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Ville est tranquille (La) - Ville est tranquille (La)


Regia:Guédiguian Robert

Cast e credits:
Sceneggiatura: Robert Guédiguian , Jean-Louis Milesi; fotografia: Gilles Sandoz; montaggio: Bernard Sasia; scenografia: Michel Vandestien; musica: Jacques Menichetti; suono: Laurent Lafran; interpreti: Ariane Ascaride (Michèle), Gérard Meylan (Gérard ), Jean-Pierre Darroussin (il tassista Paul), Jacques Boudet, Pierre Banderet, Pascale Roberts, Julie-Marie Parmentier, Christine Brucher, Alexandre Ogou; produttore: Gilles Sandoz per Agat Films & Cie; distribuzione: Istituto Luce; origine: Francia, 1999; durata: 154' .

Trama:Marsiglia: Michele lavora al mercato del pesce e cerca di salvare sua figlia dalla droga. Paul, ex portuale, accettata la liquidazione, si mette in proprio come tassista; Viviane, moglie di un ricco intellettuale, si dedica agli handicappati, Gerard gestisce un bar ma, in realta', ha un altro "pericoloso" lavoro....

Critica (1):La città del titolo, tranquilla per eufemismo, è Marsiglia. Col porto in declino, la destra all’attacco, la sinistra impotente o parolaia, il popolo reazionario, i rapporti tra le razze segnati dall’intolleranza, i servizi sanitari distratti, il terzomondo che preme...
Robert Guédiguian continua a parlarne, anzi fa sempre lo stesso film sebbene con sfumature di senso: in Marius et Jeannette lasciava prevalere il senso della comunità, i valori popolari; stavolta tutto precipita in tragedia, tragedia greca verrebbe da dire, nonostante la volontà, il coraggio, gli sforzi dei singoli.
Ha metodo, questo regista quasi cinquantenne, comunista come Ken Loach: sempre gli stessi attori, tra cui Ariane Ascaride, la sua compagna; uno stile estremamente asciutto, dominato dal realismo della recitazione e dal verismo delle situazioni; una scansione naturalistica del tempo ma con qualche debito verso le forme contemporanee di narrazione popolare (per esempio la soap opera). I suoi sono film ideologici (è questo il loro principale difetto), in cui quasi ogni personaggio esprime una posizione politica e anche morale. Qui lo spostamento verso il lepenismo del proletariato e la disillusione della generazione resistenziale (c’è un’apparizione di Philippe Leroy nei panni dell’ex partigiano ora coinvolto in traffici non proprio pulitissimi). Il rischio di schematismo ed eccessivo “pluralismo” di volti e fatti è in agguato. Ma non è qui il cuore del film. Corale, eppure concentrato su un solo, straordinario personaggio: una cinquantenne indomita, vittima di sua figlia e di responsabilità familiari spaventose. Guédiguian, che tuttavia ha confessato di identificarsi piuttosto nel personaggio della borghese illuminata, mostra il dramma di questa donna attraverso gesti duri ed estremi, dalla prostituzione all’eutanasia, narrati però con estrema semplicità e profonda pietas. Michéle buca sua figlia e si vende per comprarle la roba senza mai perdere la dignità, senza isterismi, con un silenzioso e lucido accanimento amoroso. È una figura bellissima ed è triste che la censura italiana, unica in tutta Europa, abbia vietato il film ai 18.
Cristiana Paternò, Cinema zip, 26/1/2001

Critica (2):Chi ricorda i due film di Robert Guédiguian usciti in Italia, Marius e Jeannette e Al posto del cuore, penserà che anche il regista marsigliese stia perdendo la speranza nel vedere La ville est tranquille. Se Guédiguian lo ambienta, come sempre, a Marsiglia utilizzando ancora una volta i suoi bravissimi attori feticcio, questa volta l’amarezza e il pessimismo emergono fin dal titolo, usato al contrario: la città è tranquilla, ma solo perché è sorda, priva di sentimenti e perché le tragedie che vi si svolgono cadono nell’indifferenza generale. I personaggi variamente infelici, dei quali il film ci racconta le storie parallele e intrecciate, sono Michèle (Ariane Ascaride), che lavora al mercato del pesce, vive col marito disoccupato e la figlia drogata, prostituendosi per procurare le «dosi» alla ragazza; il tassista Paul (Jean-Pierre Darroussin), che ha tradito gli amici scioperanti del porto; l’ambiguo barista Gérard (Gérard Meylan), killer in preda a crisi depressiva; Abdermane, giovane africano appena uscito, trasformato, dal carcere; una coppia in crisi. Assieme a Ken Loach, Guédiguian è probabilmente l’ultimo cantore degli umiliati e offesi delle nostre società opulente, cui finora amava prestare un ottimismo della volontà, un ostinato rifiuto a compiangersi che evocavano il vecchio Marcel Pagnol e il cinema del Fronte Popolare. Anche nelle situazioni più miserande, il suo umanesimo arrivava a portare un po’ di tenerezza e di conforto ai personaggi. Con La ville est tranquille, invece, tutto si tinge di un nero pessimismo e ogni situazione è spinta alle estreme conseguenze: tra la penuria materiale, la crisi delle utopie, l’onda montante di una destra cinica, razzista e indifferente arrivata ormai a infettare anche l’antico proletariato. La delusione pervade ogni cosa, la mancanza d’amore appare una condizione normalizzata (eppure, prima di cedere allo sconforto, Michelle è capace di sacrifici degni di una santa laica), la solitudine si dà come unica certezza. Chi pensa che la propria vita sia un disastro rischia di sentirsi, a paragone degli sventurati eroi di Guédiguian, un favorito della sorte. Malgrado tutto ciò il film, duro e bello, riesce a rifiutare ogni illusione consolatoria senza invitare mai alla disperazione. E se alcune sequenze sono per palati forti, appare francamente eccessivo il divieto ai minori di diciotto anni per un’opera di cui tutto si potrà dire, meno che accusarla d’immoralità.
Roberto Nepoti, la Repubblica 28/1/2001

Critica (3):

Critica (4):
Robert Guédiguian
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