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Lingua del santo (La)


Regia:Mazzacurati Carlo

Cast e credits:
Sceneggiatura
: Franco Bernini, Umberto Contarello, Carlo Mazzacurati, Marco Pettenello; fotografia: Alessandro Pesci; montaggio: Paolo Cottignola; musiche: Ivano Fossati; interpreti: Antonio Albanese (Antonio), Fabrizio Bentivoglio (Willy), Isabella Ferrari (Patrizia), Giulio Brogi (Maritan), Toni Bertorelli (Krondano), Giulio Base (Maritan), Marco Paolini (Sant' Antonio da Padova), Ivano Marescotti (Ronchitelli); produzione: Rodeo Drive-Medusa Film; distribuzione: Medusa Film; origine: Italia, 1999; durata: 110'.

Trama:L’esistenza tranquilla di Antonio e Willy, due padovani quarantenni che passano le giornate ad osservare il mondo seduti al bar Antille, viene sconvolta da un incredibile gioco del destino. Un’occasione fortuita ma anche imperdibile per cercare di dimostrare agli altri quanto valgono: per sbaglio entrano in possesso della preziosa reliquia di S. Antonio. Nessuno, fra gli amici del bar, direbbe che sono Antonio e Willy quelli su cui i giornali fantasticano. Dopo qualche esitazione sul da farsi, i due amici decidono di chiedere un riscatto per la reliquia niente meno che al Papa.

Critica (1):C’è una appassionante tradizione di “loser”, di perdenti, nel cinema di Mazzacurati – da Notte italiana a Il Toro – il cui destino è reso più ingrato dal fatto di appartenere ad un mondo di opulenza e benessere: il nordest dell’Italia – come ricorda Fabrizio Bentivoglio la cui voce fuori campo prende in carico buona parte del racconto del film – ha il fatturato del Portogallo. Ma Antonio (Albanese) e Willy (Bentivoglio) ne sono ai margini. Perfino gli extra comunitari, nel ruolo di ricettatori, li trattano dall’alto in basso. Falliti nella vita, come nell’amore, ridotti a ladri di quarti di manzo e penne a sfera, si ritrovano tra le mani una reliquia senza prezzo (la lingua di Sant’Antonio) che è la loro chance di riscatto e grandezza. Mazzacurati si distende con disinvoltura e calore all’inizio del film: le immagini si srotolano con fluidità, il passo è celere e divertito, il tono adorabile. Come ci si sente da falliti senza speranza nella terra del successo individuale, Franco e Ciccio da terzomondo mentale in una società da primato europeo? Se c’è un richiamo alla commedia nel film (come sembrava di poter leggere da interviste e notizie sul film), Mazzacurati lo esercita nel modo più antropologico e cinefilo possibile. Albanese che sbava di fronte ad una batteria di salami è l’ultimo erede della comicità del paese contadino di cui Totò fu il massimo rappresentante, Bentivoglio, scaricato da una moglie che gli ha preferito un chirurgo di fama, deve essere il fratello minore dei mariti balordi di Gassman e Sordi. E le piazze fatte di arcate, canali e piccioni, non evocano come una reazione condizionata il Veneto satirico di Signore e signori di Germi? Di suo, però, il regista ci mette una attenzione vicina alla devozione per i due personaggi e una stupenda notte italiana, forse la sequenza più bella del film, in cui la mancata consegna del riscatto culmina in un trionfo pirotecnico che abbaglia selve, scarpate, forre, grotte e dolci colline: il paesaggio più fotografato dalla poesia italiana, da Petrarca a Pasolini. Peccato che il film si ripieghi su se stesso al giro di boa, peccato davvero che due personaggi intriganti e interessanti come quello dell’imprenditore volpino che si offre di pagare il riscatto (Giulio Brogi) e quello della moglie misteriosamente malinconica e spietata (Isabella Ferrari), vengano inspiegabilmente messi da parte dal film dopo essere stati sapientemente insinuati. Ma tra le qualità del film c’è il suo ritmo a ballata il cui humor è scosso da un dolente ritornello (uno stile che è caro a Mazzacurati almeno dai tempi di Vesna va veloce), la colta scelta delle musiche (da Fossati a Keith Jarrett, da Bill Frisell a danze etniche) in grado di illuminare una scena come la bella fotografia di Alessandro Pesci tutta sfumature aeree e acquatiche. È il migliore film della selezione italiana della Mostra, anche se la competizione vedeva altri film più imperfetti e sfocati, ma se il racconto disattende parte delle sue premesse, se l’occhio dell’autore si arresta prima di portare alle estreme conseguenze il sentimento di disfatta e dignità in cui immerge con emozione i suoi due protagonisti, lo spettatore potrà contare su un piccolo prezioso dono all’uscita della sala. L’immagine di questa strana coppia, di questi Gianni e Pinotto della laguna che risuonerà nella sua mente tutte le volte che vedrà inchieste, leggerà titoli o sfoglierà depliant sul nordest avanzato.
Mario Sesti, Kwcinema

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Carlo Mazzacurati
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