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Amadeus - Amadeus


Regia:Forman Milos

Cast e credits:
Sceneggiatura: Peter Shaffer, dalla sua pièce omonima; fotografia: Miroslav Ondrícek; scenografia: Patrizia Van Brandenstein; scenografia delle sequenze d'opera: Josef Svoboda; montaggio: Nena Danevic, Michael Chandler; musica: brani da Don Giovanni, Il ratto dal serraglio, Le nozze di Figaro, Il flauto magico, Sinfonia n° 25 in sol minore K.183, Sinfonia n° 29 in la K.201, Serenata per strumenti a fiato K 361, Serenata K.525 "Eine Kleine Nachtmusik", Messa in do minore K.427, Requiem K.626, Concerto in si bemolle per piano e orchestra K.450, Concerto in mi bemolle per piano e orchestra K.482, Concerto in re minore per piano e orchestra K.466, Concerto in do per flauto, arpa e orchestra K.299, Concerto in mi bemolle per due pianoforti e orchestra K.365, Sinfonia concertante in mi bemolle per violino, viola e orchestra K.364, Clavicembalo solo K.33b, Sei danze tedesche (.509 (n. 1) di Wolfgang Amadeus Mozart, Falstaff (pianoforte), Axur di Antonio Salieri, Stabat Mater di Giovanni Pergolesi; costumi: Theodor Pistek; coreografia e regia delle sequenze d'opera: Twyla Tharp; interpreti: F. Murray Abraham (Antonio Salieri), Tom Hulce (Wolfgang Amadeus Mozart), Elisabeth Berridge (Costanza Mozart), Simon Callow (Emanuel Schikaneder), Roy Dotrice (Leopold Mozart), Christine Ebersole (Caterina Cavalieri), Jeffrey Jones (Imperatore Giuseppe II°), Charles Kay (Conte Orsini - Rosenberg), Barbara Bryne (Frau Weber), Martin Cavani (Salieri da ragazzo), Roderick Cook (Conte von Strack), Milan Demjanenko (Karl Mozart), Peter DiGesù (Francesco Salieri), Richard Frank (padre Vogler), Patrick Hines (Kappelmeister Bonno), Nicholas Kepros (Arcivescovo Colloredo), Jonathan Moore (Barone von Swieten), Cynthia Nixon (Lori), Douglas Seale (Conte Arco), Miroslav Sekera (Mozart da bambino), John Strauss (direttore d'orchestra); produzione: Saul Zaenz; distribuzione: Medusa; origine: USA, 1984; durata: 160'.

Trama:Nel 1823 al manicomio di Vienna Antonio Salieri, acclamato musicista di Corte, confessa un tremendo segreto: ha consumato la vita nel tentativo di distruggere Mozart, genio musicale come nessun altro mai, ma non sempre all'altezza come persona: volgare e libertino, pessimo marito, sregolato quanto prolifico e geniale musicista, incapace di amministrare il denaro, insensibile alle vicende degli altri e quindi, secondo Salieri, indegno, dei doni divini. Sotto il segno del più scatenato gusto del gioco, è una riflessione sul contrasto tra genio e mediocrità e sull'invidia.

Critica (1):Amadeus è (...) costruito su una serie di antinomie (mediocrità e genio, arte e artigianato, creatività e morale, anarchia e conformismo) che prendono corpo nei due protagonisti.
Antonio Salieri si ritiene musicista per vocazione divina (la morte del padre che si oppone ai suoi progetti viene vista come un "segno"), si impone una ferrea autodisciplina che include la castità, sublimando nella creazione artistica e nei dolci (dal bicchiere di crema che i due servi usano per allettarlo nel prologo fino all'esplicitazione di quei "capezzoli di Venere" che egli offre a Costanza), gestisce con accorta diplomazia i rapporti col potere. Wolfgang Amadeus Mozart è artista istintivo, dedito senza misura ai piaceri, irriflessivo e incauto verso la committenza. In avvio, si tratta di una contrapposizione schematica nella sua embiematicità, ma ben presto il "gioco delle parti" si fa estremamente mobile, man mano che i personaggi si arricchiscono di un progressivo ispessimento psicologico, mentre lo sfondo storico sfuma in un pretesto per deliziose esercitazioni su un décor reinventato, in un'astrazione o indeterminatezza che tende ad assolutizzare atemporalmente i "temi" del film. I caratteri perdono la rispettiva connotazione di boia e vittima in cui il prologo sembra volerli racchiudere e diventare specularmente "simbolo di tutta la complessità della sventura umana". (...)
Il genio è un ragazzotto sciamannato e simpatico che la morte del padre tortura con un lacerante senso di colpa, un individuo a cui uno sfrontato candore preclude una gestione mediamente vantaggiosa delle proprie capacità artistiche, un robusto bevitore e un incallito puttaniere. Ma è purtuttavia un genio. E Salieri è l'unico a rendersene conto, essendo gli altri personaggi eminenti dell'establishment musicale viennese o imbecilli, o incompetenti, o in malafede. Il suo dramma è lì, in quegli spartiti senza una cancellatura, in quella musica attraversata dal soffitto divino della creazione. Distribuendo il talento con insensata parzialità, Dio ha voluto farsi beffe della sua pietas, facendogli rimbombare nelle orecchie il riso sgangherato e isterico del suo rivale. È il crollo di un universo di certezze che lascia spazio solo all'invidia, al livore, alla vendetta, non tanto verso Mozart quanto verso Dio e la sua ingiustizia. E la vendetta, la soddisfazione dei livore e dell'invidia, dovranno essere totali. Sarebbe sin troppo facile, infatti, annientare lo sprovveduto Mozart sul piano delle conquiste personali e "sociali" (il letto della Cavalieri, la simpatia dell'Imperatore).
Perché, anche se Amadeus farà fiasco (l'indimenticabile sequenza della prima del Don Giovanni, tra l'attenzione annoiata degli spettatori e la disperata duplicità dell'atteggiamento di Salieri, lividamente felice per l'insuccesso ma anche, in quanto vero musicista, tragicamente conscio dell'irripetibile grandezza della musica che sta ascoltando), rimarrà comunque per lui come termine di paragone di una mediocrità irredimibile. Anche l'annientamento, prima psicologico e poi fisico per il quale la macchinazione di Salieri si inserisce in un contesto fertile, limitandosi ad innescare una innata tendenza all'autodistruzione, non potrà essere l'atto conclusivo della terribile vendetta. II piano dovrà andare oltre, sfociare infine nell'appropriazione vampiresca di un capolavoro dell'altro, da lasciare ai posteri come prova inconfutabile della propria genialità. Ma anche in questo momento estremo, una volta di più Salieri sarà annichilito dalla presenza folgorante del genio, bevendo fino alla feccia della coppa della propria mediocrità. È la straordinaria sequenza della dettatura del Confutatis e del Lacrimosa del Requiem K. 626, nella quale Salieri riesce a stento a funzionare come copista, mentre Mozart, in punto di morte, lo gela con la propria offensiva consuetudine col sublime. (...)
Come si può facilmente capire, Shaffer e Forman, con una sorta di sberleffo nei confronti del titolo, Amadeus, che farebbe supporre un film dominato dalla figura del grande salisburghese, hanno assunto il punto di vista del "mediocre" Salieri, affidandogli il filo della narrazione, autorevolmente sostenuta dalla voce fuori campo. Si direbbe quasi una scelta wellesiana (...) nelle quali la figura di un "grande del male" viene ricostruita - e parallelamente distrutta - attraverso l'apporto - e il punto di vista - di un "piccolo del bene"), se qui non mancasse, al di là delle connotazioni morali schematicamente indicate, la sproporzione nell'impatto drammatico degli antagonisti, che viceversa si misurano su di un piano paritario (si potrebbe paradossalmente affermare che la sola differenza "di statura" è data dalla genialità di Mozart).
In effetti, le "vite parallele" di due personaggi emblematici, la loro apparente contrapposizione che man mano si risolve in un rapporto di complementarità, in una sempre meno sfumata interdipendenza, non può non richiamare alla mente i tanti "doppi" del Forman americano, dai Bromden - McMurphy di Qualcuno volò sul nido del cùculo ai Bukowski - Berger di Hair, fino ai Fratello Minore - Coalhouse Walker di Ragtime, che riproponevano, più spesso per contrapposizione che per analogia, la relazione archetipica selvaggio - civilizzato descritta da Leslie Fiedler in Il ritorno del pellerossa. Rispetto ai film succitati, tuttavia, qui il discorso si fa più astratto e più radicale, proponendo due "persone" avvertite costantemente come "metà", come facce ineliminabili ma difficilmente riducibili della produzione artistica. Con una lettura rischiosa, si potrebbero così ipotizzare Mozart e Salieri come due anime dello stesso Forman, quella adolescenziale, cecoslovacca, di profeta della nova vlnà, di geniale e incosciente aggressore del conformismo e della stupidità di un sistema decrepito, quella della maturità americana, cauta e cosciente della necessità del compromesso, dell'alchimia diplomatica. È comunque indubbio che nei due personaggi principali e nel variopinto entourage che fa loro corona rivive il tema formaniano della contrapposizione di universi disperatamente incomunicanti, quello della spontaneità giovanile, sciamannata e irriflessiva, quello della maturità esperta e amorale, atta al calcolo e invischiata in un cinismo che è anche disgusto di sé. Questa contrapposizione, che funziona anche sul piano sociale, in quanto mette in scena l'aristocrazia di corte dei ricevimenti e la piccola
borghesia (e il proletariato) delle feste popolari, la ritualità sfarzosa e comicamente inerte del Teatro dell'Opera e la partecipazione pittoresca di quella sorta di vaudeville gestito da Schikaneder, dà ancora una volta a Forman la possibilità di far sbizzarrire il proprio talento in una serie di deliziose e caustiche caricature di "alti burocrati", dal Kappelmeister Bonno all'arcivescovo Colloredo, dal conte Orsini-Rosenberg al conte von Strack, una piramide al vertice della quale è d'obbligo porre l'ottusità pensosa dell'imperatore Giuseppe IV di un magnifico Jeffrey Jones, e in una serie di autocitazioni, le più calzanti e appropriate delle quali ci sono sembrate quella del tentativo di seduzione sotto il tavolo, presa pari pari da Al fuoco, pompieri!, e quella della descrizione, da parte di Mozart, della prima scena delle Nozze di Figaro ancora in gestazione, visibilmente modellata sull'indimenticabile performance d'attore di Jack Nicholson in Qualcuno volò sul nido del cùculo (sequenza della mancata partita di baseball davanti al televisore). Tutto questo per rilevare come Amadeus sia indiscutibilmente un film d'autore, nel quale emergono, sia pure con nuovi sviluppi ed articolazioni, alcune delle costanti "americane" del regista, magari rinfrescate in senso "cecoslovacco" (o più genericamente mitteleuropeo) dalle sue recenti frequentazioni praghesi. Non ultima la musica, già protagonista di Konkurs, Taking Off e Hair, che qui diventa il terzo personaggio del racconto (mentre nel testo teatrale non occupava che una decina di minuti), sia nei momenti "autonomi" (le messe in scena delle varie opere, con le fantasiose scenografie di Josef Svoboda e le incredibili coreografie molto musical dell'immancabile Twyla Tharp, con il kitsch quasi obbligato delle esecuzioni in inglese), sia in funzione di commento, di scansione ritmica del montaggio, con coincidenze di precisione metronomica e accostamenti emotivamente coinvolgenti (per tutte, citiamo la sequenza del ritorno a casa di Mozart ubriaco, in un'alba nevosa, nella quale l'irrompere drammatico delle note del primo tempo del Concerto in re minore per piano e orchestra K.466 sottolinea con intensità lo sfacelo fisico e psicologico del compositore e fa balenare il presagio della fine imminente). (...)
Paolo Vecchi, Cineforum n. 244, 5/1985

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Milos Forman
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