarda, è letteralmente "trascinato" da un Tognazzi in grande forma, che ha ricevuto il premio come migliore attore al X Festival internazionale di Mar del Placa.
Gennaro Pepe, di origini meridionali, svolge il proprio lavoro nella tranquilla città veneta di Vicenza. Tollerante e democratico, uomo di cultura, lettore di romanzi e attento osservatore della realtà sociale, cerca di sdrammatizzare eventi e situazioni, rifiutandosi, ad esempio, di manganellare, come qualcuno vorrebbe, gli studenti in rivolta. Dopo un matrimonio fallito, il commissario Pepe si è legato con una ragazza, con la quale si vede di nascosto. Evita, per il quieto vivere, ma anche perché non ama truccarsi da curioso moralista, di indagare su certi vizi della città, così come gli vengono segnalati da tante lettere anonime. La sua tranquillità naufraga, però, nel momento in cui i superiori decidono una drastica campagna moralizzatrice in città e gli ordinano di pronunciarsi su un dossier esplosivo approntato dai suoi subordinati.
Dopo un tentativo fallito di persuadere alcune persone a tornare sulla retta via, è costretto ad affrontare la situazione. Approfondendo le indagini, scopre, con grande sorpresa, che i personaggi più in vista della città, rispettabili solo nelle apparenze, conducono una doppia vita. [...]
Con la consueta capacità di tipizzazione, Scola delinea una galleria di "mostri" con la misura dell'ironia e con la rabbia pungente di chi, guardando sotto la patina del perbenismo, denuncia il brulicante verminaio dei vizi e della corruzione di una provincia che si maschera nel potere e nella sopraffazione. La piaga più purulenta di cui soffre questa nostra società è scoperta: chi gode di protezioni non teme né la polizia né il fisco né altre autorità tutorie; chi non ne gode è esposto a tutti i castighi. La legge, dunque, non è affatto uguale per tutti.
Scola, con spirito arguto di osservazione, tra l'agro e il tenero, tra la staffilata e una vena di umanità, tra la sferzante ironia e l'amara consapevolezza di una situazione insanabile, riesce sempre a stemperare la denuncia dei peccatori di provincia sul filo di una satira di costume, al di là di qualunque velleitario manicheismo.
[...] I personaggi di Scola sono incapaci di grandi gesti, tanto meno di decisioni eroiche, ma sono sempre dotati di capacità critiche e di sentimenti di orgoglio: come, appunto, Gennaro Pepe, che, pur rinunciando a raccogliere la sfida dello strapotere, trova comunque la forza di non piegarsi alla sua arroganza, lasciando allo spettatore il compito di tirare le conseguenze.
Il commissario Pepe, nell'affrontare i mali della società consumistica, si pone come cerniera tra Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l'amico misteriosamente scomparso in Africa? e i film successivi. Dal punto di vista dello stile, l'uso di sequenze stranianti e del flash-back, inaugurato nel film precedente, trova in Il commissario Pepe accentuazioni significative. Da un lato, si tende all'approfondimento psicologico dei personaggi: si pensi al continuo materializzarsi dei pensieri del commissario nelle sequenze che mettono a nudo gli aspetti più reconditi della personalità degli inquisiti o in quella stupenda sequenza che precede il finale e che vede il protagonista immaginarsi una retata drasticamente liberatoria. Dall'altro, per la prima volta, si colloca la vicenda nella contemporaneità della storia, con l'uso di filmati in bianco e nero (la sciagura di Casalnuovo, la tragica morte di Jan Palach dopo la Primavera di Praga), secondo un procedimento anticipatore dell'analoga e più efficace (forse perché più giustificata) intuizione delle sequenze iniziali di Una giornata particolare.
Infine, in Il commissario Pepe, è interessante rilevare la presenza del primo archetipo del cattivo, l'invalido Parigi impersonato dal bravo Giuseppe Maffioli, attraverso la cui bocca Scola lancia le proprie invettive contro le "virtù nascoste" della corrotta società di provincia. Il personaggio, nelle sue spedizioni notturne sullo sgangherato carrozzino in una città deserta e desolante, grida verità non solo attuali, ma anche profetiche, al fine di risvegliare le intorpidite coscienze dei suoi concittadini. Rivolgendosi ai "rimbecilliti della televisione e delle lotterie", l'unico vero "diverso" del paese, I'"altro" per eccellenza, possiede tutte le caratteristiche dei suoi numerosi discendenti, che troveranno collocazione in tutti i film di Scola. È cinico: "Le persone per bene, ammesso che ci siano, mi fanno venire il latte ai cosiddetti...". E un inguaribile pessimista: "Siamo sul Sessantanove e tutto va male, ma sul Settanta andrà anche peggio". L'invalido Parigi, nelle sue reazioni anarcoidi, è un uomo che reagisce con l'offesa, la delazione, per riaffermare la propria personalità. Preferisce il disprezzo al compatimento per il timore di essere considerato un mezzo uomo: "Sicuro che sono contento, sicuro, per me non c'è niente di peggio che la stima della gente. Se non fossi quello che sono, che cosa mi resterebbe? La compassione, la pietà. Quel povero infelice, quel povera disgraziato, quel povero mutilato. No, la compassione no! L'Odio sì. Quel farabutto, quella carogna, quel figlio d'una troia, benissimo! lo vivo del disprezzo degli altri, è in questo disprezzo che trovo la forza di vivere, è come se mi sentissi ancora tutto intero, vivo, valido". Questo personaggio, scolpito a tutto tondo da una conduzione registica esemplare è come uscito della penna di un grande narratore, rappresenta il vero e proprio manifesto programmatico del film. È la coscienza del film e del suo autore, ma anche la cattiva coscienza di una società su cui vomitare il proprio risentimento. [...]
Pier Marco De Santi, Rossano Vittori, I film di Ettore Scola, Gremese Editore

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Ettore Scola
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