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Padrino (Il) - Godfather (The )


Regia:Coppola Francis Ford

Cast e credits:
Soggetto: dal romanzo "Il Padrino" di Mario Puzo; sceneggiatura: Francis Ford Coppola, Mario Puzo; fotografia: Gordon Willis; musiche: Nino Rota; montaggio: Marc Laub, William H. Reynolds, Murray Solomon, Peter Zinner; scenografia: Dean Tavoularis; costumi: Anna Hill Johnstone; interpreti: Marlon Brando (Don Vito Corleone), James Caan (Sonny Corleone), John Cazale (Fredo Corleone), Franco Citti (Calo'), Robert Duvall (Tom Hagen), Julie Gregg (Sandra Corleone), Sterling Hayden (McLuskey), Diane Keaton (Kay Adams), Morgana King (Mama Corleone), Jeannie Linero (Lucy Mancini), Tere Livrano (Theresa Hagen), Lenny Montana (Luca Brasi), Al Pacino (Michael Corleone), Simonetta Stefanelli (Apollonia); produzione: Albert S. Ruddy per Paramount; origine: Usa, 1972; durata: 175':

Trama:Anni Quaranta. Come è consuetudine, durante il rinfresco per festeggiare le nozze della figlia Conny con Carlo, il "padrino" don Vito Corleone promette assistenza e protezione a familiari e amici. Invia il figliastro Tom Hagen in California per convincere in ogni modo il produttore Jack Woltz a scritturare il cantante Johnny nel suo prossimo film. Woltz non acconsente. Tom allora lo costringe ad accettare con un "avvertimento": l'uccisione del suo cavallo di razza preferito. Sollozzo, a nome della potente "famiglia" Tartaglia, chiede a Corleone finanziamenti e appoggi per il traffico di droga. Il rifiuto scatena una lotta cruenta tra le due cosche: lo stesso don Vito viene ferito gravemente; il figlio minore Michael lo salva da un secondo attentato. Michael, poi, scavalcando l'irruento fratello Sonny e Tom, temporeggiatore, organizza un incontro con Sollozzo e con il corrotto capitano di polizia McCluskey uccidendoli entrambi. Michael, per evitare rappresaglie, si nasconde in Sicilia. Qui il giovane s'innamora di Apollonia: la sposa. Quando la moglie muore in un attentato e Sonny viene massacrato dai rivali, torna negli Stati Uniti. Partecipa ad un tentativo (vano) di riappacificazione generale fra le varie "famiglie". Don Vito nomina "padrino" Michael il quale, dopo la morte del padre, assume le redini con inaudita fermezza: tra le vittime della sua spietata repressione ci saranno Johnny, ormai famoso, e il cognato.

Critica (1):Il film appare oggi come una “gigantesca metafora dell'America (…) tra gli anni sessanta e i settanta. “I believe in America” (io credo nell'America): con questa dichiarazione di fede si apre il film, detta da un uomo che sta chiedendo un omicidio. La mafia, dunque, è come un segnale per significare altro, l'organizzazione multinazionale del capitalismo, la fine del "sogno americano", il bisogno di "paternità" e di “consenso" dell'uomo occidentale. Riemergono tracce di quell'ideologia che il cinema americano ha certamente introiettato dalla cultura e dal cinema europei; un'ideologia che la critica europea si sforza di sottolineare (…) malgrado il garbato schivarsi del regista. Ma si tratta, comunque, di segnali sommessi, in chiaroscuro, non di messaggi ideologici precisi. Coppola sradica la mafia e l'Italia dal loro contesto storico e le tuffa in un bagno di folklore e di iconografia d'appendice, di mitologia popolare. Certo che la Sicilia può apparire fasulla, la mafia stereotipata e convenzionale; perché Coppola gioca la carta di un Mito delle origini (le sue ma anche le origini dell'umanità), in cui possono trionfare le sensazioni e le emozioni primordiali, l'odio, l'amore, la violenza, il desiderio di potenza.
Per questo Al Pacino può diventare un Faust o un Macheth, e Marlon Brando un eroe shakespeariano. E come in una tragedia classica, l'autore mette in scena l'uccisione del padre: Al Pacino, espropria man mano il padre dal potere, ne assimila l'etica e ne succhia la carica vitale (la mascella rotta di Pacino assomiglia sempre più a quella, famosa per il make up particolare, di Brando), lo sostituisce al comando e ne decreta, per questo, la fine. Un'uccisione del padre che rappresenta anche l'ascesa di una generazione contro un'altra: vecchia-nuova mafia, vecchia-nuova America, vecchia-nuova Hollywood. La Magna Grecia è però divenuta anche una Sicilia barocca, fatta di feste, di danze, di cerimonie religiose; tutto quel " rituale " di cui è impregnata l'atmosfera del film. Non solo per ragioni di cassetta, per un'ossessione oleografica, ma anche perché quei cerimoniali, quei riti, sono archetipi di una cultura mediterranea che Coppola ben conosce. Una festa religiosa, come avverrà più coscientemente nel Padrino parte II, può essere motore di un immaginario ricchissimo, immagine-simbolo di una tensione di rinnovamento, e non solo di conservazione.
La festa di nozze iniziale segna un leit motiv di tutto il film: la festa come allegoria della vita dell'uomo (come avveniva nelle società agricole primitive), come celebrazione dei gesti quotidiani dell'uomo, la vendemmia, il raccolto, le nozze, e magari la morte. E se c'è, in quest'uso della tradizione popolare, anche una buona dose di folklore più commestibile, bisogna notare però, a beneficio di Coppola, certo rigore filologico, della ricostruzione: ad esempio, nella scelta delle canzoni (qui l'aiuto del padre Carmine, autore delle musiche di quella sequenza del matrimonio, deve essere stato determinante): spicca una “C'è la luna in mezzo 'o mare” fedelissima alla tradizione (con tanto di ammiccamenti osceni e di imenei); nel Padrino parte II ci sarà una delicatissima “avia nu sciccareddu”, cantata dal piccolo Vito Corleone.
Irrompe insomma nell'immaginario di Coppola il mito classico; il Nostro fa i conti con il suo background culturale (la mediterraneità), e attinge dal grande magma della tradizione meridionale un atteggiamento antimanicheo: il bene e il male si mescolano e si confondono. La mafia non rappresenta del resto, tradizionalmente, questa compresenza di bene e di male? La violenza e l'onore, il sangue e il rispetto, la vendetta e la morale alternativa a quella istituzionale e statuale. Vito Corleone o Salvatore Giuliano, nell'opinione popolare, non contengono forse questa doppia anima di eroe paladino e di strumento reazionario? C'è già qui, in nuce, la morale di Kurtz in Apocatypse Now: Bene e Male si scambiano le parti, si fondono e si confondono (se ci si pensa, è anche la morale, in versione fumettistica della saga di Guerre stellari; di Lucas, uno del clan). Tenui sono i confini tra la luce e le tenebre.
Da qui anche la chiave stilistica del film, il chiaroscuro, la contrapposizione tra interno ed esterno, tra giorno e notte. Le varie sequenze sono montate, con una calcolata alternanza, in un continuo contrasto tra interni ed esterni. Ad esempio, l'eterno tragico e muto dell'attimo successivo alla morte di Santino, poi l'oscuro interno di casa Corleone; la cupa camera da letto del “padrino" convalescente e la luce abbacinante della Sicilia; la tetra camera mortuaria di Bonasera e di nuovo la stridente luminosità dell'episodio siciliano. In questo simmetrico contrasto di luci e ombre, si svolge tutta la lunga serie di sequenze che va dal matrimonio siciliano di Mike all'agguato mortale a Sonny, sino alla morte di Apollonia. Un altro esempio: l'esterno "borghese" in cui si incontrano, all'uscita di una scuola, Kay e Mike è montato, per contrapposizione, a un interno in cui si discute il nuovo assetto della Famiglia; subito dopo, di nuovo in esterni con un camera car a Las Vegas. Infine, è costruito tutto sui contrasti dentro-fuori il famoso episodio finale: l'interno della chiesa, convenzionale e rituale, è montato alternatamente con l'esterno (in senso più lato, come realtà esterna, anche se qualche omicidio avviene magari in una stanza), ritualizzato anch'esso dalla morte.
Diane Jacobs (in Hollywood Renaissance) analizza, proprio nel senso del chiaroscuro, la sequenza iniziale delle nozze: l'oscurità dell'ufficio del Don è giustapposta alla luminosità del piazzale dove si svolge la festa; nel montaggio alternato, sempre più rapido, lo studio diventa più chiaro ed emerge dal buio il volto del Don. Poi, i due mondi si fondono e Don Vito “esce dalle sue stanze cavernose” (…), per ballare con la sposa. È un precedente, come si vedrà, di una nota scena di Apocalypse Now (il cranio calvo di Brando emerge dall'oscurità in un'atmosfera (“metafisica"). Luce e ombra, insomma, danno l'immagine di un'ambiguità morale, di una sospensione del giudizio, del grande "padrino" Corleone come del promettente "padrino" Coppola: al di là del bene e del male.
Lo stile del film è quindi “deliberatamente classico ” e semplice (…): “Non vi si trovano movimenti di macchina complicati né zoom, una semplicità destinata in parte a evocare i film degli anni quaranta, ma anche a lasciare la tecnica in disparte per permettere agli attori una maggiore libertà d'espressione”. Classico è dunque anche il cinema hollywoodiano con cui Coppola si misura, finalmente senza timori edipici. Anche lui fa i conti, come Mike Corleone, col padre, che si presenta stavolta anche nei panni di Cagney e del gangster film. Hollywood, del resto, incombe come immagine del disastro: nell'episodio di Los Angeles (starring Johnny Fontaine e il produttore Woltz) e in quello di Las Vegas. Nel primo episodio c'è una Hollywood ancora superba, seppure insanguinata e morente; nel secondo invece c'è un'immagine sclerotizzata di corruzione e di sfascio del mondo dello spettacolo: un cartellone pubblicitario annuncia un film di Dean Martín e Jerry Lewis (la macchina da presa lo scopre di sfuggita, con una punta di nostalgia). È significativo, però, come l'episodio di Hollywood, così pesante nel libro di Puzo sia stato ridotto ai minimi termini (sono saltati ad esempio due interi capitoli dedicati a Johnny e Nino). Hollywood è presente sì, nel film, ma in modo quasi subliminale, come una visione attraente e repellente insieme; come una memoria di immagini già viste.
I “generi" e l’ “autore" si incontrano di nuovo, allora, forse nella sintesi estrema. Coppola “ha saputo malgrado tutto conciliare le proprie visioni personali con l'anonimato della grande produzione di genere” (…); “nel Padrino Coppola ha quasi riconciliato gli impulsi artistici e commerciali esistenti nelle sue opere”. Due anime che restano, comunque, nel suo cinema; la riprova è che a questa epica Via col Vento segua la sommessa e introversa Conversazione: un altro ”film noir" e un nuovo, più sottile, apologo morale.
Vito Zagarrio, Francis Ford Coppola, Il Castoro Cinema, 9/1980

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Critica (4):
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