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Niente baci sulla bocca - J'embrasse pas


Regia:Téchiné André

Cast e credits:
Soggetto: Jacques Nolot; sceneggiatura: André Téchiné, Jacques Nolot, Michel Grisolia; fotografia: Thierry Arbogast; musica: Philippe Sarde; montaggio: Claudine Merlin, Edith Vassard; scenografia.: Vincent Mateu-Ferrer; costumi: Claire Fraisse; suono: Jean-Louis Ughetto; interpreti: Manuel Blanc (Pierre), Philippe Noiret (Romain), Emmanuelle Béart (Ingrid), Hélène Vincent (Evelyne), Ivan Desny (Dimitri), Roschdy Zem (Said), Raphaéline Goupilleau (Mireille); produzione: Maurice Bernart, Jacques-Eric Strauus e Jean Labadie, per Président Films /Bac Films / Salomé Sa / Ciné Cinq /R.A Larrieu l Gruppo Bema /Canal Plus l CNC; origine: Francia / Italia, 1991; durata: 115'.

Trama:Pierre arriva a Parigi dai Pirenei col sogno di fare l'attore. Dopo aver perso un lavoro in ospedale ed essersi fatto cacciare dalla matura Eveline, si rivolge a Romain, giornalista televisivo omosessuale. Desideroso di conservare la propria libertà, preferisce tuttavia darsi alla prostituzione. Gli affari vanno bene finché non si innamora della ragazza sbagliata e subisce la vendetta del magnaccia di lei. Si arruola nei parà con l'intenzione di tornare comunque a Parigi. Nell'attesa, per la prima volta in vita sua va al mare.

Critica (1):Essere attori significa fare del proprio corpo uno strumento: banali parole di un'insegnante di recitazione che, per il protagonista di Niente baci sulla bocca, diventano un programma concreto. Pierre si mette in vendita, a caro
prezzo, ma cercando di evitare ogni coinvolgimento: un buon attore, ha detto Diderot, deve conservare in ogni circostanza la testa fredda", ingannare gli altri e non se stesso.' Ogni volta Pierre recita la formula di questo, straniamento ai suoi clienti (stavo per dire acquirenti): "Non bacio sulla bocca, non succhio e non mi faccio scopare". Se la prima di queste richieste rientra nella deontologia della professione, le altre due, a diverso titolo, sono alquanto esorbitanti: ma proprio per questo accrescono il pregio - e il prezzo - di chi le pronuncia. Il primo potenziale cliente, di fronte alla assurda richiesta di 1000 franchi per così poco, accetta per la curiosità di vedere cosa ci sia dietro.
Per poter conservare la sua libertà, per vendere solo il corpo e non l'anima, Pierre si offre a chi non lo attira. La prima è una donna avanti con gli anni, Eveline: ma lei lo manda via quando capisce di essersene innamorata. Lezione di cui Pierre farà tesoro, rifiutando, per cominciare, le avances di un altro potenziale innamorato-vampiro, Romain. Questi, almeno in teoria, elogia l'omosessualità in quanto priva di romanticume e coinvolgimento: ma porta sulla pelle le cicatrici dei suoi amanti. A Pierre non resta che battere saune e marciapiedi, senza fare sconti a chi è più carino degli altri.
Il teorema, come prevedibile, si guasta quando entra in scena una donna, questa volta coetanea di Pierre. Ingrid gli giura che con lui ha fatto l'amore fuori orario per la prima volta, anche se Téchiné non mostra se l'abbia baciato, se veramente le regole del commercio (o comunque del sesso senza coinvolgimento) siano state sospese. Allo scivolone nel romanticismo dei personaggi, tra parentesi, corrisponde un vistoso scivolone di regìa. Emanuelle Béart gode di un trattamento privilegiato - a cominciare dai lunghissimi primi piani in cui deve mostrare quanto è brava - che per un po' spezza il tono secco, fatto di rapide notazioni, che costituiva il punto di forza del film.
L'errore più grosso di Pierre, comunque, non sta tanto nell'innamorarsi, quanto nel pretendere di comprare l'amore di Ingrid: 4000 franchi per una notte (offerta che, tra l'altro, insospettisce il pappone). Pierre ha smesso di recitare ed è passato dall'altra parte, quella del cliente, senza rispettare le regole da lui imposte: è come se avesse offerto 4000 franchi per un bacio. Il contrappasso arriva puntuale, sotto forma di sodomizzazione. L'umiliazione non sta tanto nel costringere Pierre ad un ruolo passivo, quanto nel non usarlo neanche come oggetto di piacere. Il pappone stupratore, infatti, ordina ad Ingrid di alzarsi la gonna, perché altrimenti (o così vuol far credere) non ce la farebbe. Da gestore di un commercio (quello del proprio corpo), Pierre è stato degradato a merce senza valore: a questo punto abbandona il gioco. Arruolandosi, cerca un'altra forma di anonimato e di commercio del corpo: si prostituisce alla patria, ma continua a proclamare la sua libertà.
Chiuso in un bozzolo, testardo e megalomane, Pierre rientra, per molti versi, nella galleria di giovani ribelli e senza ideali di cui il cinema francese, da qualche anno, è fin troppo prodigo (Assayas, Brisseau,' Carax, Rochant: non se ne può veramente più). Un cinema di cui Téchiné condivide alcuni difetti: la tendenza a sbandare quando si vuole riscattare poeticamente lo squallore dei personaggi; il folklorismo miserabilista (vedi gli episodi con i travestiti, ovviamente buffi, patetici, esuberanti ecc. ecc.); il plateale inchino ai grandi maestri (vedi il finale in riva al mare che scomoda, come deus ex machina, I quattrocento colpi - laddove Gli amanti del Pont-Neuf tirava in ballo L'Atalante). Ma da questo cinema manierista Téchiné si allontana quando non cade nella tentazione di dire tutto, quando lascia aperti dei buchi nel racconto.
Per quanto il racconto sia geometrico come un teorema, i personaggi restano sfuggenti, e mantengono dentro di sé i loro segreti. Se Ingrid gronda fatalmente di cattiva letteratura, Romain (complice Noiret, ottimo quan
do non è un regista italiano a dirigerlo) è riuscitissimo nella sua ambiguità. E se di Pierre lascia un po' freddi l'impostazione, affascina la minuzia con cui Téchiné ricostruisce un percorso di rituali quotidiani (i rapporti con le case, il cibo, i vestiti, che dicono sempre di più di quanto vuole comunicare il personaggio. Può sorprendere che Téchiné usi il cinemascope2 in un film di primi piani e di dialoghi: ma i vuoti che si aprono nell'inquadratura diventano il corrispettivo dei vuoti indecifrabili che i personaggi si portano dentro: vuoti di cui afferra il contorno ma non il contenuto. Rimane il rimpianto, alla fine, che di questo regista, in Italia, siano arrivati appena due film.
Alberto Pezzotta, Segno Cinema, n. 56 luglio/agosto 1992

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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