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In the Mood for Love - In the Mood for Love


Regia:Kar-Wai Wong

Cast e credits:
Soggetto e ceneggiatura
: Won Kar-Wai; montaggio: William Chang, Wong Min-lam; fotografia: Christopher Doyle, Mark Li Ping-bing; scenografia: William Chang; costumi: William Chang; musica: Danny Chung, Michael Galasso; interpreti: Maggie Cheung (Su Li-Zhen), Tony Leung Chiu Wai (Chow Mo-Wan), Lai Chen (Mr. Ho), Siu Ping-Lam (Ah-Ping), Rebecca Pan (Mrs. Suen) ; produttore: Wong Kar-Wai, Jackie Pang Yee-wah; produzione: Block 2 Pictures; distribuzione: Lucky Red; origine: Hong Kong, 2000; durata: 97’.

Trama:Chow, caporedattore di un giornale di Hong Kong, si trasferisce con sua moglie in una nuova casa. Qui conosce Li-Zhen, anche lei si è trasferita da poco lì con suo marito. Il marito di Li-Zhen è quasi sempre fuori per lavoro come la moglie di Chow. Un giorno Li-Zhen invita a cena Chow e gli confida di aver scoperto che i loro rispettivi coniugi hanno una relazione. Questa situazione li farà diventare amici.

Critica (1):Una storia d’amore bellissima con Maggie Cheung, attrice incantevole per la snella eleganza, per il corpo sottile ondulante al passo, per la faccia perfetta e triste, per l’esitare delle gambe sui tacchi altissimi, per tutto, una sirena leggendaria. La storia di una donna e di un uomo che si sfiorano appena, intitolata con il mutilato verso d’una canzone americana famosa, In the Mood for Love, accompagnata da canzoni spagnole languide, struggenti («Yò te quiero mucho», «Qui sas, qui sas, qui sas»: Wong Kar-Wai, 42 anni, cresciuto a Hong Kong, specialista delle passioni, autore di Happy Together e di Angeli perduti, ha fatto un altro gran film dove analisi dei sentimenti e stile della regia s’uniscono a esprimere al meglio le malinconie e le felicità dell’amore. Nel 1963 a Hong Kong, una segretaria il cui marito è troppo spesso lontano per lavoro, un giornalista aspirante scrittore la cui moglie è troppo spesso assente per lavoro, si conoscono essendo vicini di casa, si parlano, si frequentano un poco. Scoprono che i rispettivi coniugi hanno tra loro una relazione. Sono feriti, si confidano, ma l’amicizia più stretta non li porta a diventare amanti. Restano così. Si amano. Soffrono. Lui si trasferisce a Singapore, scrive romanzi cavallereschi. Lei piange, lavora, diventa madre. La casa dove avevano vissuto vicini viene affittata ad altri. Gli anni passano, il sentimento poco a poco si offusca, si perde. Cose meravigliose: una donna che piange nella stanza da bagno; la scala semibuia percorsa alla sera dai protagonisti, dopo una giornata di fatica, per andare al negozio dei cibi cotti o a comprare il giornale; le figure imprecise, le tende palpitanti, le luci dorate; le piogge improvvise; il bagliore degli anelli nuziali sulle dita che appena si toccano; la nuca di Tony Leung, con i capelli neri lisci e lustri; marito e moglie dei protagonisti, che non si vedono mai; la promiscuità dell’abitare, in una città sovrappopolata come Hong Kong. È quasi soltanto il cinema asiatico, ormai, a saper offrire opere tanto ammirevoli per intensità, bellezza, emozione.
Lietta Tornabuoni, La Stampa (29/10/2000)

Critica (2):Se hai un segreto veramente importante, confidalo alla fessura di un albero secolare, che lo conserverà per sempre. Un uomo e una donna a Hong Kong, nel 1963: storia dei brevi incontri ritrosi tra Chow e Li-zhen, vicini di casa che scoprono casualmente che i rispettivi coniugi sono amanti e inscenano, come in una prova, le rispettive rivelazioni. Si incontrano, si chiedono cosa staranno facendo gli altri due, si parlano come se parlassero a loro, si guardano allontanarsi, è inevitabilmente, senza dirselo mai, finiscono per amarsi. «Non credevo facesse così male», dice Li-zhen. E Chow la incoraggia: «E’ solo una prova». Ma, all’improvviso, non lo è più, il dolore lancinante della separazione non riguarda più le pallide ombre di un marito e di una moglie che noi intravediamo soltanto di spalle, soltanto di lontano: all’improvviso, la finzione di un incontro per caso si è fatta più forte della lealtà, consuma i pensieri e i giorni, attestata sulla fierezza di quel «Noi non saremo mai come loro» che i protagonisti ribadiscono, protratta all’infinito dall’esitazione, il non detto, la sospensione. Tempi, sguardi, parole, sentimenti, movimenti impercettibili, tutti sospesi, nella recitazione stilizzata di Maggie Cheung e Tony Leung (belli ed eleganti come divi del passato) e nelle pause, negli anfratti, nei misteri della narrazione. In the Mood for Love non è solo il film più bello di Wong Kai-wai (dove si fondono in filigrana le due anime del suo cinema, quella intimista e romantica e quella che osserva puntigliosa luoghi e ambienti), ma è anche un capolavoro senza tempo del cinema costruito sui vuoti, sui neri che scorrono tra una scena e l’altra, sulle attese, sulle ellissi che riempiono una vita. Sentiamo i pensieri e le emozioni che crescono tra un incontro e l’altro, le parole che i protagonisti non si dicono, il fluire della Storia che cancella il mondo. Quella Hong Kong è sparita, consegnata, come ogni segreto che davvero conti, da Wong Kai-wai alla pellicola, che ci restituirà per sempre le caviglie evanescenti di Maggie Cheung, la passione sottile negli occhi di Tony Leung, la malinconia calda di Nat King Cole che canta “Quizàs, quizàs, quizàs”.
Emanuela Martini, Film TV, 8/11/2000

Critica (3):Tutti o quasi crescono. Anche Wong Kar-Wai con In the mood for love. Cresce, il regista di Hong Kong, perché rinuncia al pur interessante sperimentalismo delle sue opere precedenti. Cresce perché si lascia alle spalle la tempesta erotica di Happy together e sceglie un tono intimo, pudico, ellittico, come chi conosce veramente i giochi dei sentimenti e può fare a meno di gridare. E così, al suo settimo film, racconta una storia d’amore e d’amore soltanto. In the mood for love, come dice una bella vecchia canzone, e solo nello stato d’animo per l’amore, che non si concretizza mai, ma resta un sentimento che cambia le vite. Sarà l’ambientazione nella più semplice e severa Hong Kong cinese degli anni 60 a rendere così casto e delicato il film, o lo sguardo di un figlio cresciuto in anni più turbinosi nei confronti degli amori dei coetanei dei suoi genitori? Maggie Cheung e Tony Leung vivono fianco a fianco, in due minuscoli appartamenti della casa della signora Suen, che passa il tempo a giocare a Majong, a cucinare e a sorvegliare affettuosamente, come fossero pezzi del suo gioco, i movimenti dei suoi inquilini. Lui lavora in un giornale, lei in una società di esportazioni. Ogni tanto si tengono compagnia, perché i due rispettivi coniugi sono spesso assenti anzi, grazie a un brillante equilibrismo della cinepresa di Christopher Doyle, che si muove da prestidigitatore negli spazi piccoli e claustrofobici della casa non li vediamo veramente mai. Finché succede che da piccoli segni un regalo uguale, una stessa cravatta i due amici capiscono che tra i loro rispettivi coniugi c’è una relazione, e dalla solidarietà di esclusi nasce un sentimento d’amore che si sviluppa tra brevi incontri, grandi piogge, orari di ufficio, gossip del vicinato, cibo precotto, buona educazione piccolo borghese e non approda ad altro che alla tenerezza. Ricordare è meglio che vivere? Certo esce più intensità da questo film di un amore non realizzato che da tanto eros a gogò. Ma è la preziosa combinazione di elementi a fare di In the mood for love una bella esperienza: Maggie Cheung, elegante e sottile come un giunco nei suoi mille vestitini orientali che sono un arpeggio sullo stesso tema, trasmette la febbrile sofferenza dell’abbandono subito e dell’abbandono che esita a concedersi, mentre Tony Leung, con la gentilezza di sempre, ha il coraggio di teorizzare che ricordare è meglio di vivere. Coraggio che, del resto, gli ha riconosciuto il Festival di Cannes, conferendogli il premio per la miglior interpretazione maschile. E Wong Kar-Wai sfoggia un’inaspettata tenerezza nel giocare con il retrogusto malinconico delle cose che avrebbero potuto essere e non sono state, delle vite che avrebbero potuto cambiare e sono rimaste uguali salvo il piacere malinconico della memoria.
Irene Bignardi, la Repubblica, 29/10/2000

Critica (4):
Wong Kar-Wai
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